di MATTEO PORRU
Mancano due giorni a capodanno ma quel capodanno, Benvenuto Lobina, non lo festeggia. Perchè, il 29 dicembre 1993, lo porta via una leucemia fulminante, che lo divora da dentro, in qualche mese. Abbastanza dolore per spegnere qualunque essere umano, qualunque. Ma non lui che, nonostante il sangue sporco che lo sta consumando, continua a scrivere un romanzo, il secondo: si chiama Bonas tardas, Magestà, ma non riuscirà a finirlo.
È tutto quello che ha per continuare a vivere e rivivere e tornare indietro, quando quelle mani erano piccole e calde, del lui bambino che giocava in campagna, a Villanova Tulo. E scriveva poesie a quattordici anni e vinceva premi e, quando arrivò a Cagliari per lavorare alle poste, e Cagliari per lui era gigante, lo rapì il futurismo e quell’andirivieni di menti e idee fra via Roma e piazza Yenne.
La parentesi militare ad Addis Abeba, una parentesi graffia con mille peripezie, gli spense la vena che però si riaccese, in sardo, sulle pagine de La Nuova Sardegna, e scriveva tanto bene, il Lobina, che la redazione gli chiese ancora più testi, da riempire le rubriche. E farci un libro, il primo, ”Terra, disisperada terra”, diciannove liriche di vita e di identità. Il sardo gli andava tanto a genio che anche i suoi amici più cari, Sergio Atzeni e Giulio Angioni su tutti, gli suggerirono la narrativa, la storia scritta con le frasi, senza versi.
Eppure Benvenuto riuscì nell’impresa più difficile e importante per ogni scrittore. E quando i due lessero la bozza del romanzo, Po cantu Biddanoa, non ci volle molto perchè capissero che erano davanti a una prosa diventata poesia. In sardo, e in italiano a fronte pagina, Benvenuto torna a Villanova Tulo, dove torna l’aiutante di battaglia Luiscu, che affronta i demoni e i mostri emersi fra due guerre, il futuro che lo attende, il passato che ruggisce.
Un capolavoro che gli valse il Premio Casteddu de sa fae di Posada e la consapevolezza di aver scritto uno dei testi fondamentali della letteratura sarda.
Con quelle mani che ora guarda con gli occhi pesti, sempre più vuoti, sempre più assenti. Mancano due giorni a capodanno e gli fa male andare via. Ammesso che si vada via davvero così. C’è qualcosa di più forte della ne: la riconoscenza di un paese che gli dedica un premio, un capolavoro regalato alla letteratura, una vita che gli ha regalato tante storie. Con quelle mani.