di VIRGILIO MAZZEI
Nei precedenti articoli, si è parlato di vitigni più o meno blasonati che danno vita a diversi vini sardi conosciuti – non solo in Italia – che tengono alto il prestigio della Sardegna, nel mondo.
Sono stati trattati vitigni e vini che, esprimendo la loro massima potenzialità, contribuiscono all’arricchimento di tutto il comparto vitivinicolo nazionale.
La Sardegna, si sa, è ricca di ceppi antichi che i nostri avi hanno coltivato con amore anche nelle piccolissime vigne arroccate in zone non sempre agevoli: tra i muretti a secco e siepi di fichi d’india.
Questo, sin dai tempi della domesticazione della vite nell’Isola, perché il vino ha sempre fatto parte della tavola in ogni famiglia sarda, indipendentemente dal ceto sociale di appartenenza.
I tempi però cambiano, e con essi si modificano i gusti e le usanze. Questo dà luogo a forme di allevamento di viti “moderne” o “internazionali”, in grado di soddisfare le richieste di mercato.
Quest’orientamento all’internazionalizzazione della viticoltura porta di conseguenza a un calo notevole d’interesse verso i ceppi “storici”, coltivati da secoli sul suolo sardo.
Ecco perché oggi voglio parlare di un vitigno e di un vino che non ha alle spalle alcuna particolare storia di emigrazione o immigrazione con paesi o continenti lontani, ma che in Sardegna ha il suo antico Regno.
Si tratta del vitigno Caricagiola (vuol dire che carica molta uva) e che fa parte dei cosiddetti vitigni autoctoni “minori”, i cui areali vitati diminuiscono sempre più col passare degli anni, rischiando addirittura l’estinzione.
Fortunatamente, tra alcuni giovani vignaioli sardi si sta sviluppando una cultura improntata alla ricerca e al recupero di questi vitigni antichi, con risultati apprezzabili.
Questi operatori sono da lodare, ma soprattutto da aiutare. Gli Enti Regionali preposti allo sviluppo della viticoltura e alla conservazione di ceppi tradizionali del vigneto sardo, devono tenere conto dei loro sforzi.
Al momento, le principali zone di coltivazione di questo vitigno sono la Sardegna, la Corsica e la Spagna.
L’origine di questo ceppo è incerta, e i suoi natali sono stati oggetto di discussione: Sardegna o Corsica, dove viene coltivato regolarmente con il nome di Bonifaccencu o CarghJolu nero.
La Caricagiola viene menzionata anche come “uva indigena gallurese”.
Il Sacerdote e storico V.Angius durante un incontro a La Maddalena cita il vitigno Caricagiola, e mette in particolare risalto la sua potenzialità produttiva.
Il B.Bruni che per la prima volta lo descrive scientificamente nel 1962, dopo averlo studiato in un vigneto – nel territorio di Tempio Pausania, in località Conca Mau – lo indica come “varietà esclusiva della Gallura, e sinonimo del vitigno corso Carcajola”.
Ma l’ampelografo A.Pierre Odart propende ad indicare la Corsica come terra d’origine.
Alla stessa maniera si esprime l’agronomo V.Vermorel.
Tutte queste citazioni dimostrano che ci troviamo di fronte a un vitigno che, pur non appartenendo alle viti blasonate, nel corso della sua esistenza ha sempre suscitato interesse anche tra gli storici e i ricercatori più attenti del settore.
Pertanto, tralasciando per un momento la diatriba circa la sua origine sarda o corsa, e considerando invece l’interesse dei ricercatori, pare giusto ricordarlo, valorizzarlo e farlo conoscere, inserendolo magari nella produzione vinicola di “nicchia”.
Si tratta di un vitigno a bacca nera diffuso nel vigneto sardo, ma principalmente in Gallura su ceppi antichi “a piede franco”. Non venne distrutto dalla fillossera perché le vigne sono coltivate su terreni granitici e sabbiosi, ove l’afide non si sviluppa, e di conseguenza non può attaccare le viti.
L’uva Caricagiola rientra nell’uvaggio per la produzione del Nebbiolo IGT Colli del Limbara Karana della Cantina Gallura di Tempio Pausania; nel Tajanu IGT della Cantina Li Duni di Badesi; nel Karka – Colli del Limbara IGT dell’Azienda Agricola Campesi in agro di Vignola (SS).
Quel che oggi appare interessante è che ne viene prodotto un tipo in purezza su “piede franco” dall’Azienda Agricola Francesco Lepori di Trinità d’Agultu(SS), che produce anche il tipo IGT Colli del Limbara.
Per inciso, ho avuto l’occasione di conoscere di persona Francesco Lepori – produttore del Caricagiola – le cui vigne si trovano in località Zilvara, poste tra le dune marine di fronte alla Corsica e all’Asinara, ed esposte al forte vento di maestrale. Di questo giovane agronomo impressiona la determinazione nel voler portare avanti il suo progetto di valorizzazione del vitigno Caricagiola in purezza, e di altri vitigni autoctoni “minori” della Sardegna, altrimenti destinati ad una lenta ma inesorabile scomparsa.
Altro produttore di questo vino che si sta inserendo tra i “cultori” degli autoctoni, è l’Azienda vitivinicola DAVITHA di Tempio Pausania dei Fratelli Mariotti.
Le caratteristiche ampelografiche e organolettiche della Caricagiola si possono riassumere come appresso:
Foglia: media grande, pentagonale, quinquelobata
Grappolo: medio, semi-serrato, conico o cilindrico, qualche volta alato
Acino: medio, sub-ovale
Buccia: spessa e consistente di colore nero-violaceo, molto pruinosa
Colore: rosso rubino con riflessi violacei, brillante
Profumo: piacevolmente vinoso, sentori di macchia mediterranea, specificatamente ginepro, lentischio, frutti rossi, ciliegia marasca e lampone
Sapore: intenso, giustamente tannico, caldo, fine, armonico nei suoi componenti essenziali. Si ritrovano il lampone e la marasca.
Poiché si tratta di un vino ben strutturato, con una gradazione alcolica di 14,5, si abbina perfettamente con primi piatti importanti e ricchi di sapori.
Coi secondi, è ottimo con arrosti, grigliate di carni rosse, salumi saporiti non piccanti, salsiccia alla brace, e formaggi di media stagionatura. Si sposa bene anche con il caratteristico e succulento “tataliu” gallurese.
La temperatura di servizio ideale è di 16-18°C. Si consiglia l’apertura della bottiglia qualche ora prima che il vino venga servito.
È consigliabile l’utilizzo del calice tipo tulipano bombato a medio gambo.
Per ottenere una perfetta maturazione, e di conseguenza un prodotto di pregio, è previsto un invecchiamento di tre anni tra i passaggi in botte di legno, cemento e bottiglia.
La sua produzione è, per il momento, limitata.
Se oggi possiamo parlare di questo vitigno lo dobbiamo a due fattori entrambi importanti e meritevoli di citazione.
Il primo riconoscimento va ad alcuni coraggiosi vignaioli galluresi – qualcuno li chiama incoscienti – che con caparbietà hanno creduto, e credono ancora, nella bontà e nel valore del ceppo Caricagiola, e ne difendono con orgoglio e tenacia la sua storia.
Il secondo riconoscimento lo si deve allo sviluppo del progetto intrapreso da AKINAS (Anticas Kastas de Ide pro Novas Arratzas de Inu de Sardinna), che tradotto in termini pratici significa “Antiche varietà autoctone di vite per ottenere nuove tipologie di vino in Sardegna”.
Dunque, lunga vita al vitigno Caricagiola che – con lo sguardo verso la vicina Corsica – e con la regale presenza tra i filari del vigneto gallurese si erge a difesa della antica tradizione della viticoltura del Nord Sardegna.
Auguro a tutti buone vacanze, e arrivederci al prossimo numero di ottobre.
Eccellente