QUANDO LA GIORNATA DELLA MEMORIA ENTRA A SCUOLA: LA TESTIMONIANZA DIRETTA DI UN REDUCE DAI CAMPI DI CONCENTRAMENTO DEI NAZISTI

di TONINO BUSSU

In genere durante la Giornata della Memoria si rievocano personaggi e figure famose o provenienti da città e paesi lontani. Solo ultimamente si cominciano a fare ricerche più approfondite nei nostri archivi per rievocare le storie di persone provenienti dai nostri paesi, persone che magari abbiamo pure conosciuto, uomini o donne che, anche se non sono morte, hanno vissuto momenti terribili della prigionia e, solo per un caso fortunoso, solo scampati ai forni crematori dei nazisti.

Ebbene, agli inizi del secolo, quando ancora insegnavo la storia ai ragazzi, ogni tanto chiamavo alcune persone anziane che avevano  partecipato alla Seconda Guerra Mondiale e, tra questi, mi è capitato proprio un signore, che ho conosciuto benissimo, che è stato prigioniero in un campo di concentramento nazista, un reduce che, come tanti altri, molto gentilmente, con grande naturalezza, ha raccontato ai miei alunni la sua drammatica e toccante storia di internato e le grandi sofferenze e le crudeltà subite da lui e dai suoi compagni di prigionia, e il rischio di finire da un momento all’altro in un forno crematorio. I ragazzi ascoltavano in silenzio: stupiti e meravigliati. Io alla fine del racconto mi sono alzato, commosso, e l’ho abbracciato. La classe ha applaudito, alzandosi in piedi.

Ma ascoltate le testuali parole del reduce, che sembrano uscite da un libro di storia: “Tra il 1939 e il 1943 ero in servizio come carabiniere a Bari, ma mi recavo anche in Albania, a Tirana e Durazzo. Nel 1939 avevo 26 anni, mentre nel ‘43 era diretto verso l’Albania mi hanno fatto prigioniero i tedeschi, che mi hanno deportato in treno in un lungo viaggio verso la Germania in un campo di concentramento. Infatti la prigionia l’ho fatta a Dortmund per circa un anno; lì ho conosciuto tanti altri prigionieri sardi, italiani e russi. Il cibo era scarso, tanto è vero che da 89 kg. che pesavo inizialmente, sono dimagrito fino a pesarne 48 kg. quando mi hanno liberato gli americani nel 1945. Ho quindi sofferto la fame e il mio stato d’animo era tanto sofferente che non avevo nemmeno voglia di parlare con i compagni. Lavoravo in una fabbrica di armi, caricavo le cartucce con polvere da sparo e pallottole per fucili; i prigionieri inoltre venivamo utilizzati anche per le pulizie; per questi lavori ci davano una misera paga che consegnavo ad un compagno perché me li conservasse nascondendoli sotto il vestito. Le camere erano di legno e composte di sei o sette letti a castello, con una sola stufa, ma abbiamo sofferto molto freddo. Per tutto il tempo della prigionia ho avuto addosso sempre lo stesso abito, la stessa divisa, che disinfettavano solo per togliere pidocchi e pulci.

Le leggi più che severe erano crudeli: chiunque desse l’impressione di disubbidire o disubbidiva veniva subito fucilato. Ne ho visto molti morire! Era drammatico! La legge era l’obbedienza assoluta; solo in quel modo ti potevi salvare.

I russi venivano rispettati più degli italiani e anche le donne. C’era tra i prigionieri anche qualche prete che ci incoraggiava. I prigionieri aumentavano sempre di più, ma poi diminuivano perché finivano nel forno crematorio e per poco non ci sono finito anch’io.

Mi sono salvato perché ho saputo dimostrare che ero obbediente, ho capito l’umore delle SS e mi sono adeguato ai loro ordini. Qualche volta ci portavano sotto scorta in città. Quando gli americani hanno vinto la guerra sono arrivati anche a Dortmund, nell’aprile del 1945, e ci hanno liberati. Cosi ci hanno dato abiti e indumenti nuovi, abbiamo potuto mangiare meglio e, nel primo mese ho aumentato di tre chili, nel secondo di cinque e nel terzo circa otto chili. Sono rimasto lì ancora un po’, poi ci hanno smistati e rimpatriati e trasferiti prima in camion, poi in treno e, attraverso il Brennero, sono rientrato in Italia nel campo militare di Fossano vicino a Bolzano. Da lì verso settembre finalmente sono riuscito a rientrare a Ollolai.”

Come dicevo è stata una testimonianza drammatica che ci insegna a non dimenticare quel passato orribile. Pertanto, giovani e meno giovani dobbiamo far tesoro di testimonianze come questa per creare i presupposti per una società sempre più libera e soprattutto più giusta e combattere quindi il razzismo e le disuguaglianze.

Questo dovrebbe essere il messaggio che deve passare prima di tutto nelle scuole di ogni ordine e grado e poi anche nella nostra società odierna.

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