di MICHELE DEMONTIS
Pochi luoghi sono ammantati di fascino come il palcoscenico di un teatro, spazio magico delimitato da quinte e proscenio su cui tanti sognano di salire. Per chi vi si esibisce è il centro di mondi che nascono e muoiono con gli spettacoli che porta in scena. Le storie personali di musicisti, attori e danzatori conoscono qui le tappe fondamentali di un cammino lungo spesso quanto un’intera esistenza.
Abbiamo incontrato Michela Sale Musio di LucidoSottile per indagare attraverso la sua testimonianza il rapporto che lega l’artista al palcoscenico. Vincitrice del premio quale miglior attrice dell’Hourara International Theater Festival 2019, Michela possiede una straordinaria intensità recitativa che le consente di alternare con naturalezza registri comici, grotteschi e drammatici.
Assistendo a un lavoro delle “Lucide” si comprende quanto Il suo legame con il palco sia intimo e profondo. Durante lo spettacolo vi si aggira con la felicità quasi fanciullesca di chi si trova nel proprio regno privato; per usare un’espressione mutuata dalla musica rock, Michela è un “animale da palco”.
Come descriveresti il palcoscenico a chi non vi è mai salito? “Per me è un vero e proprio stargate, un cancello per entrare in un’altra dimensione, l’ho scoperto fin da bambina e per nulla al mondo vorrei privarmi di questa grandissima opportunità di esplorazione, ecco: il palco, quello vero, è una cosa per esploratori dell’anima, ci vuole coraggio per starci sopra.”
Mancano pochi istanti all’inizio dello spettacolo e dall’altra parte del sipario giunge il brusio della platea. Cosa provi in quegli istanti? “Una forte eccitazione, un po’ di ansia se sei uno che come me tiene molto alla tecnica e allo studio, ma si sa, quando vai all’interrogazione, l’aver studiato fa solo il 50% della performance, il resto è passione, tuttavia è molto importante ricordare sempre, che la passione senza lo studio non serve a nulla. Perciò prima di entrare c’è un mix di emozioni, che svaniscono non appena entri in scena.”
Quali sono i tuoi pensieri durante uno spettacolo? Sei focalizzata unicamente sulla parte o la tua mente vaga altrove? “Dipende dal tipo di spettacolo, dalla giornata, dal momento specifico e dal pubblico. Ci sono spettacoli più leggeri dove la mente talvolta può anche spostarsi altrove, il più delle volte scopro che la mia si focalizza sul menù di ciò che mangeremo dopo lo spettacolo, ma so che questo è un morbo che attanaglia molti attori. Con Tiziana Troja abbiamo realizzato uno spettacolo che mette in scena i pensieri di due danzatrici contemporanee, era stato molto divertente per noi, e anche per il pubblico effettivamente, scoprire quante cose si possono pensare durante uno spettacolo quando sei sul palco, specie quando danzi”.
Stando al centro della scena è possibile percepire la magia del teatro che incanta gli spettatori? “Certo, è necessario, se non ne sei consapevole non puoi crearla. Uno dei punti chiave di LucidoSottile è proprio comprendere cosa proverà il pubblico. Poi credo fondamentalmente che la magia del teatro si faccia insieme, non sono “solo io o solo tu”.”
Hai mai sperimentato la “solitudine perfetta” dell’artista sul palco? “Quando Tiziana ha scritto lo spettacolo “Spanker machne” mi ha regalato questa grande occasione, è uno spettacolo in cui la protagonista vive una vita molto solitaria, è duro, crudo, spigoloso e ti da l’occasione di misurarti con quella sensazione molto difficile da affrontare. Tuttavia parlare di perfezione è sempre andare troppo oltre, nessun artista è perfetto ed è difficile provare qualcosa di realmente perfetto, inclusa la solitudine. Credo che la solitudine dell’artista stia nel fare i conti col proprio personaggio e quindi con delle parti di te, che ti appartengono e che magari non volevi vedere o che non hai mai esplorato fino in fondo. È necessario stare soli e imparare a ri-conoscersi per fare veramente gli attori. Sulla scena si condivide tantissimo, sia coi colleghi che con il pubblico, ma nella vita è fondamentale attraversare certe solitudini per portare delle vere emozioni sulla scena. Il lavoro di un attore non ha mai un vero inizio e una vera fine, perché è necessario ascoltare se stessi e la vita per poterlo fare.”
Parliamo del pubblico in sala. La tua recitazione ne è in qualche modo influenzata? “Senza dubbio, quando sei sul palco distingui nettamente l’energia del tuo pubblico, noi diciamo frasi come “c’era un bel pubblico stasera” proprio per indicare quanto l’energia del pubblico ci abbia facilitato il compito della messa in scena ad esempio. È importante saper gestire l’energia del tuo pubblico, per guidarla con gentilezza e con garbo verso il mondo in cui vi state avventurando insieme, o per farlo scatenare al momento giusto. Non mi importa se un telefonino squilla e un vecchio risponde o se un bambino si mette a piangere, quelle sono situazioni che deleghiamo alla tecnica, sappiamo tutti cosa fare e quando è possibile fare qualcosa, mi importa invece parlare dell’energia che si crea tra palco e platea, che deve essere un’onda col suo dinamismo condiviso tra attori e pubblico, attraverso una partitura realizzata dalla regia, che serve proprio a tenere le redini delle emozioni di tutti.”
Ti è mai capitato di identificarti a tal punto col tuo personaggio da viverne realmente emozioni e sentimenti? “Non posso fare diversamente. Se non vivo realmente certe emozioni, chi mai crederà che la scena sta avvenendo realmente? È indispensabile ESSERE il personaggio e vivere le emozioni, tanto quanto è indispensabile imparare ad uscire dal personaggio. Ecco perché è importante trovare registi premurosi, ci sono registi che sfruttano gli attori come carne da macello, calpestando la loro capacità di emozionarsi veramente e spremendoli fino all’osso senza restituirgli nulla. In questo devo dire che, nonostante Tiziana sia una regista estremamente esigente (in molti temono il suo carattere vulcanico), sa anche bene come tutelare i sentimenti di un attore, mi ha insegnato molto con le sue premure, che non sono sdolcinate approvazioni volte a soddisfare il narcisismo degli attori, ma quei suoi gesti che potrebbero sembrare sfumature, sono in realtà attenzioni necessarie a tutelare i sentimenti di chi fa un mestiere pericoloso. Giocare (To play) con le emozioni è come guidare in formula uno, se non sei accorto e non hai un bravo regista pronto a tutelarti, ti schianti.”
Hai mai pensato durante un’esibizione “vorrei che questo momento non finisse mai”? “Ahahahah posso fare una risata? No, non l’ho mai pensato, non fraintendermi, adoro stare sul palco, è un puro bagno di piacere, anche quando interpreto parti difficili e tristi, ma altrettanto amo che lo spettacolo finisca! Insomma direi che mi godo tutto, dall’inizio alla fine: il prima, il durante e il dopo e mi piace tornare alla realtà, altrimenti non potrei tornare a sognare.”
Che rapporto hai con la tensione? Un’alleata o una nemica? “La tensione va gestita, è un potente campanello d’allarme che mi permette di essere preparata, non la amo, ma mi rendo conto che è una componente del lavoro che ho scelto. Noi attori siamo sempre su un Titanic che ha appena colpito l’iceberg, qualsiasi cosa per noi è un’emergenza, tanto da sfiorare il ridicolo, ma questo significa soltanto che facciamo questo mestiere con una passione viscerale e che siamo matti. La tensione è necessaria, la amo e la odio come il teatro. Credo che valga per molti. È come la tristezza, è necessaria se vuoi vedere il mondo, ne ho bisogno per essere felice, non so come vivrei senza essere triste, non so come farei senza la mia tensione…che poi con tutta sta tensione, faccio anche un sacco di attività fisica per alleviarla e devo dirti che alla fine “sta tensione” è anche un’ottima scusa per farsi del bene, se la sai prendere”,
Qual è la prima cosa che fai una volta scesa del palco? “Cerco con lo sguardo la mia regista per capire se posso rilassarmi.”
Una domanda d’attualità locale. L’emergenza pandemica ha aggravato una situazione già critica a Cagliari in termini di spazi per teatro, musica e danza. Pensi si dovrebbero sperimentare creativamente nuovi spazi o dovremmo impegnarci per il recupero di quelli caduti in disuso? “Per prima cosa ti dico che, in generale, penso che la politica stia facendo di tutto per indebolire la cultura, così come è per l’istruzione, e così come è stato per la sanità negli ultimi 10 anni, abbiamo subito tagli spropositati ed ora ci ritroviamo con grande evidenza a pagarne seriamente le conseguenze. Per quanto riguarda la questione degli spazi nella nostra città, la battaglia di LucidoSottile è ben nota, è iniziata più di 10 anni fa con l’esperienza dell’ExArt, centro culturale polivalente nel cuore di Cagliari, primo avamposto indipendente e autogestito per la produzione e diffusione delle arti in Sardegna. Forti del fatto che conosciamo bene le realtà europee in cui le città e i governi hanno messo a disposizione degli operatori gli spazi in disuso, abbiamo più volte proposto che gli spazi inutilizzati poichè inagibili, venissero affidati con un compromesso di ristrutturazione per poi essere restituiti al comune e ai suoi abitanti come spazi funzionali per produrre cultura e per fare in modo che i cittadini ne possano beneficiare. Sono tanti gli operatori culturali che sarebbero disposti a ristrutturare e riformulare gli spazi per poter lavorare e generare lavoro.”
Il teatro trae le sue origini dai riti religiosi in onore di Dioniso. Quanto dello spirito primigenio si è conservato nell’arte teatrale contemporanea? “Credo tantissimo, nessuno di noi può negare a se stesso il senso arcaico del proprio lavoro, la ritualità ancestrale che permane in questo cerimoniale catartico è indiscutibile, per quanto contemporaneo tu possa essere, la verità esibita attraverso la metafora del teatro è sempre lo stesso rito, dalla notte dei tempi, ed è proprio questo che mi fa sentire così ricca.”