di PIER BRUNO COSSO
Chiudo gli occhi sognando che ci si possa muovere nuovamente. L’emergenza pandemia finirà e potremo riprendere a immergere le mani nella bellezza di ogni angolo della nostra meravigliosa isola. L’incontro di oggi, forzatamente virtuale, è con uno scrittore di Terralba. Un paese speciale. Se le nostre città fossero animali, Terralba sarebbe un gatto. Sì, un gatto, sornione, mansueto, ricco di magia antica, e dignitosamente sdraiato al sole. Allora, se per caso passerete per Terralba e…
No, non si passa per caso a Terralba, tagliata fuori dalla nuova statale 131 a quattro corsie. A Terralba ci si deve proprio andare, ma ne vale veramente la pena. Ma se per caso avete deciso di andare a Terralba, allora andateci in primavera. È impossibile sbagliare, perché in qualunque giorno partite, arrivate che lì è primavera. Ma è una primavera magica, perché è sempre una festa di sole, di aria tiepida, di colori, e di gente meravigliosa che ti accoglie senza tirati mai per la giacca.
Nei miei ricordi rivedo Terralba esattamente dal centro della piazza principale. Dove con un giro completo dello sguardo abbracci persone, facciate antiche di case e spazi di vuoto fuori del tempo. Quadri di memoria, con quel gruppetto di ragazze e ragazzi che chiacchierano fitto nei tavolini all’aperto dei bar, con quello anziano seduto da solo su una panchina che legge il giornale, e con altri quattro, serenamente accomodati più in là, che nei loro occhi hanno tutta la vita che è passata.
Poi lo sguardo dei ricordi si aggancia allo scorrere di due donne in bicicletta con le borse della spesa che appesantiscono il manubrio ma non la pedalata. E oltre ancora l’incanto è fissato nella memoria dei gesti lenti di una ragazza in grembiule verde che con una spugnetta tira a lucido la vetrina del suo negozio, perché la bellezza della piazza deve entrare a specchiarsi nella vetrina, e la vetrina deve specchiarsi sulla piazza. Tutto questo tornerà presto e Terralba tornerà ad essere casa anche per chi viene da fuori.
Tornerà ad essere quel posto dove ti puoi ritrovare. Dove ti puoi sintonizzare con i punti cardinali che ti girano intorno, con sempre il sole negli occhi e l’aria tiepida gentilmente sul viso.
Poi le tinte pastello diventano più sfumate, e tutto diventa color seppia quando ripenso a quella piazza, con tutte le vie intorno, come era al tempo della guerra. Rivedo i passi di chi l’aveva calpestata allora, e trovo le sensazioni pulsanti che ho scoperto in un bellissimo libro ambientato proprio lì, nella metà del secolo scorso.
È propedeutico, prima di andare a Terralba, leggere Terra Bianca (Perrone Editore, 2016) di Davide Piras.
Per cui, carissimo Davide, ti chiedo: nel tuo libro tra i motivi di forte interesse c’è anche un bellissimo monumento letterario a Terralba: era un tuo obbiettivo? Cioè ti sei messo a scrivere pensando di celebrare la tua bellissima città, oppure lei si è insinuata nella tua narrazione e non potevi che accoglierla? Mentre scrivo cerco sempre di raccontare le cose che conosco, ché quando ci si avventura a parlare di luoghi e persone conosciuti attraverso le storie degli altri si rischia d’inciampare nei gradini sdrucciolevoli dello stereotipo. È per questo che le mie storie parlano sempre della mia terra e della mia gente. Io do voce a un territorio e un popolo che conosco profondamente, fino alle radici. Credo sia stato questo a spingermi verso Terralba nell’ambientazione del mio romanzo Terra Bianca. Ma non è un caso isolato: tutte le mie storie si svolgono nell’arco di 34-40 km dal mio paese. Ho voluto accendere le luci su un periodo storico e su un territorio escluso per troppo tempo dalla letteratura sarda, pregna di vicende svoltesi più verso l’interno e con protagonisti lontani anni luce dai miei personaggi.
Eccoci Davide, buon giorno, e grazie per aver accettato di metterti in gioco per i lettori di TOTTUS IN PARI. Come sei arrivato a essere scrittore col tuo primo libro? Non potevi fare una vita tranquilla senza metterti nei guai con la scrittura? Innanzitutto mi piace sempre fare un distinguo tra scrittore e scrivente. Mi reputo uno scrivente. Gli scrittori sono per me coloro che vivono di ciò che scrivono e io purtroppo, o per fortuna, a seconda dei punti di vista, vivo d’altro. Scrivo da quando avevo otto anni. Ho cominciato inserendo i dialoghi all’interno delle vignette che disegnava un mio caro compagno di classe. Poi sono passato ai racconti e verso i vent’anni ho approcciato il mio primo romanzo: una schifezza illeggibile che però mi è servita per capire i miei limiti e continuare a studiare la scrittura facendomi aiutare da illustri professionisti che hanno avuto un ruolo fondamentale per la mia formazione. Prima di Terra Bianca, nel 2012 mi fu pubblicato “Petali di Piombo” che in ambito regionale ottenne ottimi riscontri da parte della critica e dei lettori. Da lì ho cominciato a crederci di più e nel 2016 è arrivata l’occasione con un editore di prestigio come è Perrone Editore. Per me scrivere è un’esigenza. Quando scrivo non sto lavorando: sto volando con la fantasia.
Come se non fosse già abbastanza complicato, sempre a Terralba, hai anche aperto una bellissima caffetteria letteraria. Ti hanno mai detto che sei completamente matto? Me lo sono detto molte volte da solo. Le librerie fanno sempre più fatica e talvolta l’impegno del libraio non viene premiato. Spesso gli eventi culturali vanno deserti e allora lo scoramento mi butta giù. L’indomani però passa perché la passione è troppo forte e allora si rialza la testa e si continua a seminare soprattutto con i bambini, nella speranza che con la compagnia del libro diventino adulti migliori e consapevoli.
Ti dà più soddisfazione fare lo scrittore, il libraio, o gestire una caffetteria? Quale di queste cose è troppo semplice per te? Diciamo che i miei clienti sono abbastanza soddisfatti quando consiglio un libro, preparo un cappuccino, sponsorizzo un vino o miscelo un cocktail. Se sia anche un bravo scrivente non sta a me dirlo. Lascio giudicare i lettori. Deve essere un libro a parlare del suo autore e non il contrario. Di sicuro il tempo passato a scrivere mi pesa meno che quello impegnato nelle altre mansioni.
In realtà mi aspettavo che rispondessi confessando che stai per aprire anche una casa editrice. Ti manca solo quella. Ci hai già pensato? Molti anni fa non nego di averci pensato. Poi però bisogna fare i conti con la difficoltà di un mestiere molto difficile e di un mercato al collasso. Fare l’editore è una delle cose più difficili che ci siano perché la ricetta per il successo di un libro non la conosce nessuno. Ci vuole tanta competenza, ma anche fortuna. Ci aggiungo che a me piace tantissimo leggere e sono convinto che la magia di poterlo fare senza il chiodo fisso della critica sia un privilegio che un editore non può permettersi. Leggere per lavoro è diverso che leggere ciò che tu desideri leggere. Alla fine diventa qualcosa di meccanico come preparare cappuccini.
Sto provocando Davide Piras perché, forse i nostri lettori non lo sanno, ma i rapporti tra scrittore e editore sono molto, ma molto complicati. E Davide ha inizialmente rescisso il contratto con un grande editore che voleva rendere più commerciale un suo testo. Conosco pochissimi autori che avrebbero il coraggio di rifiutare una pubblicazione blasonata, solo per un sussulto d’orgoglio. Coraggio o incoscienza? I rapporti tra autore ed editore non sono complicati, sono semplicemente vincolati a esigenze che non sempre coincidono. L’editore è un imprenditore e ha come necessità primaria quella di vendere. Anche all’autore piace vendere tante copie, ma gli piace farlo nel rispetto del messaggio che intende comunicare col suo libro. Non è successo niente di particolare e con l’editore continuiamo a nutrire grande stima reciproca. Mi sono sentito di non modificare il testo e di comune accordo abbiamo rescisso il primo contratto di pubblicazione. Se un’opera vale, alla fine io sono convinto che trovi comunque la sua strada. Chiuso un capitolo, se ne scrive un altro.
Sempre a vantaggio dei lettori spiegherei che dopo qualche incertezza, poi, hai trovato un altro editore, altrettanto importante, che negli stessi giorni in cui uscirà questa intervista arriverà delle vetrine (in e-book è già uscito, ndr) questo tuo nuovo libro Anticipi ai lettori di TOTTUS IN PARI qualcosa di questo progetto, che io so fantastico? Sì, Condaghes, e nello specifico l’editore Francesco Cheratzu, ha subito creduto fortemente nel mio lavoro e il libro “Gigi Riva – Rombo di Tuono” è già in distribuzione nella versione cartacea, anche se, con il Coronavirus che impazza, l’e-book è già disponibile da qualche giorno. È un lavoro a cui tengo molto perché ho impiegato tre anni per raccogliere il materiale adatto che mi consentisse di raccontare la vita di Gigi Riva. Non intendevo farlo con una biografia fredda e didascalica; ci tenevo a parlare di Gigi Riva visto con i miei occhi attraverso l’arte che più conosco, ossia la narrativa. È nato così un romanzo che è stato autorizzato dallo stesso Gigi Riva. Credo sia la prima volta che Gigi abbia concesso la liberatoria per un’operazione come quella che ho messo in atto io. Ho romanzato i fatti reali ricostruendo tutta la sua epopea in ordine cronologico
So bene, per l’amicizia di cui mi onori, che a questo testo hai lavorato anni. Che solo la bibliografia è lunga almeno un paio pagine. Raccontaci come ti è nata l’dea? La prima partita che vidi da bambino fu un Cagliari – Barletta allo stadio Sant’Elia. Era il 1989 e il Cagliari giocava in serie B. Rimasi ammaliato da quell’esperienza ma ciò che mi colpì più di tutto fu il continuo parlare di Gigi Riva da parte dei tifosi, nonostante il campione si fosse già ritirato da più di dieci anni. E pure mio padre – milanista sfegatato – parlava di Riva come se stesse descrivendo un feticcio. Credo che la mia adorazione per Gigi sia nata quel giorno. Da allora l’ho sempre seguito con grande affetto. Se in tanti conoscono una Sardegna diversa è anche merito suo.
Come hai miscelato storia reale e fantasia della narrazione? Aspetta, fammi indovinare, conoscendoti, hai seguito la strada delle emozioni? Sono partito da fatti realmente accaduti perché da quelli bisognava partire. Per fare ciò ho consultato una quantità di materiale enorme. Su Gigi Riva è stato scritto tanta e tanto verrà ancora scritto. Ma dietro la vita sportiva che tutti conoscono, Gigi Riva è sempre stato un personaggio riservato che ha tenuto il resto del mondo all’oscuro delle sue questioni private. È in quello spazio inesplorato che si è mossa la mia penna, nell’umile tentativo di raccontare più l’uomo che il calciatore. Mi sono emozionato tanto perché ho dovuto immedesimarmi e dare la mia interpretazione a determinate situazioni.
Tutto questo, avventura editoriale e impegno sul testo, cosa ti ha insegnato? Mi ha insegnato che quando le cose si fanno con passione, alla fine il risultato arriva. L’importante è sempre farsi l’esame di coscienza e stabilire se si è fatto tutto il possibile per evitare il fallimento. Se la risposta è sì ma è comunque andata male – capita che succeda – ci si può comunque ritenere soddisfatti e custodire l’esperienza per non commettere gli stessi errori in fase di scrittura e ricerca di pubblicazione. Non sempre il rifiuto di un testo è legato al suo valore. Entrano in gioco tantissime variabili che non sto qui a elencare. Un mio caro amico, con un testo che gli avevano rifiutato per nove anni, è nella dozzina dell’ultima edizione del Premio Strega.
Consiglieresti a tua figlia di fare la scrittrice? Le consiglierei di fare ciò che si sente e di farlo con passione, senza assilli di dover arrivare chissà dove. Sarò retorico ma quando scrivere diventa obbligo non è più un piacere. Quindi bisogna essere veramente convinti di fare della scrittura il proprio mestiere perché è veramente faticoso. Io l’ho provato scrivendo per un quotidiano, dove ogni giorno dovevi trovarti la notizia e portare a casa il pezzo.
La scrittura è più ricerca o sofferenza? Ambedue. Ricerca lo è senza ombra di dubbio. Il talento è fondamentale ma va coltivato perché senza la tecnica si rischia di sprecarlo. È stato provato che la sofferenza e la malinconia abbiano originato alcuni dei più grandi capolavori letterari della storia, ed è risaputo che tantissimi dei più grandi scrittori fossero depressi e alcolizzati, molti dei quali addirittura si suicidarono. Aristotele si dedicò persino a uno studio che metteva in forte correlazione la malinconia e la capacità creativa. A Luigi Tenco chiesero perché scriveva sempre canzoni tristi. Lui rispose che quando era felice usciva con gli amici. Forse con quella risposta apparentemente ironica diede un senso a tutto.
Quando dici: «Sto andando a lavorare…», intendi che ti stai sedendo a scrivere o che ti devi occupare della caffetteria? Sicuramente intendo che sto andando in caffetteria, anche perché ci vado alle 4.30 del mattino.
Posso dire, da osservatore esterno, che ci metti uguale, intensa, passione in tutte e due le attività? E consiglio vivamente a tutti quelli che passano per Terralba, oh, scusate, che scelgono di andare a Terralba, di fermarsi a fare colazione al Dorian Gray (il suo caffè letterario, ndr) dove si può sorseggiare caffè e cultura. (Davide Piras è, sto parlando ai lettori, tu non ascoltare, una persona dotata di un grande senso di generosità e di modestia, oltre che un bravissimo scrittore, e chiacchierare con lui è sempre un piacere). Cosa provi quando quello seduto al tuo tavolino ti dice che ha amato un tuo libro? Fa sicuramente grande piacere. Il libro è un figlio che quando vede la pubblicazione diventa un orfano. Il legame che si crea tra esso e il suo nuovo genitore – in questo caso i lettori – non è mai come quello con il padre naturale e non può essere uguale neppure a quello con gli altri lettori. Se si scrive si deve accettare di essere giudicati. L’importante è che il giudizio sia sempre inerente all’opera e non a chi l’ha generata, cosa che purtroppo succede troppo spesso in questi tempi avvelenati.
A proposito di tuoi libri, l’ultimo pubblicato, Terra Bianca, che accennavo all’inizio, si propone come romanzo di narrativa, non certo storico, ma i riferimenti di persone e di luoghi, le visioni, e i modi stessi di vedere le cose, fanno calare le tue pagine in una realtà storica. Era una storia che avevi dentro, o che hai visto con gli occhi dei protagonisti? Attenzione domanda insidiosa! È una storia che parte da fatti reali quali furono i bombardamenti su Cagliari nel 1943, che causarono la fuga di tantissimi sfollati rifugiatisi nei vari paesi della Sardegna, tra i quali il mio. Da lì ho romanzato prendendo spunto da racconti degli anziani e vicende accadute realmente, oltreché inserire qualche riferimento alla mia famiglia, in particolare ai nonni. In verità io credo che Terra Bianca sia un romanzo fortemente storico, seppur di storia moderna si tratti.
Domanda insidiosa, dicevo, perché allora ti chiedo: lo scrittore nel raccontare anche la storia, quella che fa male, che ruolo dovrebbe avere? Deve essere imparziale o graffiare le coscienze? Ritengo che lo scrittore debba fare il narratore e non essere intrusivo. Deve esserci un netto distacco tra lo scrittore e il narratore, e il loro pensiero non deve mai sovrapporsi. Devono essere i personaggi a portare il messaggio che lo scrittore intendeva comunicare, non il narratore con le sue considerazioni.
In Terra Bianca i protagonisti sono due: un ragazzo rimasto orfano a causa della guerra e un ragazzo con evidenti difficoltà. O forse, invece, la vera protagonista è la loro amicizia, la loro accoglienza reciproca, la loro emozionante solidarietà. Hai precorso i tempi con un tema poi diventato d’attualità? Oggi avere una disabilità è difficile ma c’è più sensibilità, ci sono strutture, c’è integrazione. C’è la possibilità di essere seguiti da ottimi specialisti. Nascere con disabilità negli anni ’30 era qualcosa di ancora più drammatico perché si veniva abbandonati e si diventava lo scemo del villaggio. Io ho voluto raccontare invece di una famiglia che nonostante le problematiche insormontabili del periodo non ha mai lasciato solo il suo figlio più sfortunato, andando contro le tradizioni popolari e la cattiveria della gente.
Con questo libro, magari anche per i temi e gli ambienti, oltre che per la tua alta cifra di scrittura, hai avuto la grandissima soddisfazione di essere tra i finalisti del Premio letterario Città di Como. Sparaci tre termini per descriverci la tua sensazione. È stato a oggi il momento più emozionante del mio percorso autoriale. Eravamo in 2600 ed essere arrivato tra i tre vincitori è stata un’emozione che non è possibile quantificare. Solo a leggere i nomi degli autori che mi sono arrivati dietro mi viene ancora la pelle d’oca: scrittori che amo, che leggo, che studio. Due di essi, quell’anno, sono riusciti poi a vincere il Campiello e lo Strega, eppure sul palco di quella sala enorme sono salito io, votato dalla giuria popolare e da quella tecnica composta da alcuni dei più illustri esponenti della cultura italiana, a testimonianza del fatto che ci sono anche autori poco noti con altrettanta capacità di raccontare storie.
Te ne posso aggiungere uno io? Consapevolezza? Consapevolezza dei tuoi mezzi espressivi? Chi scrive ha bisogno di conferme? Sicuramente. A furia di ricevere rifiuti, anche il più grande estimatore di se stesso finisce per demoralizzarsi. Mettiamola così: i rifiuti aiutano a crescere; le recensioni positive e i traguardi aiutano a non mollare.
Carissimo Davide, ti ringrazio della tua disponibilità e della tua sincerità, che, mi rendo conto, ho messo un po’ in pericolo… Incontrerai i lettori di TOTTUS IN PARI? Nel senso: hai già in programma di venire a trovarci nelle nostre città con le presentazioni del tuo nuovo libro? Sarebbe bellissimo ma credo che per un po’ di tempo dovremo accontentarci delle presentazioni tramite diretta Facebook. È stato un piacere anche per me. Ringrazio te, Pier Bruno, e tutti i lettori di Tottus in pari. Speriamo di vederci di persona al più presto. Un abbraccio affettuoso a tutti.
Note biografiche: Davide Piras è nato nel 1981 a Oristano. Ha collaborato con L’Unione Sarda per due anni. Nel 2012 è stato finalista al concorso nazionale CartaBianca con un racconto pubblicato nell’antologia Il clavicembalo ben temperato. Nel 2012 pubblica il romanzo storico Petali di Piombo e nel 2016 il romanzo Terra Bianca, terzo classificato al Premio internazionale di letteratura Città di Como. Negli anni 2017-18 compone degli aforismi per l’agenda Book Pusher. Nel 2018 contribuisce con dei racconti alla raccolta Storie per un anno in cento parole. Nel 2019 il suo romanzo inedito Gigi Riva, Rombo di Tuono si classifica secondo al Premio letterario Licanìas.
Non vedo l’ora di leggerlo, e a proposito, Terra Bianca è un qualcosa di favoloso !
Augurissimi Davide per questo nuovo lavoro.certo che sara’ un grande successo lo leggero’ quanto prima
Uno scrittore giovane eppure già maturo, potente, raffinato, appassionato. Il suo nuovo libro volerà, lo sento. Forza, Davide caro: il mondo è tuo.
Complimenti Davide! Bella da leggere l’intervista, ora il libro 💪
Bellissima intervista, avendo letto il libro credo che meriti l’attenzione dei lettori, auguri di cuore.
Conplimenti Davide !!
Il mitico Giggi RRiva ,” Rombo di Tuono” sbarca a Terralba. Sarà un successo. Grazie Davide!