di LUCIA BECCHERE
Se n’è andato il 22 marzo scorso a 83 anni senza clamore come era nel suo stile di vita. Don Pietro Muggianu era un pastore di Cristo, umile e devoto. Grande sacerdote e grande uomo. Amabile e disponibile verso tutti, amato e stimato da tutte le comunità dove era stato chiamato a svolgere la sua attività sacerdotale, sapeva mediare ogni situazione con la pacata saggezza delle sue parole. Ha educato e formato generazioni di giovani che in lui professore sacerdote trovavano una spalla sempre pronta ad accoglierle, ascoltarle e comprenderle. Insegnava storia e filosofia al Fermi di Nuoro, disciplina che, al pari della sua fede, era lo strumento con il quale riusciva a penetrare e comprendere i problemi esistenziali dei suoi amati allievi e per tutti era un punto di riferimento, un faro con cui orientarsi, un porto su cui approdare. Il suo sorriso infondeva sicurezza così come il suo misurato parlare sapeva di convincimento. In classe mai una parola urlata, i suoi velati rimproveri: consigli e carezze. Da ogni situazione sapeva trarre un insegnamento di vita. I suoi alunni lo attendevano impazienti e nel vederlo arrivare gli andavano incontro e lo accoglievano con affetto reverenziale. La sua ora di lezione era terapeutica, il suo insegnamento mai nozionistico, sempre finalizzato alla formazione umana dei giovani che curava con la benevolenza di un padre. Durante i consigli di classe che riunivano quel corpo docente già di per se legato da vincoli di stima e amicizia ancor prima che professionali, lui era il ponte che univa, l’arcobaleno che scongiurava ogni timido segnale di burrasca. Nei momenti di pausa fumava la sua proverbiale pipa, pensatore silenzioso, mai osservatore distratto. Sapeva ascoltare e a chi gli esternava dubbi e sofferenze ricordava un aforisma di Tolstoj «Tutti pensano di cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiare se stesso di fronte alla vita».
Caro Don Pietro, mi sei stato tanto vicino nei momenti di grave lutto che ha colpito la mia famiglia così come lo sei stato nei momenti di gioia. Con te ho condiviso preziosi anni di insegnamento, ma anche tanti momenti d’incontro e di riflessione. Sei stato per me un collega, un fratello, un padre, un amico e un confessore. Mi hai insegnato a guardare avanti con fiducia e con cristiana accettazione suggerendomi prudenza e raccoglimento, mai soluzioni affrettate. Io continuerò a fare tesoro della tua parola, della tua grande umanità e dei tuoi benevoli consigli che hanno illuminato il mio percorso di donna e di insegnante. Di questo te ne sarò eternamente grata.
Anche Lollove intanto, l’ultima comunità che don Pietro ha servito come parroco, vive il suo “lockdown”. Zia Boredda che ha 90 anni, vi abita con la cognata zia Gavinedda, che con i suoi 98 anni compiuti a novembre, è la persona più anziana della piccola comunità. Stabilirsi in città? Manco a pensarci. Zia Boredda vi si reca solo per andare dal medico. Nel borgo dove non ci sono più bambini, vive qualche piccolo nucleo familiare composto da uomini soli, qualche adulta e due giovani ragazze che per motivo di lavoro e di studio si vedono poco. Qualche pastore, da Nuoro raggiunge Lollove per accudire il bestiame, nei dintorni vivono stanziali due caprai con pochi capi, mentre alcuni titolari di grosse aziende preferiscono vivere in città. Zia Boredda, esile e minuta, è vigile ed efficientissima. È lei che prepara ancora sos culurjones, sas paneddas de gherda e le ciambelle da distribuire a parenti e amici. Nonostante le sue numerose patologie è sempre attiva ed operosa. Ogni mattina dopo aver fatto una lunga camminata verso il cimitero per pregare sulla tomba dei suoi cari, va a lavorare in campagna come ha sempre fatto fin da piccola. Dal 5 marzo scorso, giorno in cui le scuole sono state chiuse per l’emergenza Covid-19, vive con Salvatore, un giovanissimo pronipote che frequenta la quinta elementare a Santu Predu e che fino a qualche tempo fa suonava le campane per annunciare la messa domenicale.
Chiediamo a Rosa, figlia di zia Boredda, come vivono gli abitanti di Lollove al tempo del coronavirus e orfani del loro amato parroco che il 1° marzo scorso aveva celebrato per loro la sua ultima Messa. «La scomparsa di don Muggianu è stato per tutti noi un duro colpo. Era uno di famiglia, conosceva tutti e Lollove era la sua seconda casa. Lo aspettavamo ogni domenica quando veniva a celebrare Messa e la sua presenza era per noi motivo di gioia e di sostegno».
Come fanno ad approvvigionarsi le persone del borgo? «Ogni giorno, mio fratello da Nuoro raggiunge Lollove dove custodisce le pecore, mentre io provvedo alla spesa. Tuttavia, anche il postalino assicura il servizio pubblico essenziale».
Come trascorre le giornate zia Boredda? «Mia madre è una donna pratica che non ama perdersi in chiacchiere. Durante il giorno è sempre indaffarata con le pulizie, col pranzo e i lavori nei campi dove il piccolo Salvatore, dopo aver seguito le lezioni in videoconferenza, l’accompagna nei suoi spostamenti mentre la sera segue con interesse le notizie al telegiornale».
Insomma, gli abitanti di Lollove che di per sé vivono un isolamento naturale, appreso il dilagare dell’epidemia, si salutano da lontano chini sui solchi degli orti, rispettando le distanze sociali perfino quando si ritrovano ad attingere l’acqua alla sorgente, mentre la devota Antonietta, che da sempre custodisce le chiavi dell’antica Parrocchia, apre ogni giorno la chiesa di Santa Maria Maddalena per dire che anche in quel piccolo borgo Dio c’é.
per gentile concessione de https://www.ortobene.net/