DANTE E LA SARDEGNA: VERITA’ E LUOGHI COMUNI SULL’ISOLA NELL’OPERA DANTESCA

Dante Alighieri

di ROBERTA CARBONI

Il 25 Marzo del 1300 iniziava il viaggio allegorico di Dante Alighieri tra i luoghi ultraterreni descritti nella sua opera più celebre, la Divina Commedia. Per questo è stata istituita una ricorrenza particolare, il “Dantedì“, la giornata dedicata a Dante ed istituita per la prima volta nel 2020 dal ministro della Cultura Dario Franceschini e che quest’anno cade nell’anniversario della morte del poeta, avvenuta 700 anni fa, tra il 13 e il 14 Settembre del 1321.

Dante è senza dubbio uno tra i personaggi storici più celebri di tutti i tempi, e la Divina Commedia, non a caso, è stata definita come una tra le opere letterarie più “pop” che siano mai state scritte. Non solo ha ispirato artisti e intellettuali fin dalla sua prima pubblicazione, ma in tempi recenti ha offerto numerosi spunti per romanzi, film, canzoni e perfino videogames. Ma non è tutto. Perfino il linguaggio dantesco, nella sua complessità di significati, ritorna spesso nel parlare comune. Pensiamo, ad esempio, alla frase forse più famosa, che è quella dell’incipit: “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita”. Questa terzina apre il I Canto dell’Inferno e ad essa è affidata buona parte del significato della Divina Commedia. Frasi come questa, o come “amor ch’a nullo amato amar perdona” o “galeotto fu’l libro e chi lo scrisse” sono presenti nei testi di canzoni, nei film, nella pubblicità, negli slogan affidati al merchandising. Insomma, la cultura moderna è permeata di riferimenti al mondo e al linguaggio dantesco.

Dante ha dipinto il mondo del suo tempo con estrema precisione e grande capacità critica degna di un abile cronista. Tuttavia è incappato in alcuni errori grossolani imputabili alle conoscenze e ai limiti geografici del tempo, ai suoi sentimenti e alle sue convinzioni frutto di pregiudizi ereditati dalla cultura precedente che lo hanno tratto in inganno.

Molte di queste imprecisioni riguardano la Sardegna, che viene spesso citata nelle varie cantiche della Commedia, al punto da farne ipotizzare una sua conoscenza diretta, magari a seguito di un breve viaggio.

L’idea di un presunto viaggio di Dante in Sardegna

Molti studiosi sostengono che Dante non abbia mai messo piede in Sardegna e ne dia un giudizio approssimativo unicamente sulla base di luoghi comuni scaturiti dalla sua conoscenza degli autori classici – Cicerone in primis – che non erano stati molto benevoli nella descrizione dei sardi e della Sardegna. Altri ancora, invece, sostengono che Dante sia stato in Sardegna durante il periodo di reggenza del Giudicato di Gallura da parte di Nino Visconti (amico intimo di Dante, citato anche nel Purgatorio) o ancora durante il suo esilio presso la corte dei Malaspina, che vantavano numerosi possedimenti nel Logudoro. Da questi brevi soggiorni il Poeta avrebbe avuto modo di entrare in contatto con usi, costumi e tradizioni del popolo sardo proprio in un momento cruciale della sua storia – quello dei Giudicati – nel quale la Sardegna si trovava pienamente inserita nel contesto politico europeo. Non bisogna poi dimenticare una cosa: nel XIII secolo i viaggi tra la Toscana e la Sardegna erano decisamente frequenti e duravano appena due giorni di traversata in un tratto di mare relativamente tranquillo. Inoltre i pisani avevano interessi nel Giudicato di Cagliari, ed una tra le più nobili famiglie toscane – i Massa di Lucca – avevano in mano la reggenza dello stesso tramite la giudicessa Benedetta. Sarà proprio lei a concedere nel 1216 il colle di Castrum Karalis alla Repubblica Marinara di Pisa. Quale che sia la verità storica, dunque, Dante conosceva molto bene le vicende della Sardegna del XIII secolo e la sua volontà di raccontarle – a dispetto del silenzio totale riservato all’isola da parte dei suoi contemporanei – è decisamente degna di nota.

I riferimenti alla Sardegna nell’opera di Dante

Il primo errore che Dante commette sulla Sardegna riguarda la sua lingua. Nel “De Vulgari Eloquentia”, che compose fra il 1303 e il 1305, il Poeta afferma che i sardi non possiedono una propria variante volgare originatasi dal latino – come nel caso delle lingue romanze – ma che piuttosto imitassero nel loro dialetto il latino “come le scimmie imitano gli uomini”. Oggi sappiamo bene che il sardo – soprattutto nelle sue varianti barbaricina e logudorese – è a tutti gli effetti una lingua e che tra l’altro ha mantenuto molti legami con la lingua latina.

Quanto alla “Divina Commedia“, invece, i riferimenti alla Sardegna sono presenti sia nell’Inferno che nel Purgatorio. Cominciamo per ordine.

Nel XXII Canto dell’Inferno, Dante colloca i cosiddetti “barattieri”, ovvero i dannati della V Bolgia dell’VIII Cerchio dell’Inferno, colpevoli di aver usato le loro cariche pubbliche per arricchirsi attraverso la compravendita di provvedimenti, permessi e privilegi. Si tratta, in pratica, del moderno reato di concussione, e fu la stessa accusa, falsa, rivolta a Dante dai Guelfi Neri di Firenze al momento dell’esilio. I “barattieri” giacciono immersi nella pece bollente che li ricopre totalmente, sorvegliati dai Malebranche, demoni alati armati di bastoni uncinati coi quali afferrano e straziano ogni dannato che tenti di emergere in superficie. Tra i barattieri sono presenti due sardi, Frate Gomita e Michele Zanche (ne parlo in questo articolo dedicato ai due sardi dell’Inferno di Dante). E’ uno dei dannati, Ciampolo di Navarra, a raccontare a Dante e Virgilio dei due sardi che, essendo sepolti sotto la pece bollente, non hanno modo di farsi vedere. E’ costui, quindi, a riferire quella che sembra essere una fastidiosa abitudine dei sardi – parlare in continuazione della propria terra anche senza conoscersi tra loro – attraverso la frase “e a dir di Sardigna le lingue lor non si sentono stanche”.

Ancora nell’Inferno, nel XXVI Canto, come fa notare Francesco Casula nel suo libro “Viaggiatori italiani e stranieri in Sardegna”, Dante commette un’altra imprecisione, stavolta sulla posizione geografica dell’isola rispetto alla Spagna e l’Africa Settentrionale.

L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna

fin nel Morrocco e l’isola de’ sardi

e l’altre che quel mare intorno bagna.

Da queste parole, pronunciate da Ulisse, sembra che la Sardegna si trovasse in prossimità dell’estremo occidente mediterrano, sotto la Corsica ma sopra il Marocco, ovvero molto più in prossimità della Spagna.

Più preciso dal punto di vista geografico, invece, Dante lo è nel XVIII canto del Purgatorio, parlando del percorso notturno della luna:

E correa contro’l ciel per quelle strade

che’l sole infiamma allor che quel da Roma

tra sardi e’ corsi il vede quando cade.

Sicuramente le carte geografiche dell’inizio del XIV secolo peccavano di precisione e Dante si limita ad una trattazione geografica abbastanza sommaria, essendo più preoccupato dell’aspetto politico.

Sempre nell’Inferno, al canto XXIX, Dante non sembra riservare parole benevole alla Sardegna parlando della presunta insalubrità dell’aria a causa delle zone paludose:

Qual dolor fora, se de gli spedali di Valdichiana tra il luglio e il settembre e di Maremma e di Sardigna i mali fussero in una fossa tutti insembre

Questa consuetudine di considerare la Sardegna come una terra malsana e arida era frutto di un’eredità classica a quanto pare molto ben radicata, che andava avanti da Cicerone in poi, e che ritroviamo anche nel riferimento al poeta sardo Tigellio Ermogene, al quale è attribuita erroneamente la celebre “Villa di Tigellio” lungo la via omonima a Cagliari. Il cantore, originario di Caralis, viene descritto come un abile musico, anche se “più pestifero della sua terra”, la Sardegna.

Ulteriori riferimenti all’isola si trovano nel Purgatorio, nell’VIII e nel XXIII canto.

Nel primo il poeta descrive l’incontro con Ugolino Visconti, che chiama Nin gentil, Giudice di Gallura e figlio di Giovanni Visconti, capo dei Guelfi di Pisa, la cui figlia Giovanna, rimasta orfana del padre sarebbe stata spogliata dai Ghibellini di tutti i suoi beni, se il papa Bonifacio VIII non fosse intervenuto in difesa di lei, quale figlia di un grande esponente del partito guelfo sostenitore del papato. La moglie, Beatrice d’Este, rimasta vedova, passò a seconde nozze con Galeazzo Visconti, signore di Milano: Nino, mortificato dalla infedeltà della moglie, sia coniugale sia politica, dà di lei un giudizio molto severo. Afferma inoltre che l’insegna del secondo marito, Galeazzo Visconti di Milano (una vipera) sulla tomba di Beatrice, non avrebbe dato alla sua memoria tanto prestigio e onore quanto l’avrebbe data l’insegna dei Visconti di Gallura (il gallo).

Il secondo accenno è nel canto XXIII, versi  94-96. Qui il poeta, appena giunto presso un albero carico di frutti, bagnati da chiare e fresche acque, s’incontra con il suo amico e parente Forese Donati di Firenze, il quale parla di sua moglie Nella e della licenziosità delle donne fiorentine e della Barbagia di Sardegna. Secondo il Donati, infatti, le donne barbaricine sarebbero state poco inclini al pudore, al punto da diventare un efficace termine di paragone per descrivere atteggiamenti lascivi e volgari. Forese Donati, infatti, si rammarica di aver lasciato sua moglie vedova a Firenze, città popolata da donne ancor più scostumate delle donne barbaricine. Questa diceria è frutto di leggende mai accertate ed anzi, giudicate molto improbabili dagli storici, secondo cui le donne barbaricine solevano andare in giro con il seno scoperto.

Che Dante sia stato in Sardegna, insomma, poco importa. Dalle sue descrizioni dell’isola, sebbene in alcuni tratti un pò traballanti, emerge una visione completa e attenta dei principali personaggi e avvenimenti storici del XIII e XIV secolo, portandoci a riflettere sull’idea.

https://www.meandsardinia.it/

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Un commento

  1. Alessandra Atzori

    Articolo interessante. Si trovano in rete, ogni tanto, dei brani letterari che sembrano rendere un po’ di giustizia alla maltrattata Sardegna. Qui sotto, attraverso il link, se ne trova uno, in Sardo e in Inglese, che guarda i Sardi, con gli occhi di Dante, con un rinnovato interesse. Fermo restando che la grandezza di Dante è al di sopra del tempo e dello spazio.
    P.S. L’unica cosa di simpatico che Dante abbia scritto della Sardegna e sui Sardi, a mio parere, è proprio quella annotazione su Zanche e e sul frate, quella del canto XXII dell’Inferno che a me non pare per niente fastidiosa.

    https://idiomalatinos.wordpress.com/2017/12/26/viaggendi-in-su-spatziutempusu-cun-virgiliu/

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