di LAURA BARSOTTINI
Sara Cabitza, ingegnere del team Renault di F1, convinta che l’aerodinamica di Formula 1 possa essere pura poesia. E insegnamento di vita. Nata a Gonnosfanadiga, cittadina nel sud della Sardegna, fin da bambina ha sempre avuto la passione per l’ingegneria e il motorsport. Una laurea in Ingegneria Meccanica all’Università degli Studi di Cagliari con specializzazione in turbomacchine e motori a combustione interna, durante gli studi fonda e dirige il primo team sardo di Formula SAE, competizione internazionale fra studenti di vari atenei che portano in pista monoposto progettate da loro. Dopo un interludio nel mondo della ricerca al Von Kármán Institute for Fluid Dynamics, in Belgio, consegue una borsa di studio. Con in mente l’obiettivo di lavorare in Formula 1, si trasferisce a Londra dove consegue un dottorato in Ingegneria Aeronautica all’Imperial College London. Inizia a lavorare in Formula 1 nel 2014 e attualmente è aerodinamico per il team di F1 della Casa automobilistica francese.
Come descriveresti il tuo lavoro? Il lavoro di un aerodinamico di F1 potrebbe essere semplicemente descritto come un contributo allo sviluppo aerodinamico della vettura. Ciò si ottiene attraverso un processo iterativo che prevede CAD (progettazione assistita da computer), CFD (fluidodinamica computazionale) e test in galleria del vento. Un processo prevalentemente meccanico, insomma. Invece, per me, il mio lavoro e quello di chiunque sia coinvolto nella F1, è molto più di questo. Ogni giorno ci troviamo di fronte a molteplici sfide, problemi che dobbiamo risolvere per la prima volta o che devono essere risolti in modo più efficiente rispetto al passato. È una corsa costante contro gli ingegneri degli altri team, e anche contro il tempo e i vari limiti imposti da budget e regolamenti. Andare a lavorare ogni giorno sapendo che con il lavoro e la perseveranza, puoi e farai meglio del giorno precedente è motivante e eccitante. Correre non è solo vincere, ma mirare a essere il meglio che puoi essere. Se qualcun altro sta vincendo, significa che hai ancora margini di miglioramento e che il tuo lavoro ti porterà dove vuoi essere. È un test per la pazienza e la perseveranza, che non solo ti fa crescere dal punto di vista tecnico, ma ti insegna molto su di te come essere umano. Il fatto che abbiamo il lusso di farlo come una squadra significa che non ci sentiamo mai soli nella nostra ricerca di miglioramento. Dalle persone che si occupano di mettere in ordine e mantenere la fabbrica uno spazio sano in cui lavorare, fino ai più alti capi: tutti contribuiscono all’efficienza e ai risultati ottenuti dal team.
Quando hai capito che stavi facendo la differenza? Quali difficoltà hai affrontato finora? La prima volta che ho realizzato che ero “particolare” è stato dopo che il sindaco della mia piccola città in Sardegna, Gonnosfanadiga, mi ha onorato con una targa. Inizialmente non riuscivo a capire perché stavo ricevendo il premio: ai miei occhi molti altri avevano fatto cose più importanti e significative di me. Le cose si sono chiarite quando le persone hanno iniziato a fermarmi per strada per congratularsi per il mio lavoro. Senza accorgermene, ero diventata un’ispiratrice, la prova che il luogo in cui sei nato non ti impedisce di seguire i tuoi sogni. Da allora, ho parlato spesso in eventi e nelle scuole con l’obiettivo di incoraggiare bambini, adolescenti e giovani adulti a credere in se stessi, a seguire i loro sogni piuttosto che il tradizionale percorso di vita che la società spesso impone, a non fermarsi di fronte alle difficoltà. Io stessa ne ho dovuto superare numerose e sono sicura che ne arriveranno altre. Probabilmente le maggiori sfide sono arrivate durante il mio dottorato di ricerca quando ho avuto alcuni problemi di salute, in un momento in cui dovevo ancora ottenere alcuni risultati preziosi. Questo mi ha costretto a riconsiderare il mio orario di lavoro, a prendermi un po’ di tempo libero e a pensare alla mia salute come alla priorità più importante, una lezione che continuo a seguire anche ora. Altre difficoltà le ho incontrate nelle persone che mi circondavano: alcune non mi davano supporto nel seguire le mie ambizioni, altre cercavano di sabotarle o “bullizzarmi”. Inoltre, lasciare tutto alle spalle per iniziare da zero in un altro paese non è stato facile, ma mi ha anche aperto immense possibilità in termini di nuove amicizie da tutto il mondo e, tramite loro, di conoscere culture diverse. Nonostante i momenti difficili, rifarei ancora tutto, dato che mi ha reso la persona che sono oggi.
Come immagini il futuro del tuo lavoro? La Formula 1 ha già iniziato la trasformazione in una corsa più ecologica, non solo con l’introduzione della centralina ibrida nel 2014, ma anche con l’impegno di ridurre al minimo le emissioni di carbonio entro il 2030: un esempio importante per altri eventi sportivi nel mondo. Inoltre, la F1 ha avuto il merito di aver “forzato” i limiti del motore ibrido, dimostrando al mondo che anche un’auto ibrida può competere ai massimi livelli, dove in passato si consideravano solo i motori tradizionali. Considerando il percorso che la F1 ha già iniziato, vedo il futuro di questo sport sempre più green. In questo scenario, è plausibile che il ruolo dell’aerodinamicità diventerà cruciale nella ricerca della riduzione della resistenza e dell’ottimizzazione dell’efficienza delle auto. Analogamente alla F1, il resto del mondo dovrà seguire un percorso più verde. L’approvvigionamento di combustibili green e l’efficienza nel consumo di energia dovranno essere tra le massime priorità: credo che l’uso delle risorse disponibili in modo più consapevole e efficace possa portare grandi risultati. La F1 mostra che questo approccio è in realtà quello vincente.