LAVORARE AL TEMPO DEL VIRUS: ROBERTO COSSU, L’EDICOLANTE IN PIAZZA MORBEGNO A MILANO

di SERGIO PORTAS

Da quando “Repubblica” ha cambiato il direttore (a proposito: la nostra solidarietà a Carlo Verdelli, da qualche mese costretto alla scorta di polizia, tipo Saviano, viste le reiterate minacce di morte che gli arrivano periodicamente dal web) il quotidiano se ne esce spesso con titoloni a tutta pagina che hanno lo scopo di “épater le bourgeois” (scandalizzare i borghesi) con lo scopo dichiarato che poi, incuriositi, comprino il giornale. Ma venerdì 17 aprile mi ha davvero lasciato di sasso: “Anziani, nessuna pietà”. Scritto a caratteri grossi. Mi sono venuti in mente subito quei versi di Jhon Donne (Hemingwaiy ne avrebbe titolato un suo romanzo famoso, nel 1940): “E allora, non chiedere mai per chi suona la campana. Essa suona per te”. Questi stanno parlando di me, degli “ultrasettantenni” che, ben che vada, cioè non si imbattano nel coronato virus che ha messo in cattività tre quarti del genere umano, dovranno rimanere reclusi in casa più degli altri, magari finché un prodigioso vaccino verrà a sciogliere da ogni vincolo l’umanità tutta. E stanno parlando della strage silenziosa che si va lentamente scoprendo nelle case di cura in cui sono ricoverate le persone più fragili, in là con l’età, con patologie pregresse e svariate invalidità. Quelle che questo virus predilige e si porta via con maggiore facilità. Gli uomini in percentuale esageratamente maggiore che le donne: 70 a 30. Vien da dire che, fortunatamente, la pandemia discrimina, salva “in primis” donne e bambini. Cosa che non fanno le bombe sganciate in Siria e nello Yemen sino a due giorni fa, quelle massacrano in special modo le categorie più deboli, che spesso hanno rifugi di fortuna, messi su con povere lamiere e pezzi di cartone.
Nelle “case di riposo” di tutto il mondo (forse solo i tedeschi sono riusciti a scamparla) l’estrema contagiosità del Covid-19 non risparmia nessuno, pazienti sopratutto ma anche operatori sanitari e personale a qualunque mansione adibito. In grazia della superficialità con cui alla malattia si è cercato di fare fronte: troppo pochi camici e guanti e mascherine negli ospedali, quasi niente ai medici condotti, pochissimi nelle case di cura per anziani e disabili. Il mondo non ha voluto vedere “veramente” i cinesi di Wuhan che operavano nei loro ospedali usando tute e maschere plasticate che li rendevano tutti simili a marziani dagli occhi a mandorla. E quando anche da noi medici e infermieri hanno potuto bardarsi efficacemente, il virus era già scappato via e aveva trovato il terreno più fertile dove moltiplicarsi e fare i danni che sapete: le case di cura. Qui in Lombardia i numeri sono terrificanti e a tutt’oggi le persone che muoiono giorno per giorno si contano a varie centinaia, ma a sentire i telegiornali le cose non sono molto diverse in Spagna, Gran Bretagna, Francia, per tacere degli Stati Uniti di Trump. Tutto il mondo più ricco si è trovato impreparato, illuso della sua invulnerabilità. Della magnificenza dei suoi ospedali, dei suoi primari. Ci sono voluti quelli di Emergency (una di quelle ONG che i nostri governi hanno calunniato fino all’altrieri, figuratevi che gli stolti vanno salvando migranti che diversamente affogherebbero in mare!) che avevano combattuto “Ebola” in Congo, per spiegare ai dottori di Codogno come diversificare i percorsi sanitari dei malati di covid, anche solo presunti che fossero. La conta dei deceduti sarà meglio farla alla fine usando i dati storici degli anni passati, che sottrarremo al numero totale di questo periodo, perché come è noto “a non tutti è stato fatto il tampone”, e quindi quanti effettivamente sono quelli che si possono imputare al virus non lo sa nessuno. Anche se, perdonate se parlo da storico, saranno numeri “piccoli”, imparagonabili a quelli della pandemia che scosse il mondo appena uscito dalla grande guerra del 1918, la chiamarono “Spagnola” perché se ne scrisse solamente nei giornali lusitani, non in quelli del resto d’Europa né degli Stati Uniti: “Per non impaurire i popoli già provati dal massacro delle trincee”.
Ebbene la “Spagnola” si calcola che fece sui quaranta milioni di morti nel mondo. E quel virus, a differenza del “nostro”, prediligeva soprattutto i maschi giovani. In Sardegna causò altrettante vittime quanto quelle della guerra: 13.000 furono i morti civili. Fortunatamente oggi i giornali possono svolgere la funzione principe per cui sono nati, informare le persone e criticare il potere, di governi, presunte “élite”, classi dirigenti, confindustrie varie (vedi il nuovo eletto presidente che se ne esce con le sue prime dichiarazioni, assolutamente deliranti).
Nella Turchia di Erdogan, come nell’Ungheria di Orban, i giornalisti rischiano la galera, e anche in Cina per la verità per loro non sono tutte rose e fiori, nel libero occidente la stampa si è conquistata una sua autonomia e da noi si è convenuto che lasciare aperte le edicole fosse assimilabile a lasciare aperte le panetterie. E che lasciare alla sola televisione e ancor più alla “rete” il monopolio dell’informazione fosse un rischio da non correre. Quindi anche un ultrasettantenne quale sono, ogni giorno può lasciare casa e fare due passi sino all’edicola più vicina. Oggi in verità mi reco a quella sita nei pressi dell’ufficio postale, dovesse fermarmi una qualche pattuglia di vigilanti assetati di multe, facendomi presente che ve ne sono di più vicine a casa mia, tirerò fuori il tesserino dell’ordine dei giornalisti: sto andando a fare un’intervista a Roberto Cossu, edicolante in piazza Morbegno: è lavoro. Di lui avevo letto sulle pagine milanesi di “Repubblica”, Simone Mosca li va intervistando zona per zona. Piazza Morbegno è il centro di Nolo (Nord-Loreto): “Ha capito adesso cos’è Nolo”? “C’è poco da capire, è un quartiere a nord di Loreto. Quello che non sapevo e che vi si potesse trovare un senso così forte di comunità. C’è la radio, si fa la colazione di zona, e in questo periodo colpisce la generosità. “Ci si aiuta”? “Altroché. Appena iniziata l’epidemia le associazioni hanno stampato 2 mila volantini che anche io ho distribuito e con cui si faceva sapere agli anziani dei 40 volontari arruolati per le loro esigenze. La spesa, che si trova volendo sospesa, cioè già pagata, commissioni postali varie, ovviamente i giornali. A Nolo i giovani sono oramai la maggioranza”. “Me ne sono accorto soprattutto col Covid. I ragazzi e le ragazze che vengono in edicola saranno il triplo ora. L’altra faccia della medaglia sono proprio gli anziani. La quarantena sembra averli invecchiati di dieci anni, vedo tanta preoccupazione, tanta fretta di pagare e andarsene. Forse se fossi dovuto restare a casa con moglie e figli sarei invecchiato pure io”.
“L’età media bassa di fronte a un’emergenza economica è un problema in più”.  “Matteo, uno dei titolari del Ghepensi M.I., famoso locale, ha 29 anni e dieci dipendenti. Lui come tanti altri che non solo hanno attività qui, ma ci abitano, ogni giorno di quarantena che passa ha la testa un poco più bassa. Ma sarà dura per tutti. Due quarantenni, fisioterapisti, dicono che hanno soldi per altri due mesi, poi dovranno chiedere aiuto ai genitori pure loro”. “Lei come la vede”. “Coltivo l’ottimismo evitando i tg e pensando ai giovanissimi. La vera festa sarà vedere i bambini uscire e vederli tornare nei veri negozi di giocattoli che, per quanto fornite, non saranno mai le edicole”.
Roberto Cossu ha 49 anni, mi dice che è nato a Nuoro, ha quattro figli (e una moglie milanese) di rispettivamente 18, 16, 7 e 4 anni. Quando gli chiedo come facciano a rimanere tutti chiusi in casa alza gli occhi al cielo. È in questa edicola da tre anni, con la moglie lavorava in una ditta di consegna posta che è fallita e li ha lasciati a casa. Da qui l’indispensabile aiuto di babbo Giovanni e mamma Mariangela (Fois), lui nativo di Irgoli, lei di Nuoro. Gli hanno prestato i soldi per rilevare l’edicola in tempi in cui le vendite dei giornali erano calanti da un pezzo. Giovanni Cossu è finito in terra di longobardi dopo aver girato mezzo mondo mettendo su fondamenta d’autostrade. Potrebbe godersi la meritata pensione ma continua testardamente a fare volontariato dalle suore di via Ponzio, nonostante i suoi ottanta anni. Naturalmente hanno in Sardegna un numero imprecisato di parenti e quasi ogni anno ci ritornano per le vacanze. Con Roberto ci si parla attraverso mascherine regolamentari, lui anzi le distribuisce “ai meno abbienti”, in realtà a chiunque gliene faccia richiesta. Oggi ne ha già distribuito un centinaio. Mi conferma che, al mattino, la gente fa la fila da lui come al supermercato, per comprare giornali ma anche libri e riviste. È un mestiere pericoloso il suo, come quello delle cassiere ai supermercati, incroci ogni giorno centinaia di persone, e i famosi “asintomatici” debbono essere migliaia. E solo grazie ai test che misureranno chi ha avuto a che fare col virus e ne ha gli anticorpi senza essere ancora infetto, ci si potrà rilassare. Nell’edicola di Roberto, oltre il giornale, compro un libro di Guido Silvestri, un ricercatore di Senigallia che oggi è capo dipartimento alla Emory University di Atlanta (USA): “Uomini e virus”, storia delle grandi battaglie del nostro sistema immunitario. Si è fatto le ossa studiando il virus dell’HIV, ne leggo alcune pagine camminando quasi in mezzo alla strada, non si vede una macchina: a pag.19: “Le cellule dell’immunità adattativa, meglio note come linfociti, hanno la capacità di riconoscere decine e forse centinaia di miliardi di strutture molecolari diverse, grazie a una potenza di analisi paragonabile a quella di un computer che avesse registrato le impronte digitali di ogni essere umano mai venuto alla luce”. Siamo homo sapiens che hanno colonizzato il pianeta, neanche 2 miliardi nel’18 ai tempi della “Spagnola”, quasi 9 miliardi oggi ai tempi del Covid-19. Come ha potuto quest’ultimo passare inerme attraverso il nostro potentissimo sistema immunologico? Semplicemente perché per lui è un illustre sconosciuto. Di norma vive all’interno degli animali (pipistrelli, pangolini). Ci vorrà un antivirus adatto per contrastarlo. E poi il vaccino per cancellarlo del tutto (si è fatto col vaiolo). Ci occorre tempo.

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