di GRAZIANO SIOTTO
Accade qualcosa di incredibile quando, improvvisamente, nelle pagine bianche inizia ad arrivare un turbinio di caratteri che si accostano ad altri caratteri. Frenetici, lenti, scanditi, grezzi, ricercati, curati, alla rinfusa o in fila.
Come una carovana di zingari circensi, ordinati nel loro caos o le alitate ritmate di un orgasmo, che volevi ritardare, ma che arriva con la masturbazione, al chiuso di una stanza, nell’attimo esatto in cui qualcuno ti scopre. “La morte si nasconde negli orologi” è proprio questo. Una sonata su Word, un tic tac alla macchina da scrivere, lo scroscio costante dell’inchiostro della penna su fogli e fogli che si riempiono. Il compositore è Emiliano, che si nasconde e fa parlare sé stesso, pezzetto per pezzetto, dietro ognuna delle vite comparse nella sua e che attraverso questa si mostrano a noi. C’è sofferenza, c’è quiete, c’è tempesta, c’è rassegnazione, c’è accettazione in queste pagine di vite. Ci son stupri, suicidi, aborti, vendette, numeri, frasi, donne, uomini, bestie. C’è Dio, c’è religione, c’è chiesa, ci son le Scritture, c’è il Reverendo, c’è Giona. Ci sono locande, case, orologerie, stanze del tempo, vagoni, colline con i papaveri rossi in fiore. Ma su tutti, imprescindibile, il tempo. Non una generica concezione frenetica, ma un Essere che tutto avvolge, muove, crea, distrugge. È il tempo a relegare a ricordo dei violenti abusi, mentre forgia lenta una vendetta che deve arrivare con un solo e semplice sguardo. Sempre il tempo a farsi cogliere e conoscere attraverso lo scorrere delle stagioni, le spighe gialle e ocra sulle colline, lo sbocciare etereo, effimero ma quasi infinito, di una bocca di donna con i papaveri rossi.
Il tempo a muovere le mani del negro al piano, in quella bettola dimenticata dalle donne ma poi riscoperta. Il tempo che muove le onde del mare, essere sconosciuto ai più in quel paesetto rurale non dimenticato da Dio. Il tempo a battere sulle bolle di sapone che esplodono, sulle rotaie del treno e del suo ratatatatum in perfetto orario. Ci sono indizi sul come rileggere il tutto. Ci sono causalità, chiamate appositamente come tali, che portano questo libro a venir fuori da un periodo pandemico mondiale, per esser lette e proposte in un piccolo borgo quasi fantasma nella Provincia di Nuoro. Turmac come Lollove e Lollove come Turmac. Groviglio di casette con la chiesa sopra, pochi abitanti da starci forse sulle dita di due mani, ma mettendosi di impegno. Turmac, Lollove, Aar.
Aar uguale Lollove, il paese di Don Paulo e della sua genitrice nel romanzo: “La Madre”. Lei, chiamata Maria Maddalena come la chiesetta seicentesca di Lollove. C’è molta Deledda nello stile narrativo, nelle descrizioni metodiche e ossessive finanche dei lembi di luce, degli attimi. C’è Deledda in Ruth, lo stesso nome di una delle tre Dame Pintor del libro che le fece vincere il Nobel, “Canne al Vento“. C’è Deledda e c’è il suo “La Madre” negli occhi languidi di peccato del Reverendo Hartman e in quelli di Don Paulo che viene sbattuto tra fede e amore, tra certezza ed emozione. Quello di Emiliano Deiana è un emozionante romanzo universale: “La morte si nasconde negli orologi”.