di ROBERTA CARBONI
Un antico gioco con il quale i bambini e gli adolescenti erano soliti intrattenersi, soprattutto in occasione delle festività tradizionali, che conserva numerosi punti in comune con il “dreidel” usato nella tradizione ebraica.
La Sardegna ha conosciuto una significativa presenza giudaica soltanto fino al 1492, quando il volere dei re cattolici Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, attuato attraverso il celebre Decreto di Granada, ha cancellato per sempre ogni testimonianza materiale del giudaismo sardo.
A Cagliari, ad esempio, non solo il quartiere – la judaria – è stato in buona parte distrutto, ma anche la sinagoga ed ogni altro simbolo materiale. Eppure, nonostante i secoli, la cultura giudaica è sopravvissuta in molte delle nostre tradizioni, nei rituali, in alcuni piatti tipici e perfino in alcuni giochi.
Tra questi, diffuso soltanto nell’area del Campidano, dove la presenza giudaica è stata più forte e maggiormente radicata, “su barralliccu”, una sorta di trottola che gli stessi bambini erano in grado di costruire autonomamente. Bastavano un pezzo di legno da intagliare e un chiodo lungo e il gioco era fatto!
“Su barralliccu” è costituito da un piccolo cubo di legno e da un perno centrale sporgente da entrambi i lati.
Su ognuna delle quattro facce del cubo si incideva o dipingeva una lettera: la T, iniziale della parola “tottu”, cioè tutto; la M che indicava la parola “mitadi“, cioè “metà”; la N che significava “nudda“, cioè “nulla”,la P che indicava la parola “poni“, cioè “metti”.
La trottola serviva per contendersi un piccolo bottino di castagne, frutta secca, mandarini e qualche spicciolo. Ogni giocatore, a turno, faceva roteare la trottola per mezzo del perno centrale e, quando questa si fermava, rivelava la lettera presente nella faccia visibile a tutti.
Nel caso in cui fosse uscita la lettera “P” (“poni”), ad esempio, il giocatore che aveva azionato la trottola avrebbe dovuto mettere sul tavolo la sua parte di bottino, magari appena conquistata nella mano precedente. La lettera “T”, invece, avrebbe regalato al giocatore l’intero bottino presente sul piatto.
A decidere, dunque, era la sorte e la durata del gioco era variabile in relazione al numero dei giocatori e alla ricchezza complessiva del piatto.
Pur non conoscendo le origini di questo gioco, si trova un interessante riscontro nella cultura ebraica, che utilizza il “sevivon” o “dreidel” con le stesse modalità.
Nel “dreidel” le 4 facce riportano le iniziali, in alfabeto ebraico, di “Nun”, “niente”, “Hei” o “halb” che vuol dire metà, “Gimel” che significa “tutto” e “Shin” che significa “metti”.
La parola Yiddish “dreidel” deriva “dreyen” che significa “far girare”, simile al tedesco “drehen”. Alcuni rabbini ritengono che le 4 lettere dell’alfabeto abbiano un significato simbolico collegato alla storia di Israele. In particolare sostengono che le quattro lettere si riferiscano alle quattro nazioni che avevano dominato Israele: Babilonia, Persia, Grecia e Roma.
Ad ogni modo gli elementi comuni al dreidel e a su barralliccu raccontano ancora oggi la storia di una Sardegna giudaica le cui radici sembrano essere molto profonde, permettendo, così alla cultura ebraica di sopravvivere al triste epilogo del XV secolo e conservare la memoria storica di un popolo che ha apportato alla nostra cultura interessanti contaminazioni.