di CINZIA LOI
I palmenti rupestri hanno una forte valenza storica, antropologica ed economica perché raccontano la storia della civiltà contadina, illustrano le tecniche vitivinicole dall’età protostorica sino ai nostri giorni e contribuiscono alla riscoperta di antichi vitigni.
Costituiti da vasche di varia forma scavate nella roccia affiorante o in massi di roccia isolati, venivano utilizzati sia per la pigiatura dei grappoli sia per la fermentazione del mosto.
In Sardegna, nell’ambito della tradizione popolare, gli impianti di vinificazione di tipo rupestre vengono di solito indicati con i termini: lak(k)os, lak(k)os de catzigare.
I palmenti rupestri di Bosa
I manufatti oggetto di questo lavoro ricadono in località S’Abba Druche, a circa 5 km dal centro abitato di Bosa, in prossimità del corso finale dell’omonimo rio. Nell’area, delimitata da una struttura muraria con andamento irregolare, sono attestate presenze risalenti all’età nuragica, punica e romana: un nuraghe complesso con relativo villaggio, una tomba di giganti e un pozzo; un nucleo abitativo e un impianto produttivo di età romana con relativa necropoli.
L’insediamento produttivo di Bosa è costituito da tre palmenti rupestri scavati su un bancone di tufo andesitico: ciascuno comprende due vasche disposte in pendenza e collegate mediante un foro o un gocciolatoio sporgente.
Il primo palmento, noto in bibliografia come “gruppo A”, è costituito da una vasca di pigiatura di forma quadrangolare ben rifinita; sulla parete corta superiore si osserva un incasso funzionale all’inserimento della pressa. Un gocciolatoio di scolo poneva in comunicazione la vasca di pigiatura con quella di raccolta. Quest’ultima, posizionata ad una quota più bassa, presenta anch’essa forma quadrangolare. In asse con le precedenti si osserva quello che pare essere il tentativo di escavazione di una terza vasca. L’area intorno al palmento risulta circoscritta parzialmente da un solco ellittico, funzionale forse a proteggere l’impianto dallo scolo delle acque piovane. Un’altra ipotesi è che si tratti di una scanalatura atta ad accogliere i muri perimetrali di una struttura protettiva. Oltre a ciò si osservano altre canalette poco profonde e alcuni buchi di palo.
Gli altri due impianti, accostati e noti in bibliografia come “gruppo B”, sono situati immediatamente a Est rispetto al precedente. Il primo di essi mostra la vasca di pigiatura di forma quadrangolare; sulla parete corta superiore si osserva anche qui l’alloggiamento per fissare la leva. La vasca di raccolta, posta a una quota più bassa, presenta forma quadrangolare; il pavimento, ingombro di terra e pietrame, impedisce di verificare la presenza della coppella di raccolta.
Il terzo palmento risulta costituito anch’esso da due vasche di forma quadrangolare; un foro di scolo collegava le due vasche. Entrambi gli impianti risultano orientati in direzione Ovest/Est. Sul lato esposto a Ovest è presente una scanalatura lineare, mentre intorno ai due impianti si osservano otto buchi di palo funzionali a sostenere, con ogni probabilità, una tettoia protettiva.
Cronologia e analisi dei palmenti di Bosa in rapporto al tipo cui appartengono
Complesso appare oggi estrapolare un quadro cronologico certo relativo all’utilizzo delle unità identificate, le quali hanno subito probabilmente diverse fasi di sfruttamento. Lo studio del contesto archeologico in cui questi manufatti sono inseriti e del materiale rinvenuto nel corso degli scavi, attestano una lunga frequentazione del sito, dall’epoca nuragica alla tarda età imperiale.
Altre significative informazioni sono deducibili dal raffronto fra gli impianti di Bosa e quelli individuati finora, soprattutto con quei casi per i quali si dispone di una cronologia certa.
Palmenti caratterizzati dalla presenza di due vasche quadrangolari scavate più o meno in profondità, erano già utilizzati nel II millennio a.C. nel Medio Oriente; l’uso di una pressa primitiva nella prima vasca con nicchia di alloggio, invece, è attestato all’inizio del I millennio a.C.
Anche in Portogallo, in Spagna, in Francia e a Malta sono stati trovati palmenti in pietra a due vasche in contesti riferibili a ville romane.
Relativamente all’Italia, nell’area centrale impianti simili sono riferibili in maggioranza ai periodi romano (fase tardo-repubblicana), tardo-antico e medievale; quelli individuati in area magnogreca e in Sicilia all’età ellenistica..
In Sardegna, nella regione storica del Barigadu, sono stati censiti finora 15 impianti di questo tipo..
I confronti più stringenti sono istituibili con i palmenti rinvenuti ad Ardauli, nelle località di Arzolas, Sos Eremos e Murtedu. Nel palmento individuato in quest’ultima località, oltre alle forma delle vasche, le somiglianze riguardano anche la canaletta poco profonda che circoscrive l’impianto e i buchi di palo funzionali a sostenere la copertura del manufatto. Nelle vicinanze non si rinviene alcun tipo di reperto o struttura.
Nelle località di Museddu e di Tennero-Cheremule, nella Sardegna nord-occidentale, sono noti almeno quaranta impianti di questo tipo; alcuni presentano aperture nelle pareti superiori o laterali delle vasche di pigiatura, identificabili come possibile attacco di una leva di torchio per la spremitura delle vinacce. L’indagine archeologica di alcuni di questi palmenti, scavati nei tavolati calcarei caratteristici di questi luoghi, ha restituito materiali attribuibili all’età romana tardo-imperiale. Impianti analoghi sono segnalati in varie località di Ittiri, in contesti caratterizzati dalla presenza di materiali attribuibili al medesimo orizzonte cronologico.
Anche nel comune di Padria, in località Badde Usai, è stato individuato un palmento rupestre scavato su un affioramento di roccia scosceso. L’impianto è costituito da due vasche di forma quadrangolare poste in comunicazione attraverso un foro pervio. Una canaletta scavata nella roccia, dall’andamento rettilineo, circoscrive l’intero palmento per poi terminare alla base dell’affioramento. Si ritrovano anche qui i buchi di palo necessari a sorreggere una tettoia. Sempre a Padria, in località Casiddu-Badu ‘e Figu, sono noti altri due palmenti dalla planimetria quadrangolare muniti di alloggiamento per la pressa.
Palmenti accostati, caratterizzati dalla presenza di due vasche quadrangolari, sono presenti anche nei pressi della chiesetta di San Pietro di Bulzi.
Problematiche legate al loro utilizzo
L’utilizzo dei palmenti di S’Abba Druche non ha avuto sempre un’interpretazione univoca da parte degli studiosi, e anche se la funzione di spremitura dei grappoli d’uva e di pressatura delle vinacce sembra la più probabile, nel corso degli anni sono stati proposti usi eterogenei quali ad esempio la concia naturale delle pelli.
Circa la produzione del mosto, è probabile che le uve venissero pigiate con i piedi nella vasca di pigiatura, aiutandosi anche con l’aiuto di apposite funi pendenti dal soffitto delle tettoie, documentate dai buchi di palo presenti ai margini degli impianti. E’ possibile che il mosto venisse raccolto subito e trasportato altrove per la fermentazione; come si è accennato, le cavità praticate nella parte superiore delle vasche di pigiatura fanno pensare ad un possibile uso anche come torchio di quest’ambiente, mediante una lunga trave in legno.
Circa la concia naturale delle pelli, attraverso vari progetti di archeologia sperimentale si è cercato di verificarne la fattibilità all’interno di vasche dalle caratteristiche simili a quelle di S’Abba Druche. L’operazione ha dato ottimi risultati. Tuttavia, la pulizia della vasca di concia – necessaria ad evitare fenomeni fermentativi e l’accumulo di fanghi residuali – ha richiesto l’uso di enormi quantità d’acqua. Nonostante la buona disponibilità idrica nei pressi degli impianti di Bosa, dalle ricerche etnografiche non sono emersi casi di riutilizzo di questo tipo. Oltre a ciò, anche alcuni particolari strutturali degli impianti in questione portano ad escludere il loro uso come vasche per la concia. In essi si segnalano la presenza costante di piani inclinati e quella di fori di scolo che pongono in comunicazione le vasche dei palmenti. A ciò si aggiunga la cavità praticata nella parte superiore delle vasche di pigiatura, funzionale al fissaggio della leva. Tali elementi strutturali in un processo di concia come quella proposta, non hanno ragion d’essere.
Ancora, in nessuna delle vasche censite è stata rinvenuta traccia di intonaco; le vasche rivestite di calce sono, infatti, tra i principali indicatori di attività conciaria. L’assenza di intonaco rende difficile anche l’esecuzione di analisi chimiche utili a comprendere cosa si lavorasse all’interno di un determinato manufatto.
È noto che l’applicazione delle indagini archeometriche costituisca ormai un metodo irrinunciabile alla ricostruzione degli antichi sistemi alimentari, permettendo di rintracciare e analizzare le molecole dei residui assorbiti dalle superfici porose e contribuendo in modo determinante all’interpretazione funzionale dei manufatti.
Tuttavia, lo stesso tipo di metodologia è stata applicata di ricente, e con successo, allo studio di alcuni palmenti rupestri per verificarne la destinazione d’uso.
Da quanto esposto finora, è probabile che la funzione primaria dei palmenti di S’Abba Druche fosse la pigiatura dei grappoli coi piedi nel processo di vinificazione.
Per quanto riguarda la cronologia, sulla base dei dati di scavo e dei confronti proposti, l’uso dei palmenti di S’Abba Druche potrebbe essere cominciato almeno nel I sec. a.C. e proseguito poi fino IV-V sec. d.C.
Bellissimi, Cinzia Grazie
Complimenti👍👍👍
E brava Cinzia
La zona di vigneti più vicina dista una decina di km da quel sito. Perché avrebbero dovuto trasportare l’uva così lontano?
Numerosi gli esempi di palmenti distanti oggi diversi km dai moderni vigneti. Tuttavia, a breve verranno effettuate nuove indagini archeobotaniche nei pressi degli impianti.
Complimenti bell’articolo. Vicino al sito esiste una zona che si chiama INZAEIDE probabilmente binza de ide, magari qualche millennio fa la vite si coltivava anche in quella zona; piuttosto questi laccos potevano servire anche per la spremitura del lentischio (come qualcuno’altro presume), vista l’abbondanza dell’arbusto lungo tutto il litorale?
Carissimo, la ringrazio per l’indicazione relativa al toponimo: Binza de Ide, interessantissima!
Circa l’ipotesi di lavorazione delle bacche di lentisco all’interno delle vasche di Bosa, da quanto appreso finora attraverso la ricerca etnografica, mi sentirei di escluderlo. Volesse approfondire:
https://www.tottusinpari.it/2018/12/16/scoprire-il-lentisco-in-sardegna-la-pianta-tipica-della-macchia-mediterranea-molto-diffusa-nellisola/
Tuttavia, occorrerebbe eseguire dettagliate ricerche anche nel vostro territorio.
Un caro saluto
CL
sarebbe interessante scoprire se effettivamente fosse così. E magari risalire alle varietà coltivate all’epoca. .. Cmq a Bosa esiste una zona di vigneti chiamata laccos
Mi sono stati segnalati altri laccos a Bosa, ora però mi sfugge il nome della località. Evidentemente i palmenti erano diffusi anche nel vostro territorio. Qui nel Barigadu ne abbiamo censito oltre 200.
Molto interessante. Mi incuriosisce molto il fossato che circoscrive il palmento di tipo “A”. Soprattutto la sua “potenza”. Le risultano altri esempi sardi simili?
Complimenti per la chiarezza espositiva.
Gentile sig. Calvi,
le confesso che quel solco incuriosisce, e tanto, anche me!
Nel testo ho inserito alcuni esempi di palmenti che presentano anch’essi canali di scolo simili. Davvero difficile, allo stato attuale delle ricerche, andare oltre le interpretazioni proposte.
La ringrazio per l’interessamento.
CL
Prosegue il lavoro di Cinzia Loi su questi interessanti manufatti, che paiono molto più numerosi ed estesi di quanto si pensasse. sono certo che stimolerà ulteriori indagini anche in altre aree dell’Isola.
Per chi fosse interessato ad approfondire:
Bibliografia essenziale di riferimento
CIACCI A. 2010: La ricostruzione del paesaggio vitivinicolo antico: l’indagine sui vitigni e la circolazione varietale, in DI PASQUALE G. (a cura di), Vinum nostrum. Arte, scienza e miti del vino nelle civiltà del Mediterraneo antico, Firenze, pp. 74-79.
CIACCI A., RENDINI P., ZIFFERERO A. 2012: Archeologia della vite, in CIACCI A., RENDINI P., ZIFFERERO A. (a cura di), Archeologia della vite e del vino in Toscana e nel Lazio. Dalle tecniche dell’indagine archeologica alle prospettive della biologia molecolare, Firenze.
LOI C. 2017, Pressoi litici in Sardegna tra preistoria e tarda antichità, Scienze e Lettere, Roma.
MORAVETTI A. 2000: Ricerche archeologiche nel Marghine-Planargia. La Planargia. Analisi e monumenti, “Sardegna Archeologica. Studi e Monumenti”, 5:II, Sassari.
ROVINA D. 2008: Palmenti ed altre strutture produttive rupestri del sassarese, in De Minicis E. (a cura di), Insediamenti rupestri di età medievali: abitazioni e strutture produttive; Italia centrale e meridionale, atti del convegno di studio, Grottaferrata, 27 – 29 ottobre 2005, pp. 69-114.
SANCIU A. 1993: Cheremule (Sassari). Censimento Archeologico, “Bollettino di Archeologia”, 19-21, pp. 220-224.
SANCIU A. 1997: Una fattoria d’età romana nell’agro di Olbia, Boomerang edizioni, Sassari.
SATTA M.C. 1994: S’Abba Druche: un insediamento produttivo a Bosa. Relazione preliminare, in AA.VV., L’Africa Romana, X, pp. 949-960.
SATTA M.C. 1996: S’Abba Druche: un insediamento rustico a poche miglia da Bosa Vetus, Bosa.