di ROBERTA CARBONI
In Sardegna non esiste luogo che non sia legato ad una leggenda. Ogni roccia modellata dalla natura, ma anche ogni manufatto prodotto dall’uomo, possiede due storie diverse: quella reale e la sua leggenda.
Quello delle leggende è un mondo parallelo alla realtà, scaturito spesso dalla paura ancestrale, dalla superstizione e dalla fantasia di un popolo che da sempre ha spiegato i misteri più grandi della vita ricorrendo all’immaginazione. Il racconto è capace di veicolare insegnamenti e trasmettere valori profondi che portano ben distinti i segni di una cultura millenaria, arricchita da affascinanti contaminazioni.
Le leggende sarde descrivono un mondo arcaico e lontano, senz’altro destinato a perdersi tra i più giovani, ma che continua ad essere appannaggio dei più anziani, da sempre custodi di un sapere e di una saggezza che trascende il nostro comune concetto di sapere.
Un contributo fondamentale nella raccolta e nella trascrizione dei racconti popolari, prevalentemente tramandati oralmente, è quello offerto da Dolores Turchi nel suo libro Leggende e racconti popolari della Sardegna.
Tra i racconti che maggiormente sembrano aver intimorito le persone, in ogni tempo e in ogni area della Sardegna, sicuramente ci sono quelli legati al mondo delle maledizioni e dei sortilegi; un mondo popolato da creature fantasiose condannate a vivere una vita a metà ed espiare una colpa.
Tra queste creature mostruose scaturite dalle leggende popolari sarde, “s’erchitu” è una tra le più spaventose. Si tratta di un uomo condannato a trasformarsi in bue bianco con due grosse corna d’acciaio come castigo per aver commesso una grave colpa, generalmente un omicidio. Si narra che, nelle notti di luna piena, “s’erchitu” muggisca per tre volte davanti alla casa di una persona destinata a morire entro l’anno, annunciandone, quindi, la morte imminente.
Ad udire il muggito è tutto il vicinato, ma in particolare sono le donne a riconoscerne il passo da lontano. Talvolta “s’erchitu” viene accompagnato da diavoli che accendono due ceri sulle sue corna e lo pungolano con dei ferri roventi.
Compiuta la sua missione di annunciatore della morte, “s’erchitu” riprende il cammino di penitenza, attendendo fino all’alba per poter riprendere le sue sembianze reali di essere umano. Alle primissime luci del mattino comincia a rotolarsi davanti a tre chiese o davanti ad un cimitero e compiere “s’imbrussinadura”. A quel punto, recuperate le fattezze umane, “s’erchitu” non ricorda nulla di quanto avvenuto. La sua, quindi, è una condanna, esattamente come il triste annuncio che trasmette.”S’imbrussinadura” è un antico rituale pagano che consiste nel liberare il corpo da una possessione demoniaca. Secondo Claudia Zedda, questo rituale doveva essere praticato osservando un preciso schema che consisteva nell’effettuare tre giri su se stesso per tre volte al giorno, la mattina presto, a mezzogiorno e la notte. Rotolandosi si invertirebbe la situazione che da negativa potrebbe divenire di nuovo positiva.
Secondo la leggenda questo castigo dura per tutta la vita, a patto che non avvenga qualcosa di incredibile che possa liberarlo: un uomo forte e coraggioso dovrà spegnere i ceri infilzati nelle corna con un solo soffio, oppure dovrà riuscire a recidere le sue corna spaventose con un preciso colpo di scure.
Risulta chiaro che la leggenda de “s’erchitu” cela numerosi riferimenti allegorici connessi principalmente con l’espiazione di una colpa non condannata da una giustizia umana. In un contesto socio-culturale in cui non sempre le punizioni erano regolate da una giustizia scritta, era fondamentale l’adozione di codici comportamentali non scritti, i quali, tuttavia, avevano spesso addirittura maggior efficacia. Numerosi posso essere, inoltre, i riferimenti ad un contesto culturale pagano capace di dialogare perfettamente con quello cristiano, come spesso accade nella cultura sarda. Il bue è infatti simbolo di sottomissione e il giogo rappresenta il peccato. In generale, esattamente come accade nel Carnevale Barbaricino, emerge con forza la dicotomia insita in ogni essere umano, ovvero l’eterna lotta tra bestialità e umanità, tra l’istinto e la ragione, tra il male e il bene.
Bravissima, ho avuto gli stessi brividi di quando ce la raccontava nonna, le notti d’estate, sedute al fresco attorno a leiCuore rosso