di ANNA MARIA TURRA
Il segmento biologico tratta i temi di sostenibilità e cibo attraversando delicati equilibri registrando in Sardegna un crescente coinvolgimentoeuna consapevolezza di urgenza. Un nuovo atteggiamento si forma nei consumatori e la pandemia decreta un significativo rialzo tra investimenti, domanda e produzione. Nelle coltivazioni biologiche i prodotti chimici sono banditi perché inquinanti per l’ambiente, minano la fertilità dei terreni e l’impatto sulle risorse idriche è incalcolabile. Pesticidi e fertilizzanti sintetici lasciano il posto a quelli naturali: condotte virtuose che da tempo intercettano l’interdipendenza della sfida climatica con quella energetica, generano un segmento importante non soltanto per l’economia o per la salvaguardia dell’ambiente ma per le significative ricadute sul bilancio di salute pubblica.
Nella scelta del biologico si affronta la logica di una riduzione del debito ambientale a partire dal bisogno umano primario del sostentamento. Anticipa e semplifica quella transizione oggi resa visibile nella nuova denominazione del Ministero dell’ambiente. Si accelera una riflessione sull’importanza di destinare aree sempre maggiori alle coltivazioni biologiche e un’idea di esportazione, al di fuori del proprio orto e oltre l’isola, si fa politica di iniziative arrembanti, guidando la produzione bio già fortemente radicata.
Investire in sostenibilità da parte di piccole e grandi aziende ha generato un nuovo mercato in continua espansione, tanto che aderire ad una certificazione sostenibile o biologica diviene nodale strumento di comunicazione dei valori d’impresa.
Ma ogni strumento di marketing, così come ciascun codice d’informazione, diventano inefficaci se non autenticamente osservati nella pratica di rigore e controlli, di lavoro ed esperienza.
Sembra saperlo nel proprio codice genetico l’intera comunità isolana: il territorio destinato alla coltivazione biologica in Sardegna è importante per dimensioni e comparti coinvolti. Siamo nel 2019: la Sardegnasupera i 120mila ettari, in crescitadello 0,8% rispetto all’anno prima. Numeri che piazzano la regione alsettimo postonella classifica nazionale che, per esempio, vede il Lazio al quinto posto. Il totale della superficie biologica in Italia, secondo i dati Sinab, il sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica, sfiora i 2milioni di ettari (+2%). L’incidenza della superficie biologica nel nostro Paese ha raggiunto solo nel 2019 il 15,8% della Sau,superficie agricola utilizzata, il che posiziona l’Italia e la Sardegna– che registra oltreil 10%– al di sopra della media Ue attestata, prima del lock down, attorno all’ 8%, all’altezza di quella dei principali paesi produttori come Spagna (10,1%), Germania (9,07%) e Francia (8,06%).
In Sardegna le aziende agricole impegnate nel biologico sono circa duemila. Le coltivazioni principali sono le colture foraggere (circa 16.500 ettari) e i cereali (oltre 6mila ettari). Seguono le colture seminative (5.500 ettari), vite (oltre 1.600 ettari), olivo (circa 3.600), ortaggi (circa 800 ettari), frutta (circa 300), per citare le principali.
Oggi la strutturazione delle competenze nell’agroalimentaresi esprimere con tecniche e sistemi evoluti come la bioagricoltura intensiva. Tecnologia e pratica esperienziale si uniscono per risultati che migliorano la qualità dei terreni e la quantità di un prodotto finale che, come prerequisito, non deve contenere OGM e deve essere stagionale.
La complementarità e l’interconnessione tra i temi della tutela ambientale, della salvaguardia del clima, dell’energia e dello sviluppo sostenibili, sono base di partenza su cui poggia il comparto biologico destinato ad espansioni esponenziali. L’obiettivo è rendere, con la tutela della natura, del territorio e del mare, l’Italia una nazione globale.