di SVEVA VALERIA CASTEGNARO
La Sardegna, la terra dei Quattro Mori. Una terra conosciuta per le sue bellezze naturalistiche, per il suo splendido mare, per le sue asperità e per la sua cucina così unica e particolare come spesso accade quando si parla di isole. Anche Slow Food, finalmente, da un po’ di tempo ha intensificato la sua attività di ricerca in questa regione per scoprire altre piccole eccellenti realtà enogastronomiche che trovano le loro radici in questa territorio. In una terra che conta un milione e mezzo di abitanti e tre milioni di pecore i nuovi presidi Slow Food non potevano che riguardare tre formaggi di pecora: il pecorino dell’Alta Baronia, La fresa di Ittiri e l’Axridda di Escalaplano.
Il Pecorino dell’alta Baronia. Nella zona Nord Orientale della Sardegna, all’interno del parco naturale Oasi di Tepilora, Gianni Mele e suo padre producono il Pecorino dell’Alta Baronia: un formaggio a latte crudo di forma cilindrica, il cui peso varia dai 3 ai 10 chili. La “storia” del Pecorino dell’Alta Baronia è iniziata 12 anni fa quando Gianni Mele ha deciso di lasciare il suo posto fisso da agente penitenziario: “Sentivo che mancava qualcosa nella mia vita, così ho chiesto una mano a mio padre, che ha sempre fatto il pastore e prodotto i formaggi, e ho imparato anch’io. I nostri padri facevano questo lavoro con passione, ognuno produceva il proprio formaggio imparando dai nonni e bisnonni quei piccoli segreti che caratterizzano il sapore di ogni forma. Io ho studiato, ho compreso che il formaggio è fatto di tanti tasselli, dal pascolo agli attrezzi utilizzati, dalla salamoia al modo in cui lo si lo affina. Il mio vuole essere un formaggio naturale che racconti l’identità e le unicità del territorio dove nasce, come i lentischi e i corbezzoli di cui si cibano gli ovini”. Così oggi il pecorino di Gianni, prodotto sia con stagionatura di oltre sei mesi che semistagionato, è uno dei tre nuovi presidi Slow Food sardi.
La fresa di Ittiri. Un pecorino fresco, unico nel suo genere, è quello prodotto da Rosa Canu che a Ittiri, una piccola cittadina tra Sassari e Alghero, ha deciso di distaccarsi dalla tradizione del luogo in cui da sempre si produce e si consuma pecorino, ma rigorosamente stagionato, per produrne uno fresco. Fresa deriva dal latino “fresus”, ovvero schiacciato. Questo formaggio, infatti, nella sua lavorazione viene pressato per evitare che le alte temperature dell’estate lo facciano gonfiare, in questo modo lo si può portare in tavola in soli 20 giorni.
“La consistenza è molto morbida e il sapore è più delicato di quello a cui si è abituati pensando al pecorino sardo, con una punta acidula”. La passione di Rosa per la fresa arriva dalla madre, che come molte donne di Ittiri si prendeva tradizionalmente cura della fresa: “Una quarantina di anni fa, mio padre decise di cominciare a lavorare il latte in prima persona, rinunciando a darlo ai grandi caseifici industriali della zona. Continuiamo a produrlo seguendo la tradizione, così come lo facevano mio padre e gli altri pastori della zona”, spiega Rosa Canu. Il piccolo caseificio della famiglia Canu è l’unico a vendere la fresa di Ittiri, gli altri pastori della zona, invece, lo producono solo per il consumo familiare. “Mi auguro che, grazie al Presidio, altri pastori decidano di seguirci per valorizzare questo formaggio, assicurando reddito al territorio e tramandando una tradizione così particolare, conclude Rosa”.
Axridda di Escalaplano. Questo nuovo presidio Slow Food, è un formaggio unico al mondo, dal colore paglierino e ricoperto di una crosta dura. Prodotto usando latte di ovini allo stato semibrado, senza l’utilizzo di mangimi e seguendo una la lavorazione molto particolare. L’Axridda deve la sua origine alle particolari condizioni climatiche del territorio. “Quando le forme di pecorino sono già piuttosto compatte, dopo almeno cinque mesi, vengono ricoperte di argilla estratta da una cava poco distante da Escalaplano, così si conservano fino a tre anni senza mai diventare troppo asciutte” spiega Rino Farci, che produce e vende questo formaggio da tre anni. “Questo formaggio era una pratica comune in paese, ma a un tratto nessuno ha più voluto continuare, alimentando il rischio che scomparisse per davvero. Allevare pecore, d’altronde, non è facile. La pastorizia vive una crisi decennale: molti pastori sono nelle mani di alcuni gruppi industriali che, invece di valorizzare il latte ovino, sfruttano il loro lavoro corrispondendo prezzi bassissimi. Oltretutto spesso pastorizzano il latte, ma così facendo il pecorino si omologa, diventa tutto uguale, e si cancellano di fatto le peculiarità dei territori”, prosegue Farci. Quello che caratterizza il l’Axridda di Farci, invece, è il forte legame con il territorio Rino, infatti, alleva le sue pecore in modo biologico. “Mediamente abbiamo due pecore a ettaro. Credevo di essere l’unico a pensarla in un certo modo e invece il riconoscimento come Presidio Slow Food mi ha fatto capire che molte persone stanno dalla nostra parte”.
C’è bisogno di queste nuove idee e energie