di PAOLO PULINA
Sorso è una città di quasi 15.000 abitanti nella regione storica denominata “Romangia”, vicina al capoluogo di provincia, che è Sassari.
Una studiosa locale, Vanna Pina Delogu, ha pubblicato importanti monografie sulle strutture religiose presenti nel territorio comunale: 1) “La parrocchia di San Pantaleone in Sorso: dall’antica struttura dei camaldolesi all’opera del francescano Antonio Cano: architettura, arredi, argenti e associazionismo confraternale” (2012); “La Chiesa di Santa Croce in Sorso: architettura e sacri arredi nella chiesa dei Disciplinati bianchi” (2013); 3) “Influenze francescane in Romangia: architettura, arredi e argenti nelle chiese di Sorso: Sant’Anna, Sant’Agostino, Madonna d’Itria e Noli me Tollere” (2014).
Nel 2017 ha mandato alle stampe un ponderoso volume (400 pagine) di storia laica dedicato al ruolo dell’Associazione agraria “Il Popolo Sovrano” e all’opera di Antonio Catta: ecco il titolo preciso: “Il Popolo Sovrano in Romangia e l’era del socialista Antonio Catta: impegno politico e sindacale in Sardegna tra Ottocento e Novecento” (Firenze, edizioni Phasar).
In questo libro ho trovato una conferma della “fortuna” dei versi di denuncia delle disuguaglianze sociali che portano la firma di una poetessa lombarda di livello nazionale: Ada Negri (Lodi, 3 febbraio 1870 – Milano, 11 gennaio 1945), che fu anche scrittrice e insegnante e della quale nel 2020 ricorre il 150° anniversario della nascita.
Ada Negri, trasferitasi a Milano nel 1892, per l’insegnamento superiore presso la Scuola Normale “Gaetana Agnesi”, entrò in contatto con i membri del Partito socialista italiano, anche grazie agli apprezzamenti che alcuni di essi avevano espresso nei confronti della sua iniziale produzione poetica, nella quale era molto forte l’interesse per la questione sociale e nella quale era quindi manifesto il suo schierarsi a fianco delle rivendicazioni delle masse dei diseredati. Tra gli estimatori dei suoi versi ci fu in particolare il giornalista Ettore Patrizi, col quale ebbe intense relazioni epistolari; conobbe poi Filippo Turati, Benito Mussolini e Anna Kuliscioff (della quale ebbe a dire di sentirsi «sorella ideale»).
Nel 1895, presso gli editori milanesi Fratelli Treves, fu pubblicata la sua seconda raccolta di liriche
intitolata “Tempeste” (la prima, del 1892, aveva per titolo “Fatalità”). È da immaginare che una delle poesie presenti in “Tempeste”, che esprime una dolente sottolineatura delle ingiustizie e delle contraddizioni sociali, sia stata ripresa da diversi fogli di orientamento socialista se la troviamo pubblicata anche sul giornale “La Voce del Popolo” (stampato a Sassari e diretto dal socialista Antonio Catta) nel numero datato 17 settembre 1899.
«La poesia “Disoccupato” – scrive Vanna Pina Delogu – ne delineava l’aspetto fisico trasandato dal quale traspariva il dramma interiore dell’emarginato a cui veniva rifiutata la possibilità di vivere dignitosamente».
Ecco i versi, purtroppo oggi di particolare attualità.
DISOCCUPATO
(di Ada Negri, 1895)
Alto, lacero, bruno, scamiciato,
Con un erculeo torso
Di facchino, di fabbro o di soldato
Egli aperse la porta impallidendo
Era un disoccupato.
Disse: Chiedo lavor, son forte e sano
Resisto a la fatica,
Ho due braccia di ferro. — Da lontano
Vengo: e, son già due mesi, ad ogni porta
Batto, pregando invano!…—
Chi gli rispose allora, io non rammento
Fu un no secco e reciso.
Gli contrasse la faccia uno sgomento
Cupo: dal petto uscì rauca la voce
Come un singhiozzo lento.
E disse: Per l’amor dei vostri estinti,
Non mi lasciate andare.
È una cosa tremenda esser respinti
Quando si ha fame. — Oh, per pietà, nel nome
Dei vostri cari estinti!…—
E disse ancora: Se credete in Dio,
Non mi lasciate andare.
Sacro diritto a la fatica ho anch’io:
È una bestemmia abbandonar chi cade.
Quando si crede in Dio!…—
Chi gli rispose allora, io non rammento:
Fu un no timido e fioco.
Parve ch’ei barcollasse in quel momento:
Poi partì, senza un motto, a capo chino,
Trascinandosi a stento.
Affascinata, io lo seguii col guardo;
E allontanarsi il vidi
Lungo la via sassosa, a passo tardo.
Su la testa il colpìa del Sol di giugno
L’arroventato dardo.
Sparì — ma, come in sogno, il disperato
Corso seguir lo vidi,
Inutil forza, braccio dispregiato:
E avanti, avanti, sudicio, ramingo,
Febbril, dilanïato,
Per città, per villaggi, per cascine,
Mendicante superbo,
Mostrando invan le stimmate e le spine
Di sua miseria!… e poi cadere, affranto.
Invocando la fine!…
E, curvo il capo, smorta di dolore,
Mormorando: perdono, —
Sentii di tutti i secoli l’errore
E il rimorso del mondo e la vergogna
Pesar sovra il mio cuore
Ringrazio vivamente il Prof. Paolo Pulina, valente studioso sardo e promotore della cultura sarda oltre il Tirreno, il quale mi ha oggi onorata parlando di me e del mio libro “Il Popolo Sovrano in Romangia e l’era del sindacalista Antonio Catta, nella prestigiosa rivista “Tottus in pari. Emigrati e residenti: la voce delle due Sardegne”. Grazie caro Professore, lo considero un incoraggiamento a procedere negli studi sul passato della nostra amata terra. A presto!