di LUCIA COSSU
Sa meighina de s’oju è una medicina popolare sarda, che ha attraversato indenne i secoli, di generazione in generazione, è sopravvissuta alle ostilità della Chiesa e della medicina ufficiale e ancora oggi è in uso nonostante il progresso, lo scetticismo e la globalizzazione.
Un forte mal di testa, un malessere generale o tutta una serie di disavventure, più o meno gravi, possono essere causati da una colpadura de oju, dal malocchio. Che fare?
Le nostre nonne e i nostri nonni e anche i nostri genitori avevano e hanno pochi dubbi: sa meighina de s’oju può curare ed eliminare questo male subdolo. Si va subito a casa de sa tia, la signora che in paese sa fare la medicina, o la si chiama al telefono – il progresso, no?! – e in poco tempo tutto si risolve: il mal di testa scompare, tutto ciò che sembrava, misteriosamente e improvvisamente, bloccato riprende vita e movimento.
E noi, noi che facciamo? Noi donne e uomini che viviamo la contemporaneità? Quanti di noi ricorrono a questa cura antica? Quanti di noi conoscono storie de meighinas de s’oju salvifiche?
Se siete diffidenti e avete uno sguardo scettico, o siete semplicemente curiosi, potete fare un esperimento: chiedete ai vostri conoscenti e ai vostri vicini e scoprirete quanto questa pratica sia ancora viva e sentita. E soprattutto praticata.
Il colpo d’occhio genera malessere psicofisico, uno stato di dolore che nessuna medicina sembrerebbe curare. Il primo sintomo, solitamente, è un forte mal di testa, seguito da uno stato di malessere diffuso, che riguarda non solo il fisico, ma anche lo spirito e, in generale, tutte le faccende che si stanno svolgendo.
La fascinazione, che soggioga attraverso lo sguardo o le parole, è sempre frutto di gelosia, cattiveria e invidia ma non sempre chie est ojitortu è consapevole del proprio potere nefasto «Basta poco –dicono gli anziani- quando ti fanno un complimento, che ti tocchino sempre».
Ci sono persone più deboli e suscettibili, specie i bambini: si raccontano storie di persone ridotte in fin di vita e salvate miracolosamente dalla medicina popolare.
Tutti noi, abitanti o frequentatori dei paesi, conosciamo donne che praticano sa meighina de s’oju. Le conosciamo perché, almeno una volta nella vita, abbiamo fatto ricorso al loro aiuto: che ci abbiano inviato da piccoli nelle loro case per chiedere qualche medicina alle persone o al bestiame, o magari la richiesta di aiuto è la nostra.
Le donne che praticano questa medicina popolare sono profondamente religiose, ci accolgono nella loro casa: le pareti e i mobili tappezzati di immagini e di statuette di santi e Madonnine.
Non c’è un nome che definisca chi, silenziosamente, compie un atto di carità e di cura senza avere in cambio alcun tipo di compenso in denaro, possono accettare un dono, niente più. È una missione, la loro: rivestono un ruolo riconosciuto e rispettato all’interno della Comunità.
Sa meighina de s’oju è, quasi sempre, una storia al femminile, che si tramanda di madre in figlia, di zia in nipote, oppure tra vicine di casa: è sempre una donna adulta o anziana che trasmette il proprio sapere a una donna più giovane. La medicina non è fatta solo di formule e segni antichi, occorre una certa predisposizione, un dono di natura, che accompagni e guidi la gestualità.
Il rito viene praticato con diverse modalità e oggetti, a seconda del paese o della tipologia del male: grano, olio, pietre. Ci sono, però, alcuni comuni denominatori, quali la ripetizione costante del nome della vittima della fascinazione, la litania di preghiere e di orazioni, l’acqua, un altro elemento fondamentale è il segno della croce ripetuto più e più volte.
Ci sono diversi sistemi per evitare sa colpadura de oju: indossare la biancheria intima al contrario, o portare con sé su pinnadellu, il gioiello di pietra nera; anticamente si utilizzavano i brevi, dei piccoli manufatti realizzati a scopo protettivo.
Sa meighina de s’oju ci apre un mondo ricco di fascino, che riconosce grande potere alla mente umana, un potere di manipolazione, che si esplicita attraverso sguardi e parole. E sono i gesti antichi e, ancora una volta, le parole che riescono a neutralizzare e annullare quel potere: parola scaccia parola, gesto scaccia sguardo cattivo.
È una pratica di razionalizzazione dell’ignoto, che precede antidolorifici e antibiotici e non necessita di bugiardini, occorre solo crederci. È un atto di cura e di amore verso il prossimo, che ci ricorda quanto le parole e la fiducia nell’altro siano salvifiche, quanto, talvolta, potrebbe essere utile affidarsi agli altri e crederci.
Sono tanti i temi urgenti in questo periodo – ogni tempo, del resto, vive le sue urgenze, per poi scoprire quanto spesso siano mere contingenze- perché ho deciso di parlare di questi rimedi antichi?
È stato un libricino, che mi è capitato tra le mani qualche giorno fa, ad offrirmi l’occasione di ripensare a questo argomento controverso: perché se interrogati in merito il più delle volte mentiamo, consapevoli di mentire!
Il tema è interessante, tanti sono gli scritti e le ricerche in merito, una di queste è Sa mejighina ‘e s’oju. Ritualità medico-religiosa nel Nord Sardegna, il libricino, pubblicato dalla casa editrice Domus de janas, nel 2020.
Nel testo sono esposti i risultati di un’inchiesta etnografica condotta da Corinna Sabrina Guerzoni nel 2009 a Ittiri, nel nord Sardegna, circa il rituale praticato dalle guaritrici locali per scacciare il malocchio dai soggetti colpiti.
Corinna Sabrina Guerzoni è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Bologna, in questo studio si è allontanata dai suoi principali interessi di ricerca che sono l’omogenitorialità, le nuove forme di famiglia, la procreazione medicalmente assistita, la riproduzione transnazionale e l’embriodonazione, per occuparsi di tradizioni popolari e antropologia medica. Cinque le donne intervistate, tutte, all’epoca, avevano un’età superiore ai cinquant’anni, è presente anche la testimonianza di una centenaria.
È un testo agile che presenta pratiche, usi e significati di questa medicina popolare, vista anche in rapporto con la modernizzazione e con la Chiesa.
Se siete curiosi e volete sapere qualcosa in più su questa pratica antica, leggetelo! È un pezzo della nostra storia, ed è ancora parte del nostro presente.
www.lacanas.it
Io la conosco come s’abba e s’ogu e (l’acqua per togliere il malocchio) ci credo e da quando ho imparate tecniche di altre culture come il reiki ad esempio, ne capisco di più la logica energetica 🙂
Si utilizza il verde, di una specifica tonalità, per proteggere, ai bambini si regala un braccialetto da indossare come scudo.
Sarebbe un onore per me se un giorno mi fosse tramandato.
Io ho mia nonna che la fa con una pietra e L olio, però a me è stata passata dalla madre di una mia amica ma vorrei imparare quella di mia nonna, e in più mi piacerebbe imparare anche quella col grano , e tanti altri riti della Sardegna 😉
Ah scusate volevo aggiungere che mi è stata insegnata con la pietra , solo che mi affascina molto anche quella di mia nonna e mi sembra più bella Perchè usa anche L olio, ma lo usa solo quando il malocchio è molto forte, così ho capito .