Sono 5,5 milioni gli italiani residenti all’estero nel 2020. Un vero e proprio boom con 198 mila iscritti in più all’Aire rispetto all’anno precedente. Lo registrano i dati Aire contenuti nel XV Rapporto italiani nel mondo 2020 presentato stamani dalla fondazione Cei Migrantes.
In particolare, al 1 gennaio 2020 la popolazione residente in Italia è composta di 60.244.639. Alla stessa data gli iscritti all’Aire sono 5.486.081, il 9,1%. In valore assoluto si registrano quasi 198 mila iscrizioni in più rispetto all’anno precedente (variazione 3,6%). Dei quasi 5,5 milioni di iscritti, le donne sono il 48,0% (oltre 2,6 milioni), i minori sono il 15% (oltre 824 mila) di cui il 6,8% ha meno di 10 anni. Il 22,3% (oltre 1,2 milioni) ha tra i 18 e i 34 anni e il 23,3% (1 milione 280 mila) ha tra i 35 e i 49 anni. Il 19,1% (oltre 1 milione) ha tra i 50 e i 64 anni e il 20,3% (oltre 1,1 milioni) ha dai 65 anni in su. In particolare, la comunità anziana è costituita da circa 523 mila iscritti tra i 65 e i 74 anni, quasi 358 mila tra i 75 e gli 84 anni e 231 mila over 85enni.
Se a livello nazionale la popolazione residente si è ridotta di quasi 189 mila unità, gli iscritti all’Aire sono aumentati nell’ultimo anno del 3,7% che diventa il 7,3% nell’ultimo triennio. Tutti i contesti regionali con due sole eccezioni (nel 2019 erano quattro) – la Lombardia e l’Emilia-Romagna – perdono abitanti mentre gli iscritti all’Aire crescono in tutte le regioni. A spopolarsi è soprattutto il Sud – Sicilia (-35.409), Campania (-29.685) e Puglia (-22.727) – mentre gli iscritti all’Aire crescono soprattutto nel Nord Italia. La presenza italiana nel mondo è soprattutto meridionale (2,6 milioni, 48,1%) di cui il 16,6% (poco più di 908 mila) delle Isole; quasi 2 milioni (36,2%) sono originari del Nord Italia e quasi 861 mila (15,7%) del Centro.
Scendendo al dettaglio provinciale, il primo territorio che si contraddistingue, con 371.379 iscritti, è quello di Roma e, a seguire, due province “minori” – Cosenza (178.121) e Agrigento (157.709) – rispetto ai successivi luoghi che comprendono nuovamente le metropoli più grandi e, allo stesso tempo, i capoluoghi di regione come Milano (149 mila), Napoli (quasi 146 mila), Salerno (144 mila) e Torino (quasi 132 mila). Il dettaglio comunale, invece, riporta nelle prime posizioni per numero di iscritti all’AIRE, solo le città italiane più grandi, tutte capoluoghi di regione: nell’ordine, Roma, Milano, Torino, Napoli, Genova e Palermo. Dal confronto tra gli iscritti all’Aire e la popolazione residente emergono, ad esclusione di Roma (11,7%), incidenze al di sotto dell’8%. Tuttavia, proseguendo nella graduatoria, è interessante notare la presenza di città molto più piccole – la cui popolazione residente è al di sotto delle 40 mila unità – e quindi con incidenze molto più elevate: Licata (12° posto, incidenza 47,1%), Palma di Montechiaro (20°, 53,1%) e Favara (24°, 33,0%). A un occhio attento non sfugge che si tratta di territori meridionali, siciliani, agrigentini.
Sono 131 mila le partenze degli italiani per espatrio nell’ultimo anno. Il nostro Paese sta perdendo le forze più giovani. Nel dettaglio, da gennaio a dicembre 2019 si sono iscritti all’Aire 257.812 cittadini italiani (erano poco più di 242 mila l’anno prima) di cui il 50,8% per espatrio, il 35,5% per nascita, il 6,7% per reiscrizione da irreperibilità, il 3,6% per acquisizione di cittadinanza, lo 0,7% per trasferimento dall’AIRE di altro comune e, infine, il 2,7% per altri motivi. In valore assoluto, nel corso del 2019 hanno registrato la loro residenza fuori dei confini nazionali, per solo espatrio, 130.936 connazionali (+2.353 persone rispetto all’anno precedente). Il 55,3% (72.424 in valore assoluto) sono maschi, il 64,5% (84.392) celibi o nubili e il 30% circa (39.506) coniugati/e.
Si tratta di partenze più maschili che femminili al contrario di quanto visto per la comunità generale degli iscritti all’Aire dove la differenza di genere si sta sempre più assottigliando e di persone che, nella stragrande maggioranza dei casi, partono non unite in matrimonio poiché soprattutto giovani (il 40,9% ha tra i 18 e il 34 anni), ma anche giovani-adulti (il 23,9% ha tra i 35 e i 49 anni). D’altra parte, però, i minori sono il 20,3% (26.557) e di questi l’11,9% ha meno di 10 anni: continuano, quindi, le partenze anche dei nuclei familiari con figli al seguito. Diminuisce il protagonismo degli anziani (il 4,8% del totale ha dai 65 anni in su), ma non quello dei migranti maturi (il 10,1% ha tra i 50 e i 64 anni). Rispetto all’anno precedente riscontriamo una crescita generale del +1,8% che diventa il 5,5% dal 2017. In soli 4 anni le peculiarità di chi parte dall’Italia sono completamente cambiate più volte. Se dal 2017 al 2018 è stato riscontrato un certo protagonismo degli anziani, nell’arco degli ultimi quattro anni si rileva una crescita nelle partenze di minori dai 10 ai 14 anni (+11,6%) e di adolescenti dai 15 ai 17 anni (+5,4%), ai quali si uniscono i giovani (+9,3% dai 18 ai 34 anni) e gli adulti maturi (+9,2% dai 50 ai 64 anni).
“L’ultimo anno – registra il Rapporto Migrantes – rispecchia la tendenza complessiva: l’Italia sta continuando a perdere le sue forze più giovani e vitali, capacità e competenze che vengono messe a disposizione di paesi altri che non solo li valorizzano appena li intercettano, ma ne usufruiscono negli anni migliori, quando cioè creatività e voglia di emergere sono ai livelli più alti per freschezza, genuinità e spirito di competizione. Il 72,9% dei quasi 131 mila iscritti all’Aire da gennaio a dicembre 2019 si è iscritto in Europa e il 20,5% in America (di questi, il 14,3% in quella meridionale)”.
Sono 186 le destinazioni scelte da chi ha deciso di risiedere all’estero nell’ultimo anno. Tra le prime 20 mete vi sono nazioni di quattro continenti diversi, ma ben 14 sono paesi europei. In quarta posizione troviamo il Brasile che insieme all’Argentina (8° posto) e agli Stati Uniti (7° posto) rappresentano il continente americano che si completa dell’Oceania con l’Australia (9° posto), dell’Asia (Emirati Arabi, 19° posto) e dell’Africa (Tunisia, 23° posto). Nelle prime posizioni si fanno notare paesi di storica presenza migratoria italiana. Al primo posto, ormai da diversi anni, il Regno Unito (quasi 25 mila iscrizioni, il 19,0% del totale) per il quale vale sia il discorso di effettive nuove iscrizioni sia quello di emersioni di connazionali da tempo presenti sul territorio inglese e che, in virtù della Brexit, hanno deciso di regolarizzare ufficialmente la loro presenza complice il complesso e confusionario processo di transizione rispetto ai diritti, ai doveri, al riconoscimento o meno di chi nel Regno Unito già risiedeva e lavorava da tempo.
A seguire la Germania (19.253, il 14,7%) e la Francia (14.196, il 10,8%), nazioni che continuano ad attirare italiani soprattutto legati a tradizioni migratorie di ricerca di lavori generici da una parte – si pensi a tutto il mondo della ristorazione e dell’edilizia – e specialistici dall’altra, legati al mondo accademico, al settore sanitario o a quello ingegneristico di area internazionale. Va considerato, inoltre, il mondo creativo e artistico italiano che trova terreno fertile in nazioni come la Francia e la Germania e, in particolare, in città come Parigi e Berlino. La Lombardia continua ad essere oggi la regione principale per numero di partenze totali ma non si può parlare di aumento percentuale delle stesse (-3,8% nell’ultimo anno). Il discorso opposto vale, invece, per il Molise (+18,1%), la Campania (+13,9%), la Calabria (+13,6%) e il Veneto (+13,3%). Il Rapporto evidenzia un altro elemento: “il dato della Sardegna (-14,6%) e, unitamente, anche quello della Sicilia (-0,3%), dell’Abruzzo (1,5%) e della Basilicata (3,4%) si spiega considerando la circolarità del protagonismo regionale.
Vi sono regioni, cioè, che oggi hanno raggiunto un grado talmente alto di desertificazione e polverizzazione sociale da non riuscire più a dare linfa neppure alla mobilità nonostante le partenze in valore assoluto – ed è il caso della Sicilia in particolare – le pongano al terzo posto tra tutte le regioni di Italia per numero di partenze. In generale, quindi, le regioni del Nord sono le più rappresentate, ma nel dettaglio viene naturale chiedersi quanti pur partendo oggi dalla Lombardia o dal Veneto sono, in realtà, figli di una prima migrazione per studio, lavoro o trasferimento della famiglia dal Sud al Nord Italia”.
Le pensioni pagate all’estero rappresentano solo il 2,4% del totale delle pensioni pagate dall’Inps. In particolare, il trend degli importi di pensioni pagate all’estero nelle diverse aree continentali dal 2015 al 2019 è positivo: in generale, infatti, nel quinquennio, gli importi sono cresciuti del 19,4%, nonostante la riduzione di importi pagati in alcune aree.
Più in dettaglio, si conferma il trend negativo di alcune aree continentali che rappresentano le “vecchie” mete di emigrazione, mentre crescono gli importi di pensione erogati nelle “nuove” destinazioni come, ad esempio, il continente africano, dove si regista un incremento del 165%. Merita di essere sottolineato il dato europeo, in considerazione del fatto che in quest’area viene erogato il 60,3% del totale delle pensioni pagate all’estero: qui si registra un incremento del 50,2% a fronte del decremento numerico del 2,8%. L’incremento complessivo degli importi pagati del 19,4% trova la sua motivazione nell’andamento delle tipologie di pensione: quelle di vecchiaia/anzianità rappresentano il 65,4% del totale, mentre quelle ai superstiti sono il 31,3% e le restanti di inabilità/invalidità.
In Europa, in particolare, le pensioni di vecchiaia sono il 69,2% del totale e in Africa il 70,1%, in aumento, rispetto al 2018, rispettivamente del 2,3% e dell’8,3%. La Germania è il paese dove si è registrato il più alto incremento numerico di pensionati Inps (+3.208), seguita dalla Romania (+2.258), dal Portogallo (+1.786), dalla Spagna (+1.569). “E evidente – spiega il Rapporto Migrantes – che alcuni di questi paesi sono quelli da cui provengono molti degli immigrati arrivati in Italia a partire dagli anni Ottanta, che poi, maturata la pensione italiana, sono rientrati nel loro paese. Altre realtà, invece, come Portogallo e Spagna, hanno avuto un’escalation negli ultimi anni per essere diventate mete attrattive in ragione delle agevolazioni fiscali e del costo della vita più basso”.
Il Rapporto Migrantes sugli italiani nel mondo analizza il movimento migratorio degli italiani secondo i dati Istat. Ebbene, nel 2018 le cancellazioni per l’estero di cittadini italiani sono state quasi 117 mila, di cui 51 mila donne (44,1%), mentre il numero delle iscrizioni anagrafiche dall’estero è stato di circa 47 mila individui, di cui 20 mila donne (43,1%). In generale, gli emigrati hanno un’età mediana di 31 anni per gli uomini e 29 anni per le donne, mentre l’età mediana di chi rimpatria è leggermente più alta, 36 anni per gli uomini e 32 per le donne. Inoltre, sono celibi/nubili il 64,3% degli espatriati e il 56,6% dei rimpatriati.
Per quanto riguarda il livello di istruzione, in prevalenza gli emigrati italiani hanno un titolo di studio medio-alto (circa il 53% possiede almeno il diploma), con una differenza di genere a favore degli uomini (il 55% contro il 45% delle donne). Le regioni per le quali è più consistente il flusso migratorio di italiani verso l’estero sono la Lombardia (oltre 22 mila, pari al 19,1% del totale delle cancellazioni), il Veneto e la Sicilia (oltre 11 mila, 10%), il Lazio (circa 10 mila, 8,7%), e il Piemonte (9 mila, pari al 7,6%).
La quota più elevata di donne che espatria si registra in Friuli-Venezia Giulia e in Trentino Alto Adige (rispettivamente, 47% e 46,4%), la più bassa in Puglia e in Calabria (42%). Le prime cinque province di cancellazione per l’estero sono Roma, Milano, Torino, Napoli e Brescia, le quali, nel complesso, rappresentano circa il 22,6% delle migrazioni in uscita. Osservando i cittadini rientrati in Italia nel 2018, risulta che sono anch’essi prevalentemente uomini (56,9%); nel 45% dei casi hanno un titolo di studio mediamente basso, nel 25% dei casi il diploma e nel restante 30% un alto livello di istruzione (laurea e post-laurea). Il 24,5% dei rimpatriati ha oltre 50 anni, percentuale che sale a 27% se si considerano i soli uomini.
I rimpatri avvengono principalmente verso la Lombardia (9 mila pari al 20% del totale delle iscrizioni), il Veneto, il Lazio e la Sicilia (tutte circa 4 mila pari al 8,5%), l’Emilia-Romagna, la Campania e il Piemonte (oltre 3 mila pari al 7%). Le regioni per le quali è più elevata la percentuale di donne, rispetto agli uomini, che effettuano iscrizioni anagrafiche dall’estero sono la Toscana (47%), il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia (45,7%); la più bassa percentuale si registra, invece, in Valle d’Aosta (39,6%) e in Campania (40,4%).
A livello provinciale, i rimpatri avvengono principalmente verso Milano, Roma, Torino, Napoli e Varese (per un totale del 23%). Nel 2018, i principali paesi di destinazione sono ancora il Regno Unito e la Germania che si aggiudicano le prime posizioni in graduatoria e che hanno accolto rispettivamente, il 18% e il 16% degli emigrati italiani, seguiti da Francia, Svizzera, Brasile e Spagna; tali paesi accolgono, nel complesso, oltre il 67% del totale delle cancellazioni di italiani per l’estero (78 mila su 117 mila in termini assoluti).
Altri paesi verso i quali gli italiani emigrano più frequentemente sono gli Stati Uniti d’America (4,6%), il Belgio (2,4%), l’Australia e l’Austria (entrambe 2,0%). Per quanto riguarda i rimpatri, i paesi dai i quali si ritorna nel 2018 sono principalmente il Brasile, la Germania, il Regno Unito, la Svizzera, il Venezuela, gli Stati Uniti d’America e la Francia per un totale del 61% delle iscrizioni anagrafiche (28 mila su circa 47 mila in termini assoluti). Un ruolo importante nella graduatoria dei primi 15 paesi è giocato anche da Spagna, Argentina, Belgio, Australia, Emirati Arabi e Cina (percentuali sul totale comprese tra 3% e 1,6%). “Nel caso particolare del Venezuela – registra il Rapporto – va ricordato che la profonda crisi economica, sociale e politica che ha investito il paese da qualche anno, sta provocando un vero e proprio esodo”.