di PIER BRUNO COSSO
Toc toc, permesso? Possiamo entrare? Perché non hai messo il campanello elettrico, e preferisci che si bussi con le mani sul questo portone in legno? Di che colore ce lo dobbiamo immaginare? Quando arriverete non noterete il colore della porta che, comunque, mi piace immaginare indefinito, corroso dal vento e dal tempo. Sarà aperto e per entrare vi basterà battere le mani, come nell’uso antico e come ancora avviene per entrare nelle capanne in Africa.
Siamo in molti, siamo veramente in tanti, siamo i lettori di TOTTUS IN PARI, ci puoi ricevere? Ci mettiamo qui buoni buoni e ci piacerebbe ascoltarti un po’; dove siamo adesso? In quale città? E quale angolo della tua casa ci stai aprendo? Vi accoglierò nel patio della mia casa a Mendoza, in Argentina, ai piedi delle Ande. Casa che ho condiviso con mia sorella Grazia da oltre dieci anni e che stiamo per lasciare per tornare infine in Italia. Staremo al riparo del tetto rivestito di tegole con le travi di legno scuro seduti sulle poltroncine verdi intorno al tavolo consumato e guarderemo l’ibisco rosso, l’albero di limoni, l’alloro, le rose, il jacarandá del vicino che spande petali viola sul mio prato.
Ancora non vi sveliamo chi siamo venuti a trovare, iniziamo con qualche indizio che ci deve suggerire lei! Lei, quindi una donna, già un’indicazione, ottimo, si comincia dal meglio. Vado avanti io, e visto che non ci siamo mai incontrati cerco di tracciare il profilo dalle tue note biografiche (che trovate alla fine dell’intervista), e direi… sensibile, intraprendente, irrequieta (e già questo aggettivo apre un mondo su cui poi torneremo). Confermi? E comunque aggiungi che ti vedi, come? Sensibile, intraprendente, irrequieta: mi riconosco in questi tre aggettivi, anche se “irrequieta” va definito. Mi piace anche stare ferma, sospesa; guardare, ascoltare ciò che mi circonda, riflettere su ciò che vedo e sento, perdermi, non fare niente. Contemplare, forse. Oziare. Sicuramente, credo che mi si addica resistente, positiva, anche. Con il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà, per dirla con Gramsci.
Eccoci, carissimi lettori di TOTTUS IN PARI, siamo entrati in punta di piedi a casa di Anna Fresu, regista, autrice, studiosa, poetessa, scrittrice, viaggiatrice, o forse esploratrice del mondo. Fermiamoci un attimo su tutte queste cose che fai… oppure tu sei tutte queste cose? La differenza è sostanziale. Credo che ciò che faccio sia espressione di quel che sono, magari non tutto insieme ma in momenti diversi. Sono tutte cose molto affini tra loro. Aggiungete “traduttrice”, titolo a cui tengo perché è importante per me comunicare non solo ciò che io sono e sento ma anche fare da ponte fra autori, poeti, spesso poco conosciuti da noi – come certi scrittori africani o afrodiscendenti o nativi – e lettori, spettatori del nostro mondo con la voglia di conoscere, aprirsi a altri mondi. E anche “attrice” per il desiderio di mettermi nei panni dell’altro o semplicemente di raccontare storie anche con il corpo e la voce. In tutto ciò che faccio c’è il bisogno di essere “ponte”, di gettare semi al vento, di riconoscermi, riscoprirmi nell’altro e nell’altrove. C’è il bisogno di capire e di cambiare.
E poi tanta poliedricità, alla fine, non credo che comporti nessuna contraddizione, anzi, forse nasce da un germoglio unico, e questo germoglio è più vicino alla passione per lo studio o alla irrequietezza? Ci sono passione e desiderio di conoscere. C’è l’eredità di mia madre, dei racconti con cui ha popolato la mia infanzia e quella di mia sorella (non è un caso che entrambi amiamo scrivere) mischiando cultura popolare e cultura alta, o meglio ignorandone volutamente le differenze.
Ecco, dicevamo che saremo tornati sulla tua irrequietezza. Cos’è l’irrequietezza, un peso, una fame dell’anima, un ostacolo, o un propellente per le alte vette? L’irrequietezza, per me, è apertura all’altro, all’altrove; è mettermi alla prova, riconoscere i miei limiti, superarli ma anche assumerli cercando di trasformarli in punto di forza.
Anche nei tuoi continui spostamenti nel mondo si potrebbe vedere irrequietezza, non ti pare? Ma per te dov’è casa? Quando cerchi un luogo sicuro per far guarire le ferite che immancabilmente la vita dà, dove ti rifugi? Dove fai combaciare un luogo della tua anima con un luogo fisico? La casa non è un luogo, sono gli affetti: mia sorella, i miei figli, le mie nipotine, le mie amiche e i miei amici. Ma anche un luogo dentro me stessa in cui mi raccolgo, sospendo il giudizio, ritrovo la forza per continuare e, a volte, ricominciare. Sono i libri, è la letteratura, la poesia, che non mi abbandonano mai.
Sei nata a La Maddalena, un’isola della nostra madre isola Sardegna: per te è anche un luogo dell’anima? Riesci a dilatare le distanze fino a sentirti Isola, o nella tua isola passano una ricchezza di meridiani e paralleli che la affollano? Mi riconosco nell’isola, origine e ritorno, luogo dell’anima e di memorie care; scoperta dei sensi, del piacere: vento che scompiglia i capelli, profumi intensi delle nostre piante, estasi dei colori, trasparenza e fluidità del mare – quiete e tempesta – in cui mi ritrovo e identifico, confini che proteggono e invitano al viaggio, alla scoperta di orizzonti da varcare.
Il mare ti circonda. Immagina che hai camminato tantissimo e che fermi dove non si può più andare avanti perché oltre c’è solo mare. Ti bagni i piedi, ti siedi sulla sabbia (sei sulla spiaggia, o sugli scogli?), e rifletti che il mare è… Il mare è l’amico, il rifugio a cui anelare dopo aver attraversato deserti, non importa se di sabbia o d’asfalto, o del sentire. Camminerò sulla sabbia per sentire l’acqua salire lentamente, riconquistare fiducia reciproca. Forse, domani, prenderò coraggio e vi entrerò scivolando o tuffandomi dagli scogli (le bianche scogliere di Tegge o quelle rosate di Nido d’Aquila). Mi abbandonerò al verdeazzurro che amo, sarò pesce alga, natura primordiale. Il mare sono io. C’era quando sono nata e me lo porto dentro dove non c’è. In spagnolo e in francese “mare” è donna. Per me è madre, liquido amniotico, origine e, perché no, fine. Liquido caldo che accoglie e ricongiunge al tutto. Cerchio della vita.
Mi incuriosisce il tuo vagare nel mondo, e prima ti chiedevo se sei più viaggiatrice o esploratrice. Chiudi gli occhi: isolati e ritorna sui tuoi tanti passi, quelli più belli, ma anche quelli più complicati, e dici se ogni volta ti attrae quello che scoprirai ma che ancora non sai; perché esplori. Oppure se viaggi in un divenire preferendo che tutto possa diventare semplicemente ma fantasticamente ricordo? Gli altri paesi in cui ho viaggiato, vissuto, dalla Sardegna al Continente, al Portogallo, al Mozambico, al Niger, all’Argentina, sono stati occasioni, casi della vita, che ho accolto, a volte, con qualche apprensione, timidezza; su cui però è sempre prevalsa la curiosità, la voglia di conoscere, di capire, l’empatia. Da ognuno ho imparato qualcosa, anche su me stessa, sulla mia capacità di confrontarmi, di mettermi in discussione, di esplorare territori sconosciuti, non necessariamente fisici ma anche dell’anima. Non pensavo di costruire ricordi -ero sempre molto calata nel presente- ma ora so di averlo fatto.
Già, i ricordi… Riapri gli occhi e guardati lentamente in giro in questa bella stanza accogliente dove ci stai ricevendo e stai raccontando. Osserva tutto quello che ci circonda e indicaci un oggetto… Un solo oggetto, quell’oggetto che mentre ci poggiavi lo sguardo ti ha provocato un battito zoppo del cuore. Raccontaci di quel tuffo al cuore… Se vi avessi ricevuto nella mia sala circondata di libri lo sguardo mi sarebbe caduto su un grande libro rivestito di velluto rosso, la Divina Commedia, su cui mamma ci mostrava le incisioni di Doré e ci recitava o raccontava i versi, le storie di Dante. Così è nato il mio amore per la parola. Ma siamo nel patio e lo sguardo mi cade su una foto appesa a una parete davanti alla piscina. È la Spiaggia Rosa, nell’isola di Budelli, nell’arcipelago di La Maddalena. Nuotare in piscina guardandola mi trasporta dalle Ande alla mia isola, diventa un magico raccordo fra passato e presente, desiderio di continuità tra il “sono stata” e il “sono”, tra il mare e la pietra: elementi che mi compongono.
In tutto quello cha fai ti senti un’artigiana della parola, del racconto? Voglio dire, quando vedi una scena che ti tocca dentro, quando attraversi un’emozione che ti travolge e ti fa venire la pelle d’oca, e vorresti fermare il tempo per stare un po’ dentro quell’istante, ecco quel momento lo vedi dentro di te già in versi? Oppure si sviluppa in un racconto? O lo vedi vivere in una scena di teatro? Come le tue emozioni vanno ad abitare in una sola di queste arti? Fermare il tempo, ecco. Dite bene. Forse è proprio questo recitare, scrivere… Dare spessore all’attimo, renderlo in qualche modo eterno; pur cosciente del suo divenire. Un’illusione, chissà.
I tuoi racconti brevi (di cui parliamo in queste stesse colonne, in un altro articolo), spesso così brevi, esauriscono un tema, o cercano di sollevarlo? Lo dico con molta ammirazione: una trama, una o più caratterizzazioni, uno sviluppo, un’introspezione, e un epilogo, qualche volta anche in mezza pagina? Complicano la scrittura o sono il tuo vero motore di narrazione? Credo che la mia scrittura, in versi o in prosa, rifletta il mio modo di essere. Non amo gli orpelli, gli eccessi; cerco di arrivare all’essenza, non voglio dire tutto io. Io offro un taglio, il mio sguardo, la mia prospettiva. Ma poi voglio (spero) che il lettore trovi il suo spazio per andare oltre, per costruire a suo piacere il contorno. Partendo dal centro che io ho raccontato. Sicuramente c’entra anche il mio amore per le microfinzioni, per Borges, Cortázar, Monterroso, ecc… per quel loro modo di raccontare che colpisce per “knock out”. Diciamo che il mio modo di essere e una certa letteratura si sono spontaneamente incontrate.
Adesso com’è il cielo: luna o sole? Promette o abbraccia? Concedetemi di non scegliere. Ho vissuto gran parte della mia vita tra i due emisferi. Giorno e notte, sole e luna vivono allo stesso tempo. Così mi sento io: nitore e oscurità, promessa e abbraccio. Accolgo lo splendore del sole che rende vivi i colori e definisce i contorni; sono amica della luna, con il suo chiarore soffuso, i contorni sfumati, il suo lato oscuro. Ho anni sufficienti per apprezzare, per accettarli entrambi, dentro e fuori di me. Lasciate che sia.
Ti ringrazio tantissimo di averci ospitato e di esserti messa in gioco per noi. No, non insistere, adesso dobbiamo proprio andare, e per sdebitaci ti lasciamo un regalo, che regalo ti lasciamo? l regalo che mi lasciate è il piacere dell’incontro, dell’amicizia. Ma se proprio volete lasciarmi qualcosa di materiale, lasciatemi un ramo di elicriso o un bicchiere di mirto (fatto in casa però): profumi, gusto delle mie radici.
Grazie ancora, in bocca al lupo.
Anna Fresu: nata a la Maddalena, in Sardegna, si è laureata in Lettere e Filosofia all’Università La Sapienza di Roma. È regista, autrice, attrice di teatro, traduttrice e studiosa di letterature africane. Nel 1975 ha lavorato in Portogallo come mediatrice culturale. Dal 1977 al 1988 ha vissuto in Mozambico dove ha insegnato e diretto la Scuola Nazionale di Teatro e creato e codiretto il “Dipartimento di Cinema per l’infanzia e la gioventù” realizzando diversi film che hanno ottenuto riconoscimenti internazionali. Nel 2013, ha pubblicato “Sguardi altrove”, Vertigo Edizioni. Sue poesie e racconti sono presenti in diverse antologie. Collabora con riviste on line e blog. In Argentina ha insegnato Lingua e Cultura Italiana e realizzato diversi spettacoli teatrali. Con la Temperino rosso edizioni ha pubblicato: Ponti di corda – 2018, e nel 2020 con Macabor la silloge di racconti Storie di un tempo breve (anzi brevissimo).
Sardi da conoscere
Una poesia questo articolo
Bellissima intervista! Sei grande Anna! ❤️
Bellissima intervista! Di Anna Fresu viene fuori il carattere autentico di intellettuale non convenzionale. Ascoltare le sue parole o leggere i suoi scritti è fonte di arricchimento. Bravo anche a Pier Bruno Cosso che ha condotto con brio una intervista, credo, non facile per lo spessore culturale della persona a cui è stata rivolta.
Ringrazio Pier Bruno Cosso (e Tottus in pari) per le sue domande inconsuete che hanno sfidato il mio pudore, la mia naturale riservatezza, aiutandomi a portare a galla anche parti di me, della mia storia, con cui da tempo non mi confrontavo.