di ROBERTO SANNA
Eva e Mara sono tornate. Stanno “quasi” facendo amicizia, tra battute feroci e momenti di confidenza, ma a rovinare l’atmosfera rendere più impervio il loro percorso arriva improvvisamente Vito Strega. Insieme al quale dovranno risolvere un caso intricato e feroce, che «comincia quando diecimila italiani ricevono sul proprio telefonino lo stesso messaggio da un numero sconosciuto. È un link a un video intitolato “La Legge sei tu”. Molti vengono contattati attraverso i social network: Facebook, Instagram, Snapchat, Telegram, Twitter, Whatsapp, etc. Il frame sembra quello di un video di YouTube, ma si tratta di una piattaforma sconosciuta. Molti lo aprono. Il video mostra due persone. La prima è legata a una sedia, ferita, in evidente stato di segregazione. La seconda è una figura maschile incappucciata: indossa una maschera dai tratti demoniaci». Il resto è tutto da scoprire nelle pagine di “Un colpo al cuore”, il nuovo romanzo edito da Rizzoli di Piergiorgio Pulixi che proprio oggi ritorna in libreria un anno e mezzo dopo il trionfo al Premio Scerbanenco con “L’isola delle anime”.
Un premio che lo ha definitivamente consacrato nel gotha dei migliori interpreti italiani del genere noir, un’aria rarefatta che aveva già assaporato col precedente “Lo stupore della notte”, il suo primo romanzo edito da Rizzoli che aveva vinto il premio dei lettori allo Scerbanenco 2018. In questi casi si dice sempre che il passo successivo è quello più difficile e Piergiorgio Pulixi, 39 anni, di Cagliari, cresciuto nel collettivo Sabot fondato da Massimo Carlotto, ha scelto di farlo mantenendo vive le applauditissime protagoniste de “L’isola delle anime”. “Un colpo al cuore” è anche un libro figlio dei tempi del covid, come racconta l’autore: «In un primo momento doveva uscire nel giugno dello scorso anno – dice Pulixi– poi abbiamo deciso di rinviare la data. Questo mi ha dato comunque l’opportunità di riscriverlo tenendo conto quelle che sono diventate le nuove esigenze dei lettori al tempo del covid: l’intrattenimento, una storia scorrevole, la voglia di dimenticare tutti i guai e le ristrettezze di questi tempi. “L’isola delle anime” invece approfondiva maggiormente il lato antropologico».
Come ritroveremo le protagoniste del precedente romanzo? «Il loro rapporto ha subìto un’evoluzione. Stanno diventando amiche, ma ancora non possiamo definirle tali. Tra loro, sicuramente, adesso c’è più stima, anche se non mancano i battibecchi perché si sentono comunque le loro radici diverse. Questo rapporto che si va creando subisce però una frattura quando irrompe Vito Strega, un personaggio che arriva da una mia precedente serie di romanzi, e la squadra diventa di tre persone. Vito è un personaggio ingombrante, rompe gli equilibri, ma l’indagine è serrata e loro devono raggiungere un compromesso perché bisogna trovare un assassino».
Che sensazione si prova nel momento in cui si deve scrivere il romanzo successivo a quello che ha vinto il Premio Scerbanenco? «Diciamo che, a prescindere da questo riconoscimento prestigioso, per uno scrittore ogni volta è sempre più difficile cimentarsi in un nuovo libro. Bisogna reinventarsi, fare sempre un salto di qualità. E ovviamente il peso di un premio come lo Scerbanenco si sente. Il segreto credo sia solo quello di concentrarsi: sulla storia, le emozioni, la trama, l’ironia. Perché comunque bisogna far divertire il lettore».
La storia si muove tra la Sardegna, la sua terra natale, e Milano, la città dove vive da qualche anno. Quale Sardegna racconta, questa volta? «Dico sempre che la Sardegna, dal punto di vista del noir e del thriller, continua ad avere un potenziale altissimo. Ne “L’isola delle anime”, come ho detto, c’era un lato antropologico e storico molto importante. Questa volta spazio molto tra Cagliari e il sud della Sardegna e racconto la modernità delle città, con un gioco continuo di pregi e difetti e differenze. Contrappongo anche due realtà, perché la storia si svolge al cinquanta per cento nella nostra isola e nell’altro cinquanta a Milano: la natura della Sardegna con l’alienazione che le persone vivono nella giungla visuale della metropoli».
Restando in tema di noir e Sardegna, i primi passi della scuola sarda risalgono ormai alla seconda metà degli anni Ottanta: come si è evoluta? «La differenza sostanziale sta nel fatto che i lettori, ormai, si sono abituati a certe situazioni. All’inizio ricevevano notizie destabilizzanti, non era normale sentir parlare di argomenti come la mafia, i legami con la Corsica, il narcotraffico, il riciclaggio di denaro, la mafia russa. Adesso hanno capito la “ratio” di quei libri: l’intrattenimento, fatto di emozioni e anche sorrisi. Rispetto agli anni precedenti, la realtà è molto più solida, queste notizie arrivano anche a loro. E a noi scrittori tocca ogni volta reinventarci per produrre questo intrattenimento».
Ha esplorato e continua a esplorare il genere noir anche con l’attività giornalistica sulla “Nuova Sardegna”. «Mi piace diversificare e credo che sia un’esigenza ormai comune a tutti gli scrittori. Nel senso che non possiamo più rimanere confinati nelle pagine dei nostri libri, perché soprattutto grazie alla televisione questo genere ha fatto un salto di qualità e ci sono molti modi per esprimersi: le serie tv, appunto, oppure i podcast. Uno che ha capito prima di tutti che ci sono questi nuovi territori da esplorare è sicuramente Carlo Lucarelli, che ha realizzato programmi seguitissimi».
Un nuovo libro è sempre seguito da un tour di presentazione con incontri di lettori: come ci si organizza in un momento come questo, dove i contatti e la presenza fisica sono ridotte al minimo indispensabile? «Ho sempre fatto tour molto intensi, però in questi casi lavorare online è necessario. Detto questo, non rinuncio alle presentazioni anche perché credo molto nelle librerie e nei librai, persone che hanno un ruolo fondamentale per la cultura. Comincerò già da domani e sarò presente fisicamente nelle librerie, anche in quelle sarde, per firmare le copie del libro. E dalle librerie farò le presentazioni online».
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