di MICHELA GIRARDI
Una forza della natura. Irene Loche, classe 92, è una chitarrista, cantante e compositrice oristanese. Dall’energia dei palchi calcati con il trio blues Sunsweet Blues Revenge, si è poi riscoperta in un progetto solista, molto più intimo, in cui sonorità folk e soul si incontrano e dove accordature aperte e ritmi lontani diventano protagonisti. Dal 2015 è ufficialmente artista Magnatone, unica italiana nel panorama mondiale insieme a Jeff Beck, Billy Gibbons, Keith Richards, Jackson Browne, Neil Young e tanti altri. L’8 Gennaio 2016 è uscito il primo EP “Garden of Lotus”, disponibile anche in digitale sulle più note piattaforme. Conosciamola meglio.
Sei una delle musiciste sarde più quotate, conosciuta e apprezzata anche all’estero. Quali sono state le fasi del percorso musicale che ti ha condotta fino a qui e cosa hai in mente per il tuo futuro professionale? C’è ancora tantissima strada da fare, sicuramente l’esperienza con la band mi ha dato modo di imparare tanto e coltivare delle esperienze che poi mi hanno dato il coraggio di avviare il percorso come solista. Credo che sia stata quella scelta a regalarmi le occasioni più importanti: il primo disco, gli Stati Uniti e gli endorsement forse tra le prime cose. Sto cercando di coltivare tutto ciò che posso e soprattutto di imparare. Mi sto rendendo conto che ho necessità di affrontare nuove cose, nuove idee e nuovi temi, che forse oggi sento più importanti e delicati.
Nell’era dei talent show cosa pensa una purista come te di questo modo di fare musica e di divulgarla? Mi trovo molto distante dall’idea del talent. La capisco commercialmente, ma al di là di quello non vedo nessun connubio con la musica. Se non fosse per la reazione che scaturisce dal pubblico i talent non esisterebbero. Vendono le storie delle persone ed è soprattutto per questo che sono di grande effetto. Ma la musica è nata per comunicare e per raccontare, non potrebbe ancora esistere a lungo se si continuasse a venderla come qualcosa da indossare e basta.
Dici spesso di tenere molto ad essere tu la paroliera delle tue canzoni. Perché? Che rapporto hai con le parole? Sono subordinate alla musica, secondo te? Sì, è una cosa a cui tengo molto. La musica è un canale molto importante, qualcosa radicato in tutti noi da sempre, è un linguaggio naturale che ci lega indissolubilmente. Da una canzone troviamo ispirazione e stimolo per fare del bene per noi e per gli altri, ci porta a riflettere, ha la capacità di muovere un’idea o di cambiarla. Le parole creano mondi, veicolano messaggi: io penso che il comunicare sia una grande responsabilità.
Il mondo della musica è ancora piuttosto maschilista. Ti sei mai sentita messa da parte o presa meno sul serio in quanto donna? Quanto è difficile farsi valere in un mondo spietato come quello in cui muovi i tuoi passi? Per ora non posso dire di aver vissuto così tanto le difficoltà di essere una donna in musica. Possono essere capitati degli episodi di questo tipo ma fortunatamente ho sempre avuto buoni consensi, supporto e lavorato con persone molto sensibili e intelligenti. Durante gli anni ci sono stati episodi poco felici di questo tipo che ho vissuto con la mia band, magari durante qualche Festival o qualche serata in cui siamo stati poco considerati o trattati con sufficienza. Ognuno di noi è comunque rimasto al suo posto e ha cercato di dare il meglio che ha potuto.
Essere giovane e donna è stata una complicazione o un valore aggiunto?
Essere giovani ha la complicazione di poter essere visti come frutti acerbi e non all’altezza della situazione. Penso sia normale. Una strada senza difficoltà o errori – fortunatamente – non esiste. Gli errori sono delle esperienze di cui abbiamo necessariamente bisogno per migliorare. Mi è capitato come donna di essere meno considerata ma anche il contrario, ovvero di essere considerata di più proprio perché sono donna e paradossalmente non trovo giusto nemmeno questo.
Cosa significa per te essere femministi? Credo che coincida con l’avere la consapevolezza della propria identità e del proprio valore come donna ma anche di quella altrui. Non sono d’accordo con gli estremi, un’idea portata all’estremo non potrebbe mai essere qualcosa che appartiene a tutti. Io come donna mi sento forte e responsabile della mia vita ed è ciò che voglio e vorrei per me e per qualsiasi altra persona al mondo.
Quale è stato il momento più emozionante della tua carriera fino ad oggi? Onestamente non saprei identificarne uno in particolare. Sono accadute tantissime cose e se tutto va bene ne accadranno ancora molte altre importanti. Forse posso dire che oggi sono le persone, più che i momenti, ad aver lasciato un segno molto forte nella mia vita.
Che effetto ti ha fatto vedere il tuo nome accanto a quello di Neil Young, Keith Richards e David Gilmour? Sono musicisti e persone che hanno realmente segnato e fatto la storia della musica. Nonostante sia infinitamente grata di poter avere il mio nome vicino al loro come artista Magnatone, mi rendo conto che il mio percorso è diverso e ancora lontano dal loro.
Con il gruppo Sunsweet Blues Revenge hai fatto un salto di qualità. Ma stai portando avanti con dedizione assoluta anche la carriera di solista. Quali sono gli aspetti negativi e positivi del lavorare in gruppo e del lavorare da soli? Con il trio ho lavorato molti anni e ho imparato davvero tanto. Sul palco e non, in sala o in studio, le scelte e le responsabilità sono condivise e ponderate insieme, così come lo sono vittorie e sconfitte. È una famiglia, una squadra, e questo regala una grande forza. Sono stata indubbiamente fortunata ad averli accanto. Questo legame ci ha unito anche quando ho deciso di intraprendere la carriera solista. Forse posso dire che come solista ci sono più difficoltà perché il carico di responsabilità è certamente maggiore e bisogna cercare di non perdere mai la lucidità, di non aver paura di confrontarsi con gli altri o ammettere i propri sbagli o incertezze.
C’è stato un momento in cui hai pensato di abbandonare la musica? La Sardegna e il suo isolamento quanto ti hanno penalizzata? Sì, c’è stato ed è un pensiero che spesso viene a farmi visita, nonostante le grandi possibilità che mi si stanno aprendo. Stiamo vivendo una situazione politica, economica e sociale molto delicata in tutto il mondo. Man mano che vado avanti e cresco mi sto rendo conto di ciò che vorrei per me, e oggi so che è quello a cui voglio dare più importanza. La musica sarà con me, forse non per sempre e anche oggi spesso si allontana, ma so che avrà sempre un volto amico.
Quali sono gli artisti che ti hanno influenzata? Non saprei, ho ascoltato molta musica e ancora oggi lo faccio, cerco sempre nuovi stimoli. A volte li trovo nelle nuove produzioni e alcune volte in quelle più vecchie. Non ho degli album da citare ma sicuramente ci sono degli artisti che oggi per me hanno acquisito molta importanza e che spesso ascolto: Jackson Browne, James Taylor, John Mayer o Anders Osborne per citarne qualcuno.
A cosa stai lavorando in questo momento? Al momento scrivo dal mio Pc dalla bellissima Culver City in California, domani rientrerò in Sardegna. C’è tantissimo da fare: nuove date e nuovo disco sono tra le prime cose. Ho finalmente ottenuto il visto artistico perciò so che sarà un anno impegnativo e che viaggerò tanto.