di PAOLO PULINA
Quest’anno, per evidenti motivi legati alle misure di contenimento della diffusione del Coronavirus che vietano non solo gli assembramenti ma anche raduni di poche persone, alla Circoscrizione dei Circoli F.A.S.I. del Centro-Nord sarebbe stato comunque impossibile tenere la tradizionaleFesta annuale de “Sa Die de sa Sardigna” in Lombardia, inaugurata nel 2003 e tenuta fino al 2019. In concreto, ogni anno cambiando località, i 20 Circoli F.A.S.I. della Circoscrizione Centro Nord (Lombardia), in una domenica immediatamente precedente o successiva alla data del 28 aprile, hanno onorato unitariamente la “Festa del Popolo Sardo”, che vuole ricordare la data del 28 aprile 1794, giorno in cui avvenne la (temporanea) cacciata dei Piemontesi dalla Sardegna ad opera del popolo cagliaritano.
In fase di progettazione antecedente alle prime notizie sui focolai della terribile epidemia del Coronavirus mi ero espresso per un convegno, da tenersi il sabato prima della festa domenicale (con la sfilata dei gruppi folk e con lo spettacolo musicale pomeridiano) e da dedicarsi ad Emilio Lussu (Armungia, 4 dicembre 1890 – Roma, 5 marzo 1975), nella ricorrenza del 120° anniversario della nascita e a 45 anni dalla morte.
Ovviamente l’iniziativa culturale non poteva non collegarsi ai temi affrontati nel 2005, quando la Circoscrizione, coordinata da Giovanni Loi, celebrò “Sa Die” a Vigevano (PV), con un convegno, la cui relazione portante fu tenuta dallo storico Simone Sechi (autore con il prof. Manlio Brigaglia di una fondamentale “Cronologia della Sardegna autonomistica, 1948-1985”), allora direttore dell’Istituto Regionale Sardo per la Storia della Resistenza.
Sechi nell’occasione illustrò la figura di tre importanti autonomisti sardi venuti a mancare nello stesso anno, nel 1975: oltre Emilio Lussu, Camillo Bellieni (teorico del sardismo, principale ideologo e fondatore del Partito Sardo d’Azione; Sassari, 1893 – Napoli, 1975) e Paolo Dettori (politico dc, presidente della Giunta e poi del Consiglio regionale della Sardegna nella seconda metà degli anni Sessanta; Tempio Pausania, 1926 – Sassari, 1975).
Simone Sechi (Bortigiadas, 08 agosto 1948 – Sassari, 05 marzo 2020) è morto, meno di due mesi fa, all’improvviso, a 71 anni. Voglio ricordarlo con la sintesi del discorso da lui svolto a Vigevano il 24 aprile 2005, nello splendido Teatro Cagnoni.
“Uomini difficili nella politica sarda”: così Sechi definì Lussu, Bellieni e Dettori. sintetizzando la figura e il comune senso dell’etica politica di questi tre padri fondanti dell’Autonomia.
Tutti e tre avevano la coscienza di essere rappresentanti non di una élite, ma una avanguardia per far compiere all’Isola un salto di qualità. In tutti e tre la tenace affermazione della loro sardità pur nella differenza dei tempi che hanno attraversato, legati anche da un destino che li ha strappati alla vita nello stesso anno, essendo morti tutti e tre nel 1975. Sechi, prima di accomunarli, tracciò i profili dei tre padri dell’autonomismo, inquadrandoli nel loro periodo storico e ripercorrendo le tappe importanti della loro azione politica a cominciare da Bellieni che rivendicava il diritto storico all’autodeterminazione dei sardi, per passare a Paolo Dettori, uno dei cosiddetti “giovani turchi” che si è sempre battuto per l’autonomia (“occorre ritrovare le radici della nostra cultura”) e quindi a Lussu, che pur con radici ideologiche diverse (“era contrario al separatismo”) non aveva certo una concezione totalizzante dei sardi.
L’Autonomia, dunque, era dai tre uomini politici concepita come uno stato mentale e non solo un fatto economico: in sostanza, essere sardi, sentirsi autonomi per allargarsi al mondo. Concludendo la sua ampia relazione Sechi sostenne che la Regione Sarda avrebbe dovuto preparare la revisione dello Statuto, perché paradossalmente quello in vigore era peggiore di quello delle Regioni a statuto ordinario.
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Nota finale. Nella sezione apprestata da Sechi per il secondo volume de “L’antifascismo in Sardegna” (a cura di Manlio Brigaglia, Francesco Manconi, Antonello Mattone e Guido Melis, 1986) e intitolata “Sardi nella Resistenza e nella guerra di Liberazione” voglio ricordare l’importante documento su “I martiri di Sutri (17 novembre 1943)” che mi diede l’occasione di conoscere il tragico destino di 17 avieri sardi, sbandati dopo l’8 settembre 1943, arrestati dai nazifascisti a Capranica e trucidati a Sutri: per le loro vicende rimando a un mio articolo pubblicato su questo sito e che mi sembra giusto riproporre in vista del prossimo 25 Aprile, festa della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo:
Grazie di cuore caro Paolo
Attilio Mastino