di GIANRAIMONDO FARINA
Le recenti questioni aventi ad oggetto il vaccino Astrazeneca, possono avere due diverse chiavi di lettura: una più politologica e l’altra di carattere più politico-economico.
Innanzitutto, con riferimento al primo punto, che tocca sostanzialmente il rapporto tra scienza e politica, ci si è resi, da subito, conto che l’insorgere della pandemia sarebbe stato di gravità epocale, mettendo in discussione i risultati conseguiti in questi ultimi decenni. E fra i politici internazionali vi sono stati, da subito, i “minimizzatori” alla Trump, alla Bolsonaro ed anche alla Johnson. Posizioni che, poi, li hanno, comunque, fatti ritornare, con sfumature differenti, alla “dura realtà delle cose”. In Europa la questione sembra sia stata affrontata con connotazioni differenti. Alessandro Mazzucco, ex rettore dell’ Università di Verona, di recente, ha bene evidenziato come “un sisma globale come la pandemia tenda, di per sé, a destrutturare i processi democratici”. Motivo per cui, oggigiorno, si è giunti all’accentuazione della dicotomia tra scienza e politica.
Sempre secondo questa impostazione assistiamo, da un lato, ad un’opinione pubblica piena di esigenze verso la conoscenza scientifica con, dall’altro lato, l’opportunità politica che vuole prevalere sull’azione di governo che dovrebbe, invece, tutelare, i veri interessi generali. Questa dura contrapposizione tra scienza e politica ha avuto un ultimo sviluppo clamoroso proprio riguardo la crescente ostilità, diffusasi anche in Italia in merito al vaccino Astrazeneca, studiato con rapidità ad Oxford, in collaborazione (occorre ribadirlo) con il nostro IRBM di Pomezia. Ora, oltre comunque gli aspetti critici legati alle consegne tardive dei lotti ed alla partenza della campagna vaccinale, si sono aggiunte alcune improvvide dichiarazioni di presunti politici (si veda il caso tedesco), che hanno causato non limitati danni. La Gran Bretagna, occorre precisare, grazie a questo vaccino distribuito in milioni di dosi, dopo l’irresponsabilità manifestata nella gestione della prima fase, ora stà rivedendo “la luce in fondo al tunnel”. Per fare un esempio concreto, le scuole inglesi si stanno riaprendo, mentre quelle italiane del governo “dei migliori” a colori, no.
Ennesimo atto di un dramma, perché tale può essere definito, è l’interruzione della distribuzione del vaccino Astrazeneca in Europa, essenzialmente su pressione tedesca. Scelta, comunque, non condivisa con l’Ema, l’agenzia comunitaria competente per i trattamenti farmacologici. E’, per certi versi, un passo da intendersi come essenzialmente politico. Contrariamente a quanto asserito da alcuni studiosi studiosi di “spy finanza” del calibro di Mauro Bottarelli, tendenti, invece, a giustificare l’atteggiamento del governo Merkel, è importante rilevare come, in questo caso, ad un “diktat” di Berlino, gli altri paesi europei come l’Italia o la Francia non abbiano saputo dire di no. La politica ha determinato e condizionato la scienza e l’ignoranza della scienza, da parte della politica, è stata letterale e totale.
Allo stesso modo è stata traumatica, a parere del sottoscritto, l’interruzione di questo indirizzo vaccinale affermato e consolidato. Occorre precisare che le notizie in merito a questi presunti eventi negativi non siano mai state così allarmanti, come approvato da medici e scienziati.
A questo si deve aggiungere, però, che la recente decisione di Ema, di riabilitare Astrazeneca, da un lato è stata accolta positivamente; dall’altro, a detta di molti opinionisti ed esperti del settore, rischia di essere pilatesca. Infatti, il documento elaborato dall’Agenzia europea precisa che, dopo aver confermate l’efficacia e la sicurezza del vaccino, non possa essere escluso “un legame con i rari casi tromboemblici, e perciò occorre avvertire di questa possibilita’”. Insomma, una definizone di cui si si sarebbe potuto fare a meno e che “riporta la palla” dalla parte della politica, con il rischio, plausibile e realistico, come denunciato da Francesco Pregliasco, di fare di Astrazeneca un “vaccino di serie B”.
La domanda, a questo punto, sorge spontanea: perché Astrazeneca dà fastidio?
Innanzitutto per i dati economici. Le dosi di Oxford sono più economiche, facili da trasportare e conservare. Quelle del tedesco-americano Pfizer costano otto volte di più, cosiccome quelle di Moderna, per cui, comunque, mancano dei dati effettivi sull’efficacia nella popolazione.
Andiamo ancor più nel concreto. Stando ai costi pattuiti dalla Commissione UE, per Astrazeneca si è stabilito l’acquisto di 300 milioni di dosi di vaccino al costo, per dose, di 1.8 euro, con un versamento complessivo, da parte dei paesi UE di 550 milioni di euro. Per il vaccino americano-tedesco la spesa potenziale sarebbe di 43.6 miliardi per 300 milioni di dosi. Per Moderna, prezzo 15 euro a dose, il costo si aggirerebbe sui 4.6 miliardi. Su Johnson&Jonhnson, costo 7 euro a dose, l’UE ne ha già pre-acquistato 200 milioni per una spesa parziale di 1.4 miliardi.
Ora la riflessione politica, strettamente connesse a tali dati. Astrazeneca è un’azienda a guida inglese e svedese, con vaccino prodotto ad Oxford in collaborazione con la nostra IRBM di Pomezia. “Dentro” Astrazeneca ci sono due Stati effettivi, Gran Bretagna e Svezia con qualche “problema” in Europa. La Gran Bretagna, ormai fuori per via della “Brexit” e la Svezia, già sotto l’occhio del ciclone per il modo “light” con cui ha affrontato la pandemia. Ci sarebbe (il condizionale è, purtroppo, d’obbligo), per quanto riguarda il ruolo ed il lavoro svolto dall’IRBM di Pomezia, anche l’Italia. Ma, come si sa, e come ha denunciato il presidente ed AD di IRBM Piero Di Lorenzo, il ruolo del nostro paese a difesa di un vaccino, che in parte è “suo”, è stato del tutto ininfluente.
Ecco, quindi, poi, spiegata la decisione pilatesca di Ema, che “riporta la palla” nel campo della politica. E si ragiona, ancora una volta in termini di dati economici e costi. Uno stop definitivo di Astrazeneca sarebbe costato alle casse UE 200 milioni di euro con un peso, per l’Italia, di 70 milioni. A questo si sarebbero dovuti aggiungere costi per una sostituzione del vaccino fissati intorno ai 2.5 miliardi di euro che, sommati a quelli già versati dall’UE ad Astrazeneca, avrebbero portato, per l’UE, il danno patrimoniale a 2.9 miliardi. Per l’Italia la sostituzione sarebbe costata intorno ai 300 milioni di euro.
Per concludere, davanti ai rilevanti costi di uno stop o di una sostituzione definitiva, si stà preferendo e subendo, per volontà politica esterna, il declassamento di un vaccino la cui validità ed efficacia è stata più volte testata. Il tutto, come già accennato, nel silenzio generale, per non dire connivente, di un governo che, in merito, data la collaborazione attiva dell’IRBM di Pomezia con Oxford per la produzione del vaccino Astrazeneca, avrebbe potuto avere tanto da dire.
La politica dovrebbe farsi da parte quando si parla di Sanità