di MICHELA GIRARDI
Angelica Grivel Serra vive e studia filosofia a Cagliari, ma rivendica con fierezza le origini ulassesi per parte materna. Nel 2015 vince a Roma il concorso letterario nazionale “Diregiovani Web La creatività fa scuola”. Intraprende poi una collaborazione con L’Unione Sarda e con svariate testate online. Ancora oggi cura una rubrica di racconti sul portale web Sardinia Fashion. Lavora fin da giovanissima come modella, a partire da un book creato dal Maestro Giovanni Gastel – con il quale nasce poi un legame di affetto che supera di gran lunga la relazione fotografo-modella – sino a servizi con la fotografa di moda Stefania Paparelli e tre importanti copertine (una internazionale), oltre ai post per riviste quali Atlas Magazine, Iconic, Redmilk e Photovogue Italia. Poi, il suo esordio letterario per Mondadori con il romanzo “L’estate della mia rivoluzione”. Oggi parliamo con questa giovanissima esordiente sarda di scrittura, di femminismo, di rivoluzioni interiori e delle mille sfaccettature della Bellezza. Una grazia, la sua, assolutamente ipnotizzante, che si accompagna a una visione del mondo profonda e mai banale, raramente registrabile nelle parole di una donna così giovane.
La scrittura come necessità, come stile vita. Le parole che aiutano a fare ordine, a ricucire strappi, a capire e a capirsi. Quando e come è nata questa passione? Il mio voler scrivere nasce con me. Penso di poter datare la mia passione per la scrittura dopo l’incontro precoce con la lettura; i libri popolano la mia vita e abitano le mie fantasie sin dall’infanzia. Degna erede di mia madre, (la quale nei geni, congiunta all’amore per Mark Knopfler, per Ulassai e per la lingua inglese, mi trasmette anche l’interesse per il libro persino in quanto feticcio) ne fabbrico alcuni su quaderni a tinta unita, con tanto di illustrazioni e trame immaginifiche. Leggo ancora; gli anni scorrono. Scrivere mi piace, perché da sempre amo nutrirmi di storie e congegnarne personalmente. Ma è quando decido di iscrivermi a un concorso letterario nazionale online, che capisco appieno che della scrittura voglio fare la mia vocazione: scrivere, scopro, colma le giornate, appaga il mio sentire e riesce anche a placare stizze e malumori. Epifania.
“L’estate della mia rivoluzione” è il primo romanzo che pubblichi. Come stai vivendo questo esordio letterario? E’ un conflitto emotivo: se da una parte fibrillo di trepidazione, dall’altra temo fortemente l’accoglienza in sordina. Il periodo storico in cui il mio libro ha conosciuto la vita è indubbiamente fuori dall’ordinario. Il dilagare della pandemia ha escluso purtroppo la partecipazione agli eventi letterari, dal Salone del libro di Torino al festival di Gavoi. Solo il procedere del tempo potrà dirmi se ciò recherà fulgore o silenzio.
Il romanzo, edito da Mondadori, mette al centro Luce, che vive in una grande casa sul mare, coccolata dall’amore incondizionato di una famiglia quasi tutta al femminile e che non ha grandi rapporti con gli adolescenti suoi coetanei. “È come se appartenesse a una declinazione diversa della stessa specie, come fosse fuori sincrono”. Quanto c’è di autobiografico in queste parole? Quale è stata la tua rivoluzione, come è avvenuta la tua personale metamorfosi? Quanto ti sei sentita e ti senti “diversa” rispetto ai coetanei (e in cosa) e come questo essere “fuori sincrono” lo hai trasformato in forza? Quelle parole sono il manifesto del mio essere me. E nonostante il libro sia autofiction, la metamorfosi di Luce corrisponde alla mia transizione. Luce sono io. Il titolo può andare incontro a fraintendimenti, perché sembra presupporre una grande rivoluzione, quando invece quel che intendo io per rivoluzione è un percorso graduale di acquisizione di sé. E la rivoluzione che appare tra le mie pagine è il riflesso di quel mio concetto personale di rivoluzione. Rivoluzione è quando Luce sceglie una disciplina sportiva poco glamour. Quando sceglie di adottare anche il cognome della mamma a dispetto di tutte le difficoltà burocratiche. Quando, piuttosto che adattarsi supinamente alle dinamiche dei coetanei, sceglie di stare nel mondo degli adulti. Quando addirittura decide di correre un rischio sentimentale nel finale. Ecco perché io avevo in animo, come titolo ideale, “Gli occhi nudi di Luce”: traduzione in parola del suo modo di vedere il mondo e di diventare una partigiana. Di esserlo.
Quali sono i messaggi rivolti alle donne che più di tutti desideri veicolare con la scrittura? Non abbiate timore di mostrare quella vostra unicità. Esige coraggio.
Il tuo romanzo ha uno stile molto particolare, costrutti e lessico sono molto ricercati e mai banali. Una scrittura del genere presuppone anni di intensa e avida lettura. Quali sono gli scrittori che, in questo senso, ti hanno maggiormente influenzata? Quanta importanza rivestono le parole, anche nel nostro quotidiano? Nulla ha educato il mio scrivere più dei libri, alla cui presenza costante son stata allevata sin dalle fasce. Da che mi conosco, quindi, ho avuto l’opportunità di confronto con innumerevoli fonti ispiratrici. E le parole, di conseguenza, son parte del mio vivere al pari dell’ossigeno. Per quanto riguarda la stesura del mio romanzo, ho trovato inesauribile conforto intellettuale in Simone de Beauvoir e ho amato ineffabilmente il fluire ritmico e assolutamente accogliente di Natalia Ginzburg, mentre Edith Wharton ha forgiato molte gioie gnostiche di natura stilistica. Fondamentale, poi, è stata la presenza di Amos Oz, a vegliare certe dinamiche emotive e il modo in cui declinare molti rintocchi narrativi; tanto ho imparato dal drammatico brio di Jeffrey Eugenides. Per non dire di Thomas Mann: sorprendentemente, mi fa da megafono.
Nell’ambito nel quale ti stai facendo strada, ti sei sentita penalizzata dal tuo essere donna e dal tuo essere così giovane? Tragicamente. E troppo spesso.
Ambienti la tua storia in Sardegna, un’ isola piena di bellezza, di tradizioni, di fierezza. In che misura trasmette la forza dei personaggi? L’ambientazione principalmente Sarda (con alcuni accenni a una Roma a tratti imperiosa, spesso decadente) è fucina primaria della caratterizzazione dei miei personaggi. D’altronde, non avrei potuto collocarli altrimenti. Sono troppo Sarda io stessa per poter abdicare alla pregnanza della mia sorgente originaria.
Torna con costanza nel tuo libro e nelle parole che spesso regali nelle interviste il concetto di maternità. Ti senti figlia su più fronti, da ciò che ho inteso: di tua madre, della Sardegna e delle donne che ti hanno presa per mano e condotta alla scoperta della Bellezza, come la nota scrittrice Michela Murgia, che ti ha definita “Fitz’e anima”. È così? Ci sono tanti modi di essere madri e di essere figlie? Sono poliedricamente figlia; prima di tutto e su tutto figlia di mia madre, mia genitrice, Pina Serra. Il nesso con la mia terra sussiste indissolubile, e poi c’è quel rapporto con Michela, la cui severità costituisce solida base del nostro legame d’elezione. Confermo: ci sono davvero diverse declinazioni dell’essere madri e figlie.
Parli spesso del fatto che la vera libertà risieda nelle regole. In particolare, citi le quattro D di tua madre. Raccontaci. Fieramente faccio delle regole lo stendardo della mia libertà, forse perché non amo arrendermi al caos o confidare nel caso. Il codice delle quattro D, che sovente cito, plasma il mio quotidiano: determinazione, disciplina, decoro, dignità. Ho adottato la causa materna anche in virtù del mio essere cartesiana in questo; perché, come Cartesio, voglio credere nella presenza di poche norme, assolutamente semplici e di valore imprescindibile, a costituire la bussola che guidi il procedere libero della vita.
Cosa vuol dire essere femministi, secondo te? Quali sono le battaglie, oggi, da portare più che mai avanti? Che ruolo dovrebbe avere la cultura in questo percorso sociale? Ho trascorso un intero anno tra viaggi, tour letterari e eventi culturali con Michela (Murgia) e se c’è una cosa che ho davvero avuto la fortuna di conoscere appieno è il suo essere autenticamente femminista. Da quella esperienza, ho fatto mie quelle battaglie urgenti da combattere oggi: tra tutte, la parità salariale, la medicina di genere, il linguaggio inclusivo e il carico della cura domestica. E la cultura è gramscianamente imprescindibile.
In passato gli scrittori rivestivano un ruolo fondamentale nella società, alla quale, con le loro opere, offrivano modelli di riflessione fondamentali per la crescita culturale e politica. Penso a Dante, Voltaire, Ionesco, Papini, Camus, Kant. Che cosa è successo nel tempo? Qual è il ruolo dello scrittore oggi? Credo che ciascuno scrittore rappresenti una finestra che si porge al mondo, e che quindi trasponga a modo proprio, secondo il proprio individuale linguaggio e inclinazione, ciò di cui si nutre il suo sguardo. Credo che la cosa più importante sia che lo scrittore trasmetta in parola la propria verità. Senza ammiccamenti. Forse, il ruolo fattivo dello scrittore e il suo trionfo emergono nel momento in cui il lettore vede sé stesso nel libro, e non ne è estromesso; quando si affaccia anche lui su quello spicchio di mondo specifico di quelle pagine che legge; quando il libro è fertile per costruire un dialogo tra scrittore e lettore.
Qual è la tua opinione sulla politica regionale sarda, rispetto alla gestione della cultura e del patrimonio artistico? Quali sono gli eventi e i festival ai quali speri di partecipare in veste di scrittrice? La mia opinione è che la mia terra offra e abbia ancora da offrire tanti elementi su cui studiare e di cui usufruire, in merito a patrimonio artistico e culturale. Detesto il potenziale inespresso negli esseri umani, e lo mutuo anche sulla Sardegna; non vorrei che la politica ignorasse tutti gli stimoli creativi che ci provengono anche dall’interno regione. Proprio per questo, se auspico di poter partecipare a festival letterari in tutta Italia (Salone del Libro a Torino, Mare di Libri a Rimini, ScritturaFestival a Ravenna, Festivaletteratura a Mantova sono solo alcuni di quelli cui ambisco) non possono mancare però gli incontri nella mia Sardegna: e quindi il festival dei Tacchi, l’Isola delle Storie di Gavoi, Il venerdì letterario – piccolo festival del libro, Entula, Marina Café noir – Festival di letteratura applicata. Mi scuso qualora avessi dimenticato qualcuno: riconosco a ognuno lo sforzo di creare un’occasione di confronto e conforto creativo.
Quali scrittrici del passato hanno avuto un forte impatto su di te e quali sono, invece, le contemporanee sulle quali punteresti? Domanda difficile, perché richiederebbe una risposta vastissima! Qui, mi limito ad elencare quei libri di scrittrici che hanno impresso tantissimo di sé su di me: da ‘Un’assenza’ di Natalia Ginzburg (sì, lei è determinante nel mio percorso di vita, non solo scrittoria) a ‘La storia’ di Elsa Morante (un rapimento totale, anche a livello emotivo); da ‘Memorie di Adriano’ di Marguerite Yourcenar (quando la penna di una donna rende mirabilmente la voce narrante maschile) a ‘Non scrivere di me’ di Livia Manera Sambuy (lettura per me intima e folgorante). Non posso esimermi dall’individuare come mio imprescindibile anche ‘Memorie di una ragazza perbene’ di Simone de Beauvoir (consolatoria e corroborante: in lei ho trovato un’amica). Annovero, tra le scrittrici contemporanee immancabili, Siri Hustvedt, Elizabeth Strout, Michela Murgia e Savina Dolores Massa.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Nel mosaico della tua vita – ad esempio- come collochi la tessera relativa alla tua formazione universitaria in filosofia? Per cosa ti emozioni oggi e per cosa speri di emozionarti in futuro? Vorrò fare della scrittura la mia vita ed emozionarmi sempre per questo. Ma ancora la strada si compone giorno per giorno: mi schiudo all’ambizione e al divenire. La mia formazione universitaria e tutto ciò che essa richiede è una tessera dalla quale trarrò materiale narrativo, come accade per tutte quelle che compongono il mio vivere. Non perdo occasione per scrivere. O per pensare di scrivere.
Da anni presti il tuo volto a numerose campagne pubblicitarie. Sei una modella ormai piuttosto affermata. Cos’è per te la Bellezza? Tu così introspettiva, plumbea, riservata, in che modo vivi la luce del set e l’essere messa al centro dell’attenzione? La moda rappresenta un personale tassello esistenziale di rilievo, ma ne leggo tutta la fecondità, ormai, solo in vista della mia scrittura e di quello che dalla mia scrittura procederà in futuro; mi divertiva, ma oggi focalizzo le mie energie su altro. Perché la moda, di energie, ne richiede tante. E altrettante non ne restituisce. Ore di set mi sfiancavano e rincasavo col mal di testa, mentre la produttività di pari tempo di studio o di scrittura mi tempra. Anche quando è estremamente faticoso. Quanto alla bellezza, per me è arte, che commuove. E un volto per me è bello quando comunica.
E a questo proposito, cosa rispondi a chi ancora nutre lo stereotipo per il quale chi investe sulla propria interiorità non debba contare sull’immagine, come se le due cose di escludessero a vicenda? Forse non si rendono conto che la bellezza è come l’acqua e assume la forma che le si da? Sovente mi è accaduto di dover fronteggiare questa frusta convenzione: soprattutto quando cominciai ad avventurarmi nelle prime serie attività lavorative, ecco che mi proveniva il solito ritornello, l’impossibilità di conciliare immagine e interiorità, scrittura e moda. Ebbene, rispondo che di questa mia apparente frizione ho fatto la mia forza.
Ma grazie 💙! È un dono.
Secondo me è cinico e crudele montare la testa di questa ragazza, rischia di trovarsi a un certo punto fatta a pezzi, mi sembra senza strumenti per affrontare la critica obiettiva.