di GIANRAIMONDO FARINA
Sembrerebbe un argomento off limits in questo periodo, tanto è vero che il “governo dei migliori” non l’ha neppure messo all’odg del proprio programma. Già, perché disattendendo le iniziali premonizioni che davano l’ex governatore di Bankitalia come grande sostenitore della patrimoniale, appunto, di questa tassa, al momento non se ne parla, anche se, per molti, potrebbe essere una soluzione o, meglio, una risposta ad una crisi attuale di queste dimensioni. Ed i motivi per riprendere il discorso ci sarebbero.
Innanzitutto, il dibattito attorno alla patrimoniale si è riacceso su una proposta di emendamento alla legge di bilancio 2021 del Conte 2 che, poi, è stata ritirata. In particolare, per parlare di prassi parlamentare, aveva assunto un ruolo centrale l’audizione della Banca d’Italia dinnanzi alle apposite commissioni riunite di Camera e Senato, avvenuta in data 11 gennaio 2021.
In tale contesto sono emerse, da subito, le argomentazioni favorevoli alla proposta. Fra di esse va menzionato il fatto che un’imposta sul patrimonio netto delle persone fisiche (perché tale è la patrimoniale) sarebbe costituzionalmente fondata e legittima in modo da realizzare, al meglio, il sistema impositivo. Il tutto, come ha ribadito Fabio Michetti in “la voce.info2”, sia sostituendo tributi patrimoniali reali esistenti, sia armonizzandosi con altri tributi “para-patrimoniali”.
Il tema della c.d. “funzione razionalizzante” ed il completamento del sistema impositivo costituzionale italiano, culminante con l’imposizione patrimoniale, era già stato affrontato, a suo tempo, in occasione della riforma del 1971. Proposta da subito accantonata.
Altro motivo da addurre a favore della patrimoniale sarebbe da riscontrare nel suo effetto perequativo e redistributivo: potrebbe essere realmente uno strumento efficace per combattere le disuguaglianze sociali, territoriali e generazionali che si stanno creando. In questo senso, appunto, il divario generazionale tra giovani e popolazione matura (under 35 ed over 35), trova ed individua nella differenza della ricchezza fra le due fasce di età uno dei fattori economici di maggiore rilievo. Secondo, poi, un recente studio di Andrea Mazzetti (“Per una nuova imposta italiana sul patrimonio netto”), che trova riscontro nella recente crisi economica dovuta alla pandemia, è da rilevare che l’introduzione di un’imposta patrimoniale avrebbe un impatto positivo sull’economia produttiva rispetto, appunto, ad un aumento dell’imposizione sui redditi o sul consumo.
In ultima analisi ci viene incontro la storia economica di questo Paese. Una storia, infatti, che, nei momenti di crisi, per risollevare l’Italia, ha conosciuto varie patrimoniali. A partire da quella varata dal governo Nitti nel 1919 per far fronte ai debiti di guerra contratti dallo Stato e recuperare parte degli extraprofitti presi dagli industriali durante il periodo bellico. Nel 1936, poi, durante la guerra d’Etiopia e nel 1940, per la seconda guerra mondiale, furono i cannoni a spingere all’introduzione di una patrimoniale. L’imposta, poi, straordinaria per la ricostruzione del 1947, durò fino agli anni sessanta, trasformata nell’ Invim, la tassa sull’incremento del valore degli immobili. Altro momento di rottura fu il “famigerato” 1992, con lo spettro del fallimento finanziario che spinse il governo Amato, di notte, ad introdurre un prelievo straordinario del 6 per mille sui conti correnti e l’I.S.I. (imposta straordinaria sugli immobili), poi, ordinariamente, divenuta I.C.I. Come patrimoniali vanno anche intese, di recente, l’imposta di bollo sulle attività finanziarie e l’estensione dell’ICI- IMU sull’abitazione principale volute dal governo Monti, cosiccome la reintroduzione dell’imposta di successione. Studi recenti della CGIA di Mestre hanno, poi, calcolato che in Italia già esisterebbero circa 15 patrimoniali con un gettito complessivo di 46 miliardi di euro, comprese le imposte sugli immobili, bollo auto, imposta di bollo ed imposta di registro sostitutiva.
Tuttavia, contrariamente agli aspetti critici, non può non passare inosservato, in un momento di crisi pandemica come questo, di portata globale, non può non rimanere inevaso quel principio costituzionale di perseguimento di giustizia sociale che caratterizza tale imposizione e sul quale occorrerebbe ritornare. Come ha fatto lo stesso Fabio Marchetti proponendo una patrimoniale personale complementare, almeno nel breve periodo. Una patrimoniale , come definito, “complementare” rispetto alle altre imposte patrimoniali reali esistenti, con una base imponibile costituita dalla sommatoria delle basi imponibili IMU e di quella dell’imposta di bollo sulle attività finanziarie. Una tassazione con carattere progressivo che, laddove non necessaria, nell’immediato, a finanziare il debito pubblico, potrebbe, almeno in parte, essere destinata a colmare il già ricordato “divario generazionale” fra giovani ed anziani, rappresentato anche dal possesso della ricchezza.
Tutte proposte che sembrerebbero ben lontane dalle linee economiche del governo dei “migliori” e, soprattutto, dal background culturale di Mario Draghi, più propenso a garantire un aumento del credito a famiglie ed imprese, creando quello che dovrebbe essere “un debito buono”, ma che, pur sempre debito rimane.