di PIETRO CLEMENTE
Negli anni ’90 del Novecento Antonio Gramsci è diventato uno dei pensatori più tradotti e conosciuti al mondo. Il grande storico inglese (anzi ‘gallese’ perché in quanto tale aveva un sentimento comune con Gramsci sardo) Eric Hobsbawm (l’autore de Il secolo breve e di tanti libri di storia sociale) ha detto di lui più o meno che Gramsci non è stato solo sardo, ma universale, e però se non fosse stato sardo non avrebbe potuto diventare di così grande e comune interesse. Dall’India, dal Messico, dagli Stati Uniti, dall’Australia, ma ancora prima dalla Francia e dal Regno Unito, il Gramsci carcerato che scrive in mezzo a mille difficoltà quell’opera frammentaria e insieme geniale che sono I Quaderni del carcere è diventato un punto di riferimento. Per capire il mondo dei ‘subalterni’ in India, per elaborare un modello del rapporto tra cultura ed economia nell’Occidente, per capire l’industrializzazione e le trasformazioni che produce sulla vita umana, le trasformazioni del potere e i processi di egemonia e di dominio. Anche nel campo degli studi antropologici ha avuto grande influenza, sia in Italia che negli Stati Uniti e nell’America Latina. Ecco dunque che questo piccolo sardo, un po’ deforme già dall’infanzia per una forma di tubercolosi ossea, morto a soli 46 anni dopo averne passato 11 in carcere si è rivelato una sorta di gigante della cultura. Ma non una enciclopedia. Lui non ha mai scritto un libro, nella fase della militanza socialista e comunista ha scritto articoli, saggi, ma poi, dopo la prigione, ha solo sottratto al tempo della sofferenza pensieri preziosi, scritture di grande intelligenza e umanità. E ha scritto tantissime lettere dove lui come uomo, marito, padre, figlio, sardo si presenta nella semplicità e nudità della sua vita affettiva e intellettuale di carcerato pieno di memorie e di idee. Forse anche per questo non è mai diventato un monumento ed è piuttosto un fermento ricco di umanità. Come onorare questa straordinaria figura della nostra terra in questo 2021 in cui lui Antonio, detto Nino, ha da poco compiuto 130 anni, e cento sono quelli da quando partecipò alla fondazione del PCI a Livorno, il giorno prima di compierne 30? La rete Distanti ma uniti. Casa Sardegna on line ha pensato di ricordarlo il 23 gennaio, il giorno dopo il suo compleanno, con l’evento C’era una volta. Gramsci. Le fiabe e i bambini, in un incontro di tanti sardi in diverse parti del mondo. L’evento consisteva in una visita virtuale nella sua casa di famiglia a Ghilarza, diventata casa-museo, e con la presentazione di alcuni racconti che egli scrisse per i suoi figli che stavano in Russia con la madre. Quei figli che non avrebbe più visto. Sono due racconti sardi. Uno è il ricordo della caccia a dei ricci che di notte facevano provvista di mele , l’altro è una fiaba a catena detta del topo e della montagna che Gramsci applica al suo paese come una sorta di sogno di riequilibrio ambientale dopo la grande distruzione di boschi che caratterizzò la Sardegna tra Ottocento e Novecento (entrambi pubblicati ne L’albero del riccio) . La visita a casa Gramsci è avvenuta in collaborazione con la Fondazione Casa Museo Gramsci, che ha una preziosa convenzione con la Fasi e con i sardi nel mondo. E le fiabe sono state lette da Enedina Sanna, narratrice algherese, e illustrate dal Maestro Francesco Del Casino, artista noto in Sardegna soprattutto come muralista negli anni delle lotte sociali ad Orgosolo. In questo caleidoscopico ritorno al Gramsci dell’infanzia sarda ci hanno accompagnato anche Giuseppe Manias della biblioteca gramsciana di Ales, il fumettista Sandru Dessì e su Tenore Murales di Orgosolo . Forse Nino da qualche parte dell’universo ci ascoltava e gradiva questo nostro modo di guardare a lui come un padre che raccontava ai suoi bambini lontani storie di sè bambino nella Sardegna tra Ottocento e Novecento.
Complimenti, caro Pietro, per il bellissimo articolo che dimostra – ulteriormente – l’attualità e la spessore del pensiero gramsciano, analizzato e studiato in tutto il mondo!