GIACOMO LOI DA TERRALBA A BALTIMORA DOVE E’ ASSISTENTE ALLA HOPKINS UNIVERSITY CON ISRAELE NEL CUORE

Giacomo Loi

di RICCARDO ROSAS

Giacomo Loi, ventotto anni di Terralba, è dottorando e assistente presso la J. Hopkins University di Baltimora, dove fino a oggi ha insegnato letteratura greca e introduzione alla medicina antica. Appassionato di letteratura ebraica, all’impegno universitario alterna periodi di studio in Israele. Si occupa della ricezione della cultura classica in quella ebraica. 

Qual è stato il percorso di studi che ti ha portato negli States? Più che su mie decisioni, finora mi sono basato sull’unione fra quello che avrei voluto fare e la realtà. Dopo il liceo, desideravo studiare la ricezione del greco e del latino nell’arabo. Pur di andare in Siria ero pronto a studiarne la lingua, ma è scoppiata la rivoluzione. Non potendo più partire mi sono iscritto all’Università Cattolica. Dopo la laurea, sono andato negli USA dove iniziato ad avvicinarmi alla lingua ebraica moderna che, poi, ho studiato a Gerusalemme. Alla fine, quindi, sono riuscito a soddisfare il desiderio di conoscere quella parte di mondo.    

Com’è stata recepita la cultura classica in quella ebraica? È una ricezione complessa: si tende a separare il mondo greco da quello romano. Il mondo latino è stato sempre associato alla distruzione del Tempio di Gerusalemme e alla catastrofe delle guerre giudaiche. Il rapporto con i greci è ancora più intricato. Da un lato anch’essi hanno tentato di distruggere l’ebraismo: si pensi ad Antioco IV Epifane che cercò di “ellenizzare” i Maccabei; dall’altra è presente la fascinazione del mito e della tragedia, che gli ebrei hanno percepito come mancanti nella loro cultura, anche se in realtà non è così.  

Com’è la quotidianità in Israele? Si vive una spaccatura con l’Occidente? Di questo paese ho sempre trovato affascinanti i “contrasti”. Ci sono due poli: Tel Aviv, la “New York” del Medioriente e Gerusalemme, realtà più conservatrice; ad esempio, in quest’ultima i genitori non credenti hanno difficoltà a trovare una scuola per i figli. In Europa e negli USA si pensa che Israele sia un luogo pericoloso. La microcriminalità però è quasi inesistente. Certo, in alcune zone, dove ci sono forti attriti, è meglio non andarci. Al di là del conflitto con i palestinesi, ci sono comunque gravi problemi, soprattutto d’integrazione: penso alle fratture sociali fra i sefarditi, ebrei di origine araba e gli ashkenaziti, europei. 

Come mai queste tensioni? Ci sono state e ci sono diverse spaccature. In particolare, fra gli ebrei europei che si sono stabiliti nella zona prima delle guerre mondiali e quelli arrivati dopo la Shoah. Questi ultimi sono stati criticati per non essere arrivati prima. Insomma, accusati di aver avuto un’idea di stato israeliano “soltanto” dopo l’Olocausto. Non mancano, poi, tensioni con gli ebrei scappati dai paesi arabi, trattati dagli europei alla stregua di primitivi.   

Spostiamoci in America. Come ti sei trovato? Gli States sono un’esperienza molto dura per un europeo. Si ha l’impressione che l’America voglia essere un’Europa riveduta e corretta, ma non in realtà non è così. Girando per le città si vedono abitazioni, monumenti che “replicano” l’architettura europea. In realtà, l’assimilazione culturale non avviene perché manca la stratificazione storica del Vecchio Continente. Mi ha colpito molto, poi, il razzismo: prima credevo che i film americani sull’avanzamento dei diritti civili fossero un triste ricordo del passato, destinati alla memoria. Vivendo sul posto, invece, mi sono accorto che servono a provocare una riflessione sul presente, a chiedersi se rispetto a prima sia cambiato qualcosa. Forse sì in termini formali, ma non nella sostanza.   

Ora vivi e studi negli Stati Uniti. Che progetti hai per il futuro? Vorresti rientrare nella tua terra? È difficile dirlo. Non ho progetti a lungo termine da almeno dieci anni. Le esperienze fatte mi hanno insegnato che, alla fine, gli eventi segnano spesso più di noi il nostro destino. E questo la pandemia l’ha insegnato a tutti. Al momento, ho un dottorato da finire, vorrei tornare in Israele e conoscere ancora meglio l’Europa. A causa del Covid, sono ritornato a casa dalla mia famiglia. Spero che in futuro non manchino occasioni, più felici ovviamente, di rivedere i miei cari.

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