di ANNA MARIA TURRA
Da una veduta aerea la Sardegna si mostra come punteggiata da un importante numero di laghi ma l’unico naturale tra questi è Baratz, nel territorio della Nurra, tra Sassari e Alghero. Baratz è stato il lago oggetto di secolare contesa tra le due città, come risulta da un documento conservato nell’archivio di Stato di Torino. Vagamente simile a un rettangolo, con tre insenature, di cui quella nordorientale forma quasi un ramo a sé, lo specchio d’acqua ha una superficie di circa 50 ettari, un perimetro di 12 chilometri e dista 1250 metri dal litorale di Porto Ferro con il quale condivide l’origine.
Ed è proprio sulla sua origine che aleggiano, orrifiche, le leggende: la più diffusa narra di un povero viandante che, arrivato nel paese di Baratz, dopo aver bussato inutilmente a diverse porte, viene ospitato da una povera donna e a questa si manifesta come un inviato del Signore o forse come San Pietro, o l’Arcangelo, mentre per altri ancora si sarebbe trattato proprio di Gesù. Un mistero aperto come i tre finali: il primo vede la donna, che scappa su indicazione del viandante, salvarsi dall’inondazione; il secondo narra che lasciato il paese con un canestro in testa, l’eroina, nel sentire le urla dei compaesani che affogano, non resiste alla tentazione di voltarsi. Rimane così pietrificata dando origine alla cima del Monte Canistreddu. La terza versione invece vuole la donna trasformata in una statua di sale.
La narrazione orale riferisce anche la presenza lungo le sponde di pericolosissime sabbie mobili, dove sono stati inghiottiti cavalli, cacciatori di selvaggina incautamente inoltratisi nelle acque di Baratz che appaiono placide e poco profonde.
La storia ci consegna il lago involontario testimone del secondo conflitto mondiale. Un intero apparato bellico di una base tedesca fu gettato nel lago quando, all’ordine di ritirata, non risultarono esserci i tempi tecnici per il trasporto. Così alla fine del XX secolo, quando il livello delle acque scese, riemersero alcuni ordigni. Seguì un’opera di bonifica cui fece capo il recupero di un arsenale di insospettabili proporzioni, in gran parte inesploso.
Attualmente l’analisi del paesaggio ci allontana dalla semplicistica definizione di ecosistema naturale, rivelando al contrario un progetto ambizioso di trasformazione, avvenuto nel tempo, da parte dell’uomo. Ecco perché Baratz, incastonato come un gioiello nell’isola, è simbolo di una svolta di visione registrata nel tempo sull’intera isola. La Sardegna considerata terra di barbari e banditi, luogo di colonialismi e deportazione, area pestilenziale, insalubre come d’incanto all’improvviso si trasforma in meta attrattiva e frequentatissima da un turismo che le consegna un nuovo volto: un cambio sorprendente di prospettiva. Inimmaginabile.
Così Baratz ha avuto una radicale metamorfosi in un territorio che, includendo Porto Ferro e il sistema di dune, viene riconosciuto oggi come sito di interesse comunitario. È parte del parco geominerario della Sardegna, adiacente al Parco regionale di Porto Conte e a quello nazionale dell’Asinara.
E l’inquietudine suscitata dalle leggende su mostri inesistenti, come per Loch Ness, diventa attrattore di visitatori tra i pini di rimboschimento che ricoprono le dune originarie. Gli addetti del Centro educazione ambientale e sostenibilità, Ceas, accompagnano attraverso sentieri attrezzati l’esplorazione di ecosistemi ricchi di biodiversità, tra antichi ovili detti “cuiles” e i segni della bonifica agraria.
Baratz è oggi il palcoscenico appartato tra natura e cultura al quale accostarsi con la categoria di conoscenza della fiaba, della storia e dell’incursione dei sensi.