di ANNA MARIA TURRA
Paola Nieddu è in arte Pandela Corsara e utilizza la poesia estemporanea, replicata con tutti i mezzi e materiali possibili, incentivando la diffusione non solo della lingua sarda ma anche del prodotto tipico del territorio. Nasce a Lei, un paesino dove si sprecano le battute sia sul nome sia sui 586 abitanti in calo numerico verticale. Pandela o Paola è, a tutti gli effetti una oss, operatrice sociosanitaria, impegnata nella relazione di aiuto domiciliare per la Legge 162 su progetti di ritorno a casa, e si auto definisce ironicamente “poetoss”.
Crede nell’urgenza di portare la poesia anche nella sanità e per il momento è riuscita a portarla nell’alta moda: i suoi versi vengono ricamati su abiti nuziali esposti al MIF di Muravera, Museo dell’imprenditoria femminile, dedicato a donna Francesca Sanna Sulis, che nel Settecento diventa imprenditrice e stilista di moda di fama europea. Sostiene che, come nella medicina olistica in cui tutto appare collegato, anche la poesia nell’esperienza umana rappresenti una vera e propria rivoluzione copernicana. Con la forza della poesia, che Pandela Corsara considera una grande eredità paterna, si possono raggiungere risultati davvero sorprendenti, secondo la sua esperienza è una pratica in grado di lenire non solo lo spirito ma anche e soprattutto il fisico.
«Penso a quanto sarebbe bello che fossero gli educatori ad aprire, nelle strutture di accoglienza per anziani, un percorso tra moda e poesia proprio a partire da ciò che il paziente riconosce, da ciò che è la sua radice, il suo mondo che è fatto di un’intera storia di vita.» Paola Nieddu aderisce perfettamente al proprio lavoro, lo riconosce come il luogo del privilegio in cui fragilità e bisogni umani consentono un’intimità nella relazione che a lei sembra difficilmente raggiungibile in altri ruoli della cura. Un’evidenza di pregi e limiti personali accanto ai quali è possibile un’altissima empatia e una sorprendente crescita di ricchezze in cui la cifra è lo scambio. Ufficialmente Pandela Corsara vede la luce nei social nel 2017 il giorno di Ognissanti, animata dall’idea di portare la poesia sarda improvvisata su tutti i materiali possibili e immaginabili.
Sembra proprio voler essere lo spirito della poesia a pretendere di materializzarsi attraverso le cose, gli abiti e gli accessori. Un concetto molto astratto che diventa concreto esattamente quando, grazie alle numerose risposte di collaborazioni, si realizzano abiti e oggetti che si vedono, che si toccano e, soprattutto, che si vendono. Per come il percorso si è realizzato, a seguito di un desiderio fortemente espresso, Pandela Corsara crede che la spiritualità sia molto vicina all’arte. «Gli uomini spirituali, quelli che spesso chiamiamo illuminati, insomma tutti coloro che parlano di un risveglio collettivo delle coscienze, dove non c’è alcuna competizione ma una sola grande crescita, lo dicono molto meglio di me: tu esprimi un desiderio e vedrai quante cose avverranno per permettere a questo tuo desiderio di accadere.»
Ed è in questo modo che definisce il suo successo, come una sorta di domino al di fuori di sé: «Una cosa è il desiderio di creare, un’altra è la realizzazione concreta di un’idea. Trasformare arte in artigianato o viceversa è semplicemente quello che è capitato a me in un tempo assurdamente breve – dice Pandela Corsara – mi sono sentita come lo scultore che riconosce esattamente il momento in cui l’opera ha una propria vita e, a diversi livelli, è qualcosa che ha a che vedere con la conoscenza».
Sono gli incontri per Paola Nieddu a rivestire un posto nodale in cui confluisce l’ispirazione artistica: «Nella figura di Lauretta Podda, della sartoria Sorelle Podda, ho trovato un grande mezzo di diffusione di un patrimonio culturale. Per come è stato condotto l’immenso lavoro di creatività e di studio per poter riprodurre la mia poetica col ricamo sugli abiti d’alta sartoria, così come Daniela Fontana che è arrivata a dipingere alcuni miei versi nei trolley da viaggio, sono sempre più convinta che l’idea artistica viva da sola, si serva di noi e, che in qualche modo, rappresenti una sorta di bene comune».
La poesia di Pandela Corsara è scritta nella variante logudorese della lingua sarda, ne esistono diverse: quella gallurese, campidanese, ogliastrina, sapparese e barbaricina, detta anche montagnina. Varianti da non confondere con le due vere e proprie lingue, sebbene individuate come minoranze linguistiche, che sono il tabarchino e il catalano. «Per alcune collaborazioni mi avvalgo di Vincenzo Spiga, traduttore in lingua campidanese, perché interpretare lo spirito di determinati componimenti non è così immediato.»
Il risultato di una traduzione di un poeta che ragiona in sardo è complesso anche perché alcuni vocaboli non esistono in italiano. L’idea è proprio di allargare ulteriormente il progetto e di inserire nell’intera produzione di un territorio la poesia estemporanea che non è nata certo in Sardegna ma che è ovunque. L’improvvisazione lirica si serve in tutto il mondo delle minoranze linguistiche ma per Pandela Corsara l’imperativo è incentivare la diffusione della lingua sarda, ufficializzata di recente, e con lei le identità locali. «Chi conosce Maria Lai, estremamente umile e modesta al punto di definirsi “una capretta sarda”, sa cosa intendo fare con questo mio buttare giù versi – dichiara risoluta Pandela Corsara – sentirsi capita proprio nella mia terra è già il risultato. Quando ho avuto modo di frequentare il corso di Maria Grazia Uras ho a mia volta capito la grande forza che sta nel concetto di arte relazionale.» E infatti, quando l’insegnante di fashion design realizza il prototipo di un caban in orbace, con bottone in legno di ginepro e ricamo sardo, per celebrare con la sua collezione la grandezza di Maria Lai, ecco che i versi del componimento di Pandela Corsara, Ninfa de buscu, trovano una netta, ispirata e concreta collocazione.
Per certi versi è quanto è accaduto per Ricamo de vida, titolo della poesia che la sartoria delle sorelle Podda ha considerato una tra le innovazioni da replicare su modelli degli abiti da sposa. Capi sontuosi che vengono realizzati con stoffe dall’altissimo pregio e con materie prime locali a partire dai tessuti arrivando ai filati. I ricami a mano sono su stoffa fatta artigianalmente e, punto per punto, si è via via profilato un vero e proprio strumento di divulgazione del sapere di un popolo. «Solo in quattro o cinque capi è stata richiesta la traduzione della poesia dal logodurese ma in realtà per la commercializzazione io suggerisco una personalizzazione con dei versi a scelta del committente. La produzione poetica non ha né confini né proprietà, si scelgono alcuni versi perché ci descrivono meglio di altri è chiaro quindi che potrebbe essere implicato anche un altro poeta gallurese o di chissà dove. L’idea non è di per sé originale – precisa Pandela Corsara – vedi le magliette con scritte di ogni genere, tutti noi vorremmo indossare noi stessi, mentre il fatto di utilizzare le nostre eccellenze io lo vivo come la vera rivoluzione. Perché voglio fare della poesia estemporanea una bandiera e nei miei progetti non voglio porre limiti né escludere altre varianti o minoranze linguistiche. Ben venga chi si avvicinerà ma vorrei fosse chiaro che nell’alta moda questa pratica di promozione identitaria è nata proprio qui in Sardegna con Lauretta Podda.» Finalmente svelata come se fosse stata nascosta da troppo tempo nel cuore sardo della Barbagia.