di ANNA MARIA TURRA
Dal Giappone alla Sardegna e viceversa. Da un’idea fissa di Emiliano Cappellini che, dopo il suo piano di studi universitari e un tirocinio a Tokyo all’Atelier Opa, decide di forzare la mano. E che le due realtà fossero compatibili, in termini di bellezza e di ricchezza, lo dimostra il risultato: una pubblicazione realizzata con i fondi della Kogakuin, una delle maggiori università di Tokyo. Lo studente di Porto Torres non è famoso ma ha un grande seguito: già prima della sua laurea ad Alghero, inseguendo la logica dell’architetto, progetta e costruisce fondamenta nelle relazioni; insiste sull’esigenza di rendere determinanti i contenuti della tradizione isolana, fruibili al popolo del Giappone: l’Atelier Opa è lo snodo perfetto, Suzuki e la moglie Yuki Sugihara, vengono travolti dall’idea del giovane Cappellini e dallo stile arrembante di una mentalità che è edificio di rapporti umani, connessioni e ispirazioni.
Così diventa inevitabile che l’architetto Toshihiko Suzuki gli chieda di iniziare a progettare la versione di Niche interamente dedicata alla Sardegna. Emiliano Cappellini prende la cosa molto seriamente, così come i suoi 27 anni impongono.
«Mi sono accorto che Tokyo conteneva ben 5 ristoranti di cucina tipica sarda – dice Cappellini – oltre che un seadas caffè, dalle seadas più buone di quelle di mia nonna. Mi sono incuriosito e ho scoperto che i prodotti sono interamente d’importazione.» Così chiama a raccolta un team di sardi replicando la tradizione del tutto isolana di far fronte alla sfida restando compatti, divertendosi e imparando. «Quando sei all’estero – confida Emiliano Cappellini – scatta tra italiani una solidarietà che è un misto tra nostalgia e orgoglio d’appartenenza.» Un sentimento che con ogni probabilità il nonno di Cappellini chiamerebbe patriottismo, ma al nonno si rizzerebbero i capelli per le seadas salate che gli imprenditori di Tokio azzardano nel loro menù. Eppure, Cappellini le trova strepitose, dice che sono da provare e aggiunge che un format del genere funzionerebbe benissimo anche in Italia. L’impressione è che, pur non avendo inventato niente di nuovo, con questo volume si sancisca qualcosa di davvero diverso, eppure di profondamente uguale nel tempo: la proprietà dell’isola di galleggiare ovunque nell’incanto.
Terra emersa in un testo, non solo di archeologia o cucina, unico caso al mondo di pubblicazione in lingua giapponese con uno sguardo finalmente rivolto all’ampiezza del patrimonio culturale sardo. Riesce, tramite l’architettura, a indagare e condurre, interpretare e consegnare lo spazio totale in chiaroscuri organizzati dal linguaggio che questa disciplina esercita. In uno styling caratterizzato da un font leggibile e pulito, l’eleganza sobria del layout è quella della rivista ma la funzionalità è propria della guida che, con le sue oltre 250 pagine, si colloca di diritto nella categoria libro. E sfida l’epica perché è un viaggio tra incontri e ritrovamenti: a Tokyo Cappellini va letteralmente a scovare Giovanni Piliarvu, il fotografo sardo che si è stabilito in Giappone. Ne nasce un team editoriale, guidato da Suzuki, che si arricchisce del prestigio dei migliori addetti ai lavori italiani e si alterna a firme giapponesi quali: Tomoaki Nakashima, Kazuo Tsuchiya, Hiroshi Kagawa, Hidenobu Jinnai e Terunobu Fujimori. Per la storia scrive Andrea Lutzoni, architetto di Porto Torres, per l’apertura al design Stefano Ercolani, architetto di Sassari; Giovanni Fancello, punta di diamante della cucina sarda, con Stefano Resmini decretano gli aspetti di un’evoluzione culturale che percorre l’arte e ne dettaglia una svolta direzionale.
In un pensiero che è anche idea fissa, Emiliano Cappellini fa dell’appartenenza qualcosa in grado di generare.
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Bravi ragazzi!