di SERGIO PORTAS
Francamente allo scoppiare della pandemia, quando ancora non era chiaro che la Sars2 se la sarebbe presa soprattutto con i soggetti in là con l’età (più maschi e più quelli con patologie pregresse) mi ero prefigurato degli scenari di folle costituite da povera gente, per lo più residenti in paesi in via di sviluppo, che avrebbe dato l’assalto ai supermercati.
Ci sono miliardi di persone al mondo (vedi l’India) che, perso il lavoro spesso precario che tiene in vita loro e la loro famiglia, non hanno letteralmente nulla che li possa difendere dal morire di fame. Se non interviene lo Stato che li ospita. A tutt’oggi le televisioni del mondo e i telefonini di migliaia di persone rimandano sui “social” immagini dagli Stati Uniti che farebbero pensare a località del cosiddetto terzo mondo, non già a città come Los Angeles, New York, Minneapolis. La morte dell’ennesimo cittadino afro-americano per mano di poliziotti cittadini, il numero di morti per Covid che ha passato le centomila unità, mietendo vittime soprattutto fra la popolazione meno abbiente, ispanici e neri-americani, tutto ha agito da cerino che ha trovato un pagliaio pronto ad incendiarsi con furia inusitata. La Presidenza occupata da un soggetto palesemente inadatto per un frangente di tale portata (negazionista sul problema del virus, eletto da voti di suprematisti bianchi convinti da sempre che i “neri debbano rimanere al loro posto”, in quanto cittadini di serie B) non permetterà una fine a breve termine dei disordini. Tutto rimanda a un declino di quello che si deve chiamare senza tema di esagerare: l’Impero americano.
L’egemonia mondiale statunitense iniziata alla fine della seconda guerra mondiale, messa in discussione per anni dalla Russia sovietica collassata nell’89, non è più salda come una volta, un altro paese si sta affacciando sul proscenio internazionale con mire altrettanto egemoniche: la Cina di Xj Jinping. Se ne legge ogni giorno di più nei quotidiani nazionali e non solo, sull’”Espresso” di domenica 24 maggio scorso un articolone di due fitte pagine: “Così il virus esaspera la lotta per l’egemonia” a firma Alessandro Aresu, chiarisce ampiamente di quale portata sia la posta in gioco, alla fine dove “la debole Europa è un’arena per il confronto. Un mercato cruciale appetito dalle due potenze” Aresu è indicato come autore del libro “Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina, pubblicato da La nave di Teseo, 2020. Alessandro è sempre più senza capelli (da che pulpito…), l’ultima volta che l’ho incrociato, uno degli annuali appuntamenti della Fasi in ricorrenza de “Sa die de sa Sardigna”, già collaborava con la rivista “Limes” di Lucio Caracciolo, i suoi sono di Donori, dopo il liceo a Cagliari era venuto a Milano, laurea al San Raffaele in filosofia del diritto, tesi con Massimo Cacciari, che lo aiutò a pubblicarla e gli scrisse la prefazione. E anche questo libro è pubblicato nella collana “Krisis” diretta da Cacciari insieme a Natalino Irti, per il quale il titolo di “insigne” studioso del diritto non è, una volta tanto, né sprecato né esagerato. Cacciari è Cacciari. Ma da allora il ragazzo (è dell’ ’83) ne ha fatta di strada, copio solo la parte solo del suo “curriculum vitae”che si riferisce alla sua attività istituzionale: “ Durante la XVII legislatura, collaborazione e consulenza con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Per tutte queste figure istituzionali ha svolto un’intensa attività di “ghostwriting” (professionista pagato per scrivere libri, articoli) e di “speechwriting” (scrivere discorsi) e di strategia istituzionale. Nell’attività di “policy outreach” (sensibilizzazione politica) e “policymaking” (elaborazione delle politiche) ha, tra l’altro, presentato in numerose occasioni i piani del Governo italiano sulle riforme ai principali investitori stranieri ( parla benissimo inglese, bene francese, Ndr.) ha ideato il coinvolgimento della Banca europea per gli Investimenti per il piano nazionale di edilizia scolastica e ha contribuito alla creazione dei piani individuali di risparmio (PIR), la principale politica per portare il risparmio italiano negli investimenti di economia reale. Ha inoltre contribuito all’elaborazione di politica estera italiana sul Mediterraneo. Da ottobre 2014 è consigliere d’amministrazione dell’Agenzia Spaziale Italiana”. Nel frattanto Aresu scrive libri (Guido Rossi, perché filosofia; Generazione Bim Bum Bam; Alla ricerca dell’interesse nazionale) e una marea di articoli e saggi: parecchi sulla condizione della sua Sardegna (Sardegna il nuovo approdo; Pocos, locos y mal unidos. I sardi temono l’altrui indifferenza; La Sardegna è un’altra cosa; Contributo a Paolo Dettori e la nuova questione sarda).
Mi piacerebbe avere un suo parere sulla strategia del presidente Solinas per attirare turisti nell’isola ai tempi del coronavirus. Per ora accontentiamoci di cosa pensi stia succedendo nel mondo dei “grandi”, il mondo dell’Impero americano, coscienti come siamo che ogni avvenimento coinvolga anche l’Italietta che abitiamo, stretta com’è nella relazione privilegiata con l’Unione Europea, nel periodo in cui Donald Trump mette addirittura in discussione l’asse portante di difesa che ha retto anche la nostra sicurezza nazionale dalla fine della guerra: la NATO. L’alleanza atlantica. Ho molti amici che spesso se ne escono con: “Ma quanto ci costa rimanere nella Nato? Non sarebbe meglio usare quei soldi per scuole e ospedali?”. Magari sì ma sinché la nazione italiana non decide di fare come il Costa Rica (che non si è dotato di un esercito) o decide di avere un “profilo politico basso”, come la Svezia, la Norvegia, continuerà a spendere miliardi di ero per la sua “difesa”. Tanto per fare un esempio tra i tanti: i novanta F-35 di cui si doteranno marina e aeronautica italiane nei prossimi anni ci costeranno circa 15 miliardi. Solo per rifare il ponte di decollo della nostra portaerei: la Cavour, sono serviti quasi cento di milioni. E per allestire la base di Ghedi in Lombardia ad accogliere i nuovi aerei ci vorranno 91 milioni (il Manifesto 2 giugno). Sapevate che la marina italiana possiede ben due portaerei? (abbiamo anche la Garibaldi). Se vi paiono pochine sappiate che la Francia non ne ha che una (a trazione nucleare), una anche la Cina (per ora), undici gli Stati Uniti d’America (tutte a trazione nucleare). L’Impero si regge dominando i mari: lo sapevano i Romani che del mare che allora contava, il Mediterraneo, ne fecero un “mare nostrum”, a spese di Cartagine che aveva una flotta ben maggiore, lo sapevano gli Inglesi della regina Vittoria che regnò sino ai primi anni del novecento grazie alle sue navi che operavano sui mari dell’India, dell’Australia, del Canada, di Gibilterra. Per dirlo con A.T.Mahan, uno dei tanti pensatori politici che parlano nel libro di Aresu: “Il mondo segue uno sviluppo logico, entro cui deve stare la stessa logica del capitalismo: industria, mercati, controllo, marina, basi. Ecco i tratti essenziali dell’epoca marittima compiuta: il mare può essere conosciuto, percorso, occupato, governato. Gli Stati Uniti sono chiamati a ponderare le conseguenze di questo governo, a rispondere alla sua vocazione” (pag.106). Si interroga anche sulla natura del capitalismo il libro di Aresu, sui grandi pensatori che l’hanno investigato, da Marx a Weber, da Sombart a Schumpeter, per arrivare al concetto di “capitalismo politico” in cui è cruciale il ruolo degli apparati burocratici: la burocrazia armata, che coincide coi corpi militari e di sicurezza statunitensi che sorvegliano il suo primato mondiale; la burocrazia celeste, erede del mandarinato millenario oggi incarnato dal Partito Comunista Cinese. Stati Uniti e Cina mettono insieme l’economia e la politica attraverso vari strumenti: l’uso politico del commercio, della finanza e della tecnologia, le partecipazioni e i sussidi spaziali, le sanzioni, le barriere agli investimenti esteri (art. citato). La pandemia rafforza il capitalismo politico. Crescerà la politicizzazione della finanza. Ognuno dei colossi difenderà a spada tratta i suoi “campioni”. La battaglia più aspra si gioca per Huawei, il più grande produttore al mondo di apparecchiature per le telecomunicazioni e il secondo produttore di smartphone dietro Samsung. Il guaio di Huawei è di essere arrivato a sviluppare la tecnologia più avanzata per il sistema digitale 5G. Anche se la Cina deve scontare un gap-tecnologico nella costruzione dei microprocessori, che gli Usa fanno fare a Taiwan. L’isola sul mar della Cina che il Dragone considera sua propaggine naturale, e la vuole indietro. La figlia di Ren Zhengfei, l’imprenditore cinese fondatore e presidente della multinazionale asiatica, è detenuta da più di un anno in Canada e gli USA ne reclamano l’estradizione per poterla processare; accusa: aver venduto tecnologia “proibita” all’Iran. Questo dà la dimensione dello scontro in atto. Anche perché Trump ha minacciato le nazioni europee, Inghilterra inclusa, che considera questa partita di “interesse nazionale”, quindi chi starà con Huawei sarà contro gli Stati Uniti.
Nel nostro piccolo occorrerà ricordare che a Cagliari è stato battezzato il primo progetto pilota in Italia in tema smart-city grazie all’accordo siglato lo scorso ottobre tra Regione Sardegna, Huawei Italia e CRS4.
Il 5G è l’internet delle cose, quello che ci permetterà di chiedere al nostro frigorifero, rientrando a casa, se abbiamo latte fresco per il domattina, e piacevolezze di questo tipo. Ma sopratutto questa tecnologia di quinta generazione della trasmissione mobile di dati può avere numerose applicazioni militari: Scrive Manlio Dinucci sul “Manifesto” di domenica 2 giugno: “Una di queste riguarda i “veicoli militari autonomi”, ossia i veicoli robotici aerei, terrestri e navali in grado di effettuare autonomamente le missioni di attacco senza neppure essere pilotati a distanza…Estremamente importante sarà il 5G anche per i servizi segreti, rendendo possibili sistemi di controllo e spionaggio molto più efficaci di quelli attuali”. Scrive Aresu che “se il capitalismo si accoppia con la burocrazia, le separazioni e i contrasti non sono decisi necessariamente dalle guerre, e di certo non dalle guerre tradizionali” (pag.410). Ma troppi ormai sono quelli che ricordano il Tucidide della “Guerra del Peloponneso”: quando Sparta si accorse che Atene stava sviluppando la sua influenza economico-politica sulle altre città della Grecia, decise di agire prima che, per lei, fosse troppo tardi, e le dichiarò guerra.