CUCINA E PROTEZIONE DEL PIANETA: IL SARDO ROBERTO FLORE DAL 2014 ALLA DIREZIONE DEL FOOD SYSTEM CHANGE LABORATORY DI COPENAGHEN

Roberto Flore

di ANNA MARIA TURRA

Roberto Flore dal Food lab di Copenhagen parla della sua esperienza e di un nuovo modo di studiare soluzioni per la ristorazione in un approccio sistemico a disposizione di tutti.

Roberto Flore è il sardo che a soli 38 anni dal 2014 è alla direzione del laboratorio in cui si studia la relazione che c’è tra le diverse filiere alimentari e le tecnologie, lo sviluppo di nuovi sistemi tra macchinari per agricoltura sostenibile in un nuovo concetto di nutrimento e valore.

Perché proprio in Danimarca? Nel 2013 va in Danimarca e per cinque anni lavora come responsabile del Nordic food lab, il laboratorio che ha fatto tendenza e che dal 2018 lascia il posto a un ulteriore livello di realtà, trasformandosi in un sistema integrato tra università; qui lo sviluppo umano diviene fulcro di un linguaggio di scambio che appassiona il mondo intero, non soltanto il segmento alimentare.

3500 metri quadrati di laboratorio, una donazione importante e, per la DTU, Danish tecnik University, un’ispirazione devota alle visioni, impartite come lezioni, di René Rezdepi chef/patron del Noma, l’iconico ristorante che i processi della comunicazione tendono a semplificare come il primo in Europa a servire gli insetti a tavola. Forse qui Roberto apprende che l’esperienza del cibo è qualcosa a se’ stante. Nasce cosi la vocazione di un viaggio che ha a che fare col nutrimento ma è su più piani, tra ricerca e tecnologia.

«In questi ultimi due anni creo qualcosa che prima non esisteva – precisa Roberto Flore – parlo dell’innovazione del food con approccio sistemico. Non più legato solo allo sviluppo tradizionale, col suo impatto con l’ambiente, ma pensato come a una riduzione, in tutti sensi. Si parla di food ways, cioè di legare il consumatore al concetto di come consumiamo e, a livello di partnership, siamo concentrati in scambi internazionali. Tra competenze e ricerca la nuova frontiera apporta filiere e tecnologie, sviluppo di nuovi macchinari per agricoltura sostenibile, hard technology per la produzione di prodotti sani ma soprattutto parla di un modo più adeguato di sostare nel nostro pianeta.»

Passa dalla cucina lo sviluppo umano per poi lanciarsi in una collaborazione con altri atenei oltre al DTU, che quest’anno ha preso l’award per la miglior università al mondo per progetti internazionale e innovazione, inizia con l’Università di Copenhaghen e poi arriva al Basculin rave center Tec di Monterrey in Messico. Lezioni ad Harward sono tenute dal laboratorio internazionale di Copenhagen, dove si sperimentano tecniche di cottura e coltivazioni dei cibi destinate a rivoluzioni totali ora inimmaginabili, e la protezione dell’ambiente nei delicati equilibri che ne costituiscono la straordinaria essenza vitale.

Roberto Flore spiega: «Gran parte del lavoro che faccio si ispira alle mie esperienze in Sardegna: l’imprinting importante che mi porta a lavorare col system thinking e l’impatto globale con una filiera produttiva, dove i piccoli produttori interagiscono. Oltre che la differenza tra buono e altamente qualitativo credo esista un atteggiamento di ognuno di noi che vada costantemente ricercato. Se io non avessi vissuto in prima persona una realtà agricola non avrei dato peso a questi ambiti.»

Lo spiega meglio il suo discorso d’apertura per il Sostenible food system dell’Unione europea, dove precisa a stakeholder di alto livello la parte più impalpabile della sua visione: «Eppure nella complessità dei problemi ambientali ognuno capisce urgenza e disarmante semplicità delle contromisure. Smettere, uscire, spegnere, placare, e poi ancora disincentivare la cementificazione: a pensarci bene tutto questo può essere semplificato col verbo stare. E tra il troppo facile e il troppo difficile l’immobilità e insieme la frenesia sono ciò che la pandemia riesce meglio a fare: scalfire carriere complesse e difficilmente identificabili come lo possono essere quelle di chef, ingegneri o it-manager.»

Senza preconcetti, prova a capire quello che nei prossimi anni potrà diventare tradizione perché è stata un’innovazione particolarmente ben riuscita o pensata: dal modo migliore di sgusciare i gamberi a come poi trasformare il carapace del gambero senza sprechi, realizzando con essi una sorta di pasta di gamberi fermentata come avviene in Asia.

«Ho voluto creare il mio laboratorio con un’immagine che non esiste e cerca di ridefinire il modello con le università, – dettaglia Roberto Flore – lavoriamo con una serie di figure che spesso non appartengono al mondo accademico, non è possibile parlare di tecnologie dell’agricoltura senza avere in laboratorio un agricoltore, ancor prima di creare il prototipo si interpellano le diverse aree esperienziali. Cerchiamo di dar valore a tutta la parte che non è qualificata in un discorso scientifico, perché è proprio quell’esperienza che, in un contesto di interazione e analisi, si sarà in grado di spiccare un sostanziale salto verso il cambiamento.»

Curioso e tenace studia agricoltura e lavora a lungo in cucina come cuoco ma non smette di indagare in un contesto accademico. A lui è chiarissimo il privilegio di far parte di una nuova categoria, di un nuovo modello in cui pratica e ricerca alimentano nuove professionalità per nuovi orizzonti.

#costasmeralda.it

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