Non lo ferma nemmeno il coprifuoco del Covid. Il padre del trekking in Sardegna è un giovane di 80 anni e passa di Aritzo. Si chiama Francesco Calledda, ma tutti lo conoscono come Zigheddu.
Alla vigilia della sua ultima impresa, da Aritzo a Nuoro per la Madonna delle Grazie, mentre è intento a preparare il suo zaino, commenta la situazione con la massima serenità: “Non si può stare fuori dopo le 22? Pazienza, dividerò il mio viaggio in più tappe perché non si possono fare tirate lunghe. Va bene lo stesso”.
Potrebbe scrivere un libro sulla filosofia del camminare. Un piede davanti all’altro per pensare, stare in silenzio in mezzo a boschi o accanto a un fiume che scorre. Oppure chiacchierare perché non è un camminatore solitario: si comincia a parlare e, tra un discorso e l’altro, possono passare ore e chilometri. Ha aperto o riscoperto strade. Creato, di fatto, nuovi percorsi. Uno dei più belli è quello che racchiude storia e natura: 55 chilometri di sentieri tra monti, foreste, lago e fiume partendo da Aritzo, il suo paese, per arrivare a Lanusei. Non una scelta a caso. È la strada che i diciottenni dei paesi della Barbagia quando il Regno un secolo e passa fa si faceva sentire con una cartolina per la chiamata alle armi. Non c’erano auto, c’erano i cavalli. Ma molti il cavallo non lo avevano proprio. Qualche volta non avevano nemmeno le scarpe. Per arrivare sino a Lanusei in qualche modo riuscivano anche a procurarsele o a farsele fare. Ma dopo qualche chilometro, non abituati alle calzature, le scarpe se le mettevano al collo e camminavano scalzi.
Il cavallo al massimo lo usava il sindaco che li accompagnava e, una volta arrivati in caserma, diventava per i ragazzi una specie di carta di identità vivente: “Questo è Antonio Porcu- diceva al militare incaricato al ricevimento dei nuovi soldati presentandoli ufficialmente- questo è Efisio Piras”. E così via. La partenza del “cammino della leva” costringe a una levataccia. L’ora migliore per partire? Le 5. Il caffè si prende a casa perché i bar sono ancora chiusi. Poi via. In mezzo agli alberi della foresta di Girgini e prendendo come primo punto di riferimento e prima tappa il nuraghe Ruinas. Poi l’acqua che scorre affianco: è quella del Flumendosa. E, nuova ideale sosta, al lago di Villanova Strisaili. Da lì si punta a Lanusei. Verso quella caserma che c’era un secolo fa e c’è ancora. Era una specie di porta per il continente, a volta anche porta per l’inferno della guerra. Molti tornavano, ma qualcuno non tornava più. Zigheddu, che ha camminato anche tra i grattacieli di New York, la Sardegna la sta scoprendo così: passeggiate di allenamento a Cagliari tra il Poetto e la Sella del Diavolo. Una delle sue ultime imprese è il cammino di Bonaria, concluso la scorsa estate: da Olbia a Cagliari tra stradine e chiese campestri. Arrivo al Santuario in riva al mare del capoluogo tra telecamere e benvenuto del parroco. Fede e cammino. Ma anche fede, cammino e miniere. È il senso del Cammino di Santa Barbara. Sì, Santa Barbara la protettrice di vigili del fuoco e di minatori. È al momento il Cammino più organizzato e più “avanti” rispetto agli altri in fase di progettazione o decollo. Circa cinquecento chilometri nel Sulcis-Iglesiente-Guspinese: tre quarti del percorso su sentieri, mulattiere e sterrati. Il resto nelle strade lastricate dei centri urbani, solo pochissimi tratti sull’asfalto.
C’è di tutto: montagna e mare. La passeggiata è divisa in 30 tappe della lunghezza media di circa 16 chilometri ciascuna. A ritmo lento: gli itinerari si calcolano su una “velocità” di tre chilometri all’ora per consentire al pellegrino di assaporare tutto con calma.
Si viaggia con una credenziale, il “passaporto” del pellegrino che deve essere timbrato per testimoniare il superamento delle singole tappe. Tra le tappe più spettacolari da segnalare quella che arriva a Porto Flavia tra archeologia industriale e panorama con vista sul mare. Nulla toglie che il cammino di Santa Barbara si possa percorrere anche in mountain bike. E infatti qualcuno l’ha già fatto: quattrocento chilometri in cinque giorni. A proposito di due ruote c’è un suggestivo tracciato ricavato dalla ferrovia abbandonata che collegava Sanluri a Isili in un viaggio dal castello medioevale del Medio Campidano alle bellezze naturalistiche del Sarcidano. Magari lasciando la bici sulle rive del lago di San Sebastiano. E salendo a bordo di una canoa.