di SERGIO PORTAS
Come è incredibilmente bella la Sardegna, e incredibilmente triste e buffa, e resiliente, una parola che racchiude il concetto indicante la capacità di far fronte ad eventi traumatici, di riorganizzare il proprio vissuto dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità che la vita offre, senza alienare la propria identità. Il regista “sassarese di Badesi” Mario Piredda ha offerto a Nora Stassi, una ragazzina di Pula recuperata in un bar tra le più di cinquecento che per un intero anno si erano cercate in tutta la Sardegna, il ruolo di protagonista nel suo primo lungometraggio: L’agnello. Doveva uscire prima che il virus che sapete si prendesse i prosceni dell’intero mondo, chiudendo contemporaneamente cinema e teatri, nonché bar, piscine e asili nido. Ma già da subito quelli del “Premio Suso Cecchi D’Amico” lo hanno premiato per la sceneggiatura originale di un film italiano in cui rivesta particolare rilievo una figura femminile. E che figura! Nora (nel film si chiama Anita) è puro istinto animale, una bomba a orologeria che sembra sempre lì lì per scoppiare, ma che poi sa sciogliersi in attimi di trasporto di un’intensità rara. Lei e Piredda, insieme a Luciano Curreli, l’indimenticabile padre di Cate in “Bellas mariposas” di Salvatore Mereu, in questo film è Jacopo il padre di Anita malato di leucemia, sono tutti e tre presenti all’Anteo di Milano di una serata in cui una pioggia neghittosa relega in sala lo spettacolo che era previsto all’aperto, ai chioschi dell’Incoronata. “Mischiare attori professionisti con dei dilettanti spesso aiuta, dà al film un senso di freschezza tutto particolare. Nora si è trovata catapultata in una sorta di circo sconosciuto, nel Supramonte sardo, in Ogliastra. E ha dovuto trovarsi uno spazio suo”. Fortunatamente tra lei e “il padre” si era da subito instituito un legame forte, di quelli che più che chimici paiono di natura alchemica, magica: dice Luciano: “Era già mia figlia al primo provino, quella figlia mai avuta, sempre con quell’aria un po’ incazzata. E da subito ero diventato un padre un po’ ansioso. Questo nostro incontro d’anime è stata una vera fortuna. Come il doversi confrontare con una ragazzina stizzosa. Anche oggi mi chiedo continuamente che fine farà, praticamente l’ho adottata come figlia. Né ho potuto insegnarle nulla. È puro istinto, nata per recitare”. “Io non ho padre, dice Nora, in questa esperienza così diversa della mia solita vita ho riso, pianto, scherzato. E quel rapporto che si instaurato con Luciano continua ancora, tanto che mi capita spesso di pensarlo chiedendomi cosa starà facendo a Roma”. Nel film, continua Piredda, c’è tanta scrittura dietro, la mia idea era di fare un dramma punk-agro-pastorale, usando tutti i riferimenti che mi vengono da un’infanzia vissuta in campagna, dove questi elementi li ho assunti col latte che un pastore di un vicino ovile ci faceva avere giornalmente. E questa ragazzina che pare un essere tutta dolcezza è invece dotata di un carattere estremamente variegato, tanto che di primo acchito tra di noi sono state piuttosto fiamme che sorrisi. Come mi sono accorto che entrava nel personaggio quasi in modo automatico, le ho detto di non studiare il copione a memoria, di non leggerlo più. Una volta che ho fatto la scelta degli attori, li lascio molto agire, quasi la storia si dipanasse da sola. E anche tutti gli altri, il nonno Tonino: Claudio Agus, lo zio Giacomo, un sorprendente Michele Atzori, sino all’Angelina moglie di Giacomo, sono calati nelle loro parti come ingranaggi di un orologio che ticchetta in modo prodigioso. La cassa che tiene insieme ogni singola ancoretta, ogni singolo rubino, è l’isola di Sardegna che Mario Piredda continua a voler vedere ( vedi i suoi “corti”: con “ A casa mia” ci ha vinto il “Donatello”) a voler rappresentare, nelle sue annose dolorose, tragiche, contraddizioni. Cieli ricchi di bigie nubi solcati dai caccia della Nato che vanno a scaricare i loro carichi di tritolo e uranio impoverito nei poligoni di capo Frasca, Teulada, Quirra. pastori e bestie che si ammalano di tumori prima sconosciuti, ampie zone di territorio cinte di filo spinato, coste bagnate da mari dai fondali ricchi di pesce e bombe inesplose. E così da secoli, senza che una classe politica degna di questo nome mai si impegnasse veramente a porre fine a questa ignominia, a questo scempio che mette sul piatto di una bilancia un numero di posti di lavoro ridicolo e sull’altra lo scippo di intere parti del territorio isolano, la salute degli abitanti che abitano le zone limitrofe a quelle militari.
Per Jacopo, che sta morendo lentamente come già è morta sua moglie, per Giacomo che si arrangia vendendo scarti di metallo, per nonno Nino che bada al suo gregge buttando nel fuoco gli aborti delle sue pecore, è così che va la vita. Quella vita che se ne vuole finire prima del tempo, e quindi c’è da tentare la “chemio”, e poi il trapianto di midollo. E da qui la ricerca del “parente compatibile”. Ma né Anita né Nino lo sono, ci sarebbe da tentare con Giacomo ma con lui non ci si parla da anni tra fratelli. Storie di droga, qualcuno si è fatto un anno di carcere perché l’altro ha taciuto delle cose. Questo per molti sardi “vecchi” è motivo che porta “disamistade” eterna, inimicizia che finisce solo quando uno dei due viene interrato, e non che si partecipi al funerale. E allora ci vuole chi si ribelli, una “Greta Thumberg” sarda che urli a tutti che no! Non può sempre andare così, che lei, Anita, con questo suo babbo vuole continuare a viverci, a scherzarci, a riderci insieme, a chiamarlo Jacopo, mica babbo. A mordergli il polso forte sino a fargli il segno circolare di un orologio. E anche Jacopo, o meglio il suo sub-conscio, non si percepisce moribondo, è vero che perde a ciuffi i capelli ( sarà Anita a tosarlo a zero), che spesso vomita nel lavandino, eppure trova il coraggio, in sede di chemio-terapia di fare un po’ di corte a una sfortunata signora belga che come lui mostra orgogliosamente il suo cranio pelato, ma ,per lui, è capace di lasciarsi andare in un ballo seducente di baiadera. “E chi è questa tipa che ti scrive sul telefonino, chiede la figlia ridendo” “Non sono affari tuoi”. “E perché non telefoni allo zio Giacomo e gli spieghi che hai bisogno del suo aiuto?” “Non sono affari tuoi”. Tocca vedere il film per bearsi del viso di Anita che si fa scuro come il mare d’inverno, tocca fare il tifo per lei quando, con la tenacia dei sardi che vogliono sopravvivere, dallo zio si reca una, due, tre volte, presa a male parole sempre, ma non demorde. Le riesce quello che babbo Tonino non è riuscito a fare, far parlare tra loro i due fratelli: “adesso divertitevi”. Fa spesso sorridere, e ridere forte, questa buffa ragazzina di neanche diciott’anni (in realtà ne ha ventuno) piena di tatuaggi (tutte le mie amiche sarde hanno tatuaggi, mi dice a film finito), sempre a portata di cellulare, come tutti i ragazzi italiani di oggi. Irresistibile nel vestito cremisi che ha “preso in prestito” nell’albergo in cui lavora (le costerà il licenziamento: “Ti incazzi se ti dico una cosa?” e il padre: “Sono già incazzato”) da cui spuntano un paio di quei scarponi che usano i pastori barbaricini, i “cosinzos”. Irresistibile quando si mette al collo l’agnello e davanti al babbo sofferente recita: “Statuina del presepe numero due” e lo costringe a un sorriso, tirato, ma un sorriso. Irresistibile quando si scatena in discoteca in minigonna e calze a rete, ma l’onnipresente squillo del telefonino la richiamerà all’ordine del padre ospedalizzato. Anita è la Sardegna, quella di oggi, tatuata e col telefonino, ma che ne ha piene le palle dei militari in divisa che incrocia in campagna, una delle tre cose che odia, l’altra è la mela cotta, la terza non si sa. Anita di questi sardi che si parlano a gesti se ne fa beffe, anche lei è capace di “parlare” così, che ci è nata in quel paese di matti. Ma dinanzi a un problema di vita o di morte sa che “su connottu” deve potersi sovvertire. Che ci si deve provare, se no la Sardegna diventa pane carasau, che lo prendi in mano e se stringi si spezza sempre in centomila briciole. “L’hai vista la Madonna? Chiede al nonno. La Madonna? Risponde lui, e perché. Sei o non sei un pastore. Tutti i pastori vedono la Madonna”. Ineccepibile. Ogni tanto ci sono degli intercalari in sardo, molto misurati, con sottotitoli in italiano. E anche Anita capisce e risponde in sardo, a Nora ho scordato di chiederlo se anche in casa sua parlano così, ha una famiglia al femminile, mamma e sorella e zia. Non ho avuto cuore di chiederle del padre. Semplicemente non c’è. Ora ne ha uno trovato nel cinema. E vedeste come se lo abbraccia a film finito, ambedue con mascherine d’ordinanza, sinché non si esca dalla sala. Mi dice che vorrebbe frequentare una scuola di recitazione. Prima d’ora aveva solo fatto esperienze con spettacoli di dilettanti. Quando la “casting director” Stella la Boccetta (si merita tutta una citazione visto il risultato) ha cominciato a fissarla nel bar dov’era con degli amici e l’ha vista avvicinarsi ha pensato:”E adesso cosa vuole questa qui”, che nella Sardegna di oggi anche le ragazze possono tentare un approccio l’un l’altra senza che qualcuno si scandalizzi. O no? Certo non ci si scandalizza dei continui aumenti dei tumori di cui vanno ammalandosi anche i ragazzi più giovani, né dei tumori di cui si ammalano, a centinaia, i militari sardi e non che tornano dalle missioni militari all’estero. Dove spesso si usano proiettili a uranio impoverito. Debbono nascere delle Anite-Nore che sappiano urlare che no! Non può sempre andare così. E sono bellissime nella loro furia triste. A tutto orchestrare Mario Piredda, che ha usato sette animali diversi per portare un agnello alla fine, e sarà Anita a tosarlo, chi se non lei?
Bellissimo pezzo. Complimenti.
Bellissimo l articolo. Rende merito ad un film che ho amato molto e che spero possa girare nelle sale. É commovente, tenero e forte assieme, cupo e aspro… Come i paesaggi di una terra inquinata e la Disperata lotta, alla sopravvivenza di chi la abita. Bravissima Anita – Nora, un Interpretazione convincente.. Un rapporto padre e figlia straordinario, delicato e determinato.. Che dire.. Spero che riceva il riconoscimento che Merita.. Uno specchio di una Sardegna contemporanea… Bravissimo il regista che ci ha regalato una storia di una Sardegna resiliente..
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