di MANOLA BACCHIS
Eccolo che si accinge con la macchina da scrivere sotto braccio, con naturalezza e orgoglio. Ses tue Pàulu!
Quella prima immagine fotografica, in bianco e nero, che appare ai nostri occhi quando ci apprestiamo a guardare il CD in allegato al nuovo volume “Pàulu ses tue”, sintetizza in uno scatto il senso della vita di Paolo Pillonca.
La macchina da scrivere: non un mezzo, non uno strumento qualunque, bensì obiettivo e ragione della sua esistenza. Fogli bianchi si riempiono di inchiostro. Quei ticchettii dei tasti sembrano riprodurre il ritmo dell’acqua quando il cielo bagna la madre terra e disegna volti, racconta sentimenti, emozioni, stati d’animo… una moltitudine di immagini scorrono nella mente… goccia dopo goccia, come un fiume in piena che pare non arrestarsi.
I curatori di Pàulu ses tue si sono trovati difatti una vastissima produzione di Paolo Pillonca. Che fare dunque? Cosa selezionare?
Occorreva innanzitutto mantenere vivo il suo verbo, e preservare ciò che a lui – uomo di Sardegna e uomo del Mondo – stava più a cuore: le radici, le virtù, e la ricchezza culturale del paese nel quale si nasce.
Tra le righe del prezioso libro editato dalla Domus de Janas percepiamo la sua presenza, in ogni traccia scritta o narrata. Come così pure è palpabile nell’aria il suo amore smisurato per l’Isola che gli ha dato i natali. Come solo un innamorato sa fare, ha corteggiato la sua amata Terra, l’ha esaltata, l’ha difesa, se n’è preso cura fino all’ultimo respiro. E’ sceso nelle piazze, e ha elargito la sua dottrina a chiunque incontrasse. O meglio era lui che assurgeva sapienza da ogni incontro, soprattutto con la gente semplice, dalle mani callose, il viso rigato dalla fatica della campagna e dell’ovile.
E, ancora, si manifesta con chiarezza la dimensione del dialogo, i ricordi emergono, e il filo rosso, tracciato con una lapis morbida, indica con umiltà l’orizzonte oltre il visibile, che, simbolicamente è lì tra i monti della sua Seui o della sua Sardegna tutta, senza confini.
«Sono nato in Sardegna il luogo più bello che esiste e spero di morire in Sardegna». Sono parole pronunciate da Paolo Pillonca stesso nella parte iniziale del CD Rigorosamente in limba naturalmente! Anche qui cogli la musicalità dalla sua voce soave e quanta fierezza per la sardità affiora dai suoi occhi piccoli e astuti, e dal sorriso gentile!
La sua Isola lo ha accolto! Ed essa, Madre, gli ha porto un dono che lui, sapientemente, ha saputo afferrare e coltivare: il valore delle radici e del legame infinito con la propria storia da difendere perché luogo dell’anima e, poi, da affidare rigorosamente al silenzio e alle parole “dense come fiocchi di neve d’inverno” come si legge nella prefazione di Tonino Oppes. E’ qui che ri-troviamo Paolo Pillonca.
Quanta verità in quei fiocchi di neve con tutto il loro splendore vestiti di bianco e avvolti dal candore della luce misteriosa… sanno di delicatezza; eppure è qui che si esalta la loro forza: si posano dopo una danza su ogni forma di realtà, con un moto adagio, e ora sono sostanza di vita, che è magia e mistero. Sembra quasi l’inizio di una fiaba, che fa sognare grandi e piccini: fiato sospeso, occhi che sbirciano mentre mani minute nascondono, senza nascondere, la curiosità. Essa vince su tutto, persino la paura dell’ignoto. Occorre conoscerlo e allora avanti tutta, alla ricerca delle nostre radici. E come un’agile capretta salta sui pendii irti e aspri del Gennargentu per cibarsi dell’erba più saporita e rara, così Paola Pillonca si appresta all’arrampicata. Non gli sfugge nulla. Guarda attorno, ammira, ascolta ogni suono che giunge dallo spazio che lo circonda, e scrive e scrive dopo essersi cibato di silenzio, perché è nel silenzio l’origine della riflessione.
E’ lì, in cima, ad un passo dal cielo, che il passato della Sardegna è giunto, in compagnia di stelle, pianeti e satelliti.
Ebbene il cibo di cui si è nutrito Paolo Pillonca è proprio questo: il patrimonio culturale tramandato nel tempo custodito nella sonorità arcana della Lingua Sarda, capace di arrivare dritta all’anima.
A volte il timbro è roco, duro, bagnato da lacrime o da sangue, altre volte tenero e lieto come il pianto di un bambino o di una fanciulla aggraziata che canta al vento. E lui da giornalista ne è stato testimone, da scrittore pure, da professore di Lettere antiche ha scavato nel passato, e da poeta sardo ha sofferto.
Ogni suo componimento si è fatto melodia, perché la parola è dono che esce dal cuore.
Forse è per questo che molte sue poesie risiedono su un pentagramma, e le note musicali abitano nella voce di cantanti sardi, primo fra tutti Piero Marras e che accompagna anche per questo le immagini del CD. E, allora, riavvolgiamolo. Soffermiamoci ancora una volta ad osservare la luce degli occhi di Paolo Pillonca: chissà cosa o chi guarda!, il volto di un anziano?, oppure sorride ad un bimbo… O forse è solo suggestione che nasce dalla forza magnetica del suo sguardo. Eppure è come se volesse che la saggezza del vecchio avvolgesse, come un mantello in orbace, la spensieratezza del piccolo quasi a proteggerlo e dargli energia per il lungo cammino verso la sua Itaca.
Ed è tale sguardo, pieno di desideri e di domande, che diviene il fulcro vitale quando si giunge al capitolo dedicato a “I paesi-museo”. Probabilmente è proprio dedicato ai bambini “il messaggio in bottiglia” dei murales in una Sardegna tanta arcaica, e sempre attuale.
Proseguiamo la lettura… il dialogo si fa più intenso.
Le testimonianze di chi l’ha conosciuto si alternano ad articoli e brani estrapolati dai libri scritti da lui medesimo.
E ce n’è uno, “Villanova Monteleone: quella sedia vuota sul palco”, che fa affiorare dalla profondità l’essenza dell’arte antica dei cantadores a bolu, che non è solo folklore ma è scienza. Pare quasi di vedere la solitudine su quel palco. Lui, Remundu Piras, grandissimo poeta improvvisatore, non c’è più. A lui, Pillonca ha dedicato quattro volumi che rasentano quasi le mille pagine. Una raccolta enciclopedica carica di passione per la poesia e per l’amore che si cela dentro chi, come Paolo Pillonca, era innanzitutto poeta egli stesso. La morte di Piras segnava la fine di un’era: «Remundu, ne era stato l’alfiere più alto e più caro alla folla che consumava l’antico spettacolo. Pretendere altre stagioni lucenti sarebbe irrazionale. Perché è vuota la sedia di Raimondo Piras? Com’è mutato l’universo delle gare poetiche a sette anni di distanza dalla morte del capo? Che cosa manca oggi alle dispute di poesia professionale rispetto alle ultime annate con lui in campo? Intanto il carisma…»
E quanto carisma ha avuto Remundu Piras per l’uomo, lo scrittore, il giornalista, il poeta Pillonca?
Si potrebbe dire un carisma senza frontiere! Lo si deduce anche dall’ultimo lascito “Oh mia bella Musa, ove sei tu?” dove è tangibile il vanto per il mondo affascinante dei cantadores a bolu, i cantatori estemporanei, ed è altrettanto concreto l’orgoglio per la Cultura Sarda.
Anche qui Paolo Pillonca non tralascia nulla al caso: osserva con sapienza e umiltà il lavoro nobile delle bellissime janas che tessono capolavori notevoli con fili dorati, delicati e preziosi. Quell’accostamento di colori crea l’incanto del dialogo tra Paolo Pillonca ed ogni Sardo che incontrava nei suoi viaggi e per ognuno aveva sempre una parola, per giungere al loro cuore, soprattutto laddove coglieva le sfumature della lingua madre. Porgeva il suo orecchio, ne traeva insegnamento e dopo coltivava quel tesoro immane in compagnia della sua Olivetti…
Ora, ricaviamoci un angolino per sbirciare tra le trecento pagine (arricchite dal ritratto realizzato da Giovanni Cadinu, dal materiale fotografico di Salvatore Ligios e Mario Sollai) di Pàulu ses tue. E, ascoltiamo le voci che svelano aneddoti, dettagli, dell’uomo scrittore e giornalista. Sono tante, e i sessanta minuti del CD (con la regia e il montaggio audio-video di Marco Gallus) che valorizzano l’opera non bastano per contenerle tutti.
Citarne alcune è limitante, così si lascia il piacere di scoprirle una ad una sfogliando il libro, e ammirando il video dove le poesie cantate da Piero Marras irrompono come energia pura e accarezzano le parole scritte… e il tempo si ferma all’improvviso.
Occorre però soffermarsi per godere del suono scandito dalla quiete del canto, componimento meraviglioso per tutti ma non da tutti. E’ geometria di suoni e aritmetica di silenzi: poesia e musica si rincorrono e danzano insieme per rendere omaggio a chi di poesia si è sfamato e l’ha resa universale anche con la musica, voce assoluta dell’uomo.
Il significato che nasce da tale misterioso incontro non si può dipanare se non dentro se stessi nella contemplazione della bellezza della forma più elevata dell’uomo: l’arte.
In verità chi detiene l’arte è la Musa, ma occorre intenderla e accoglierla. Come solo le Donne Sarde sanno fare, perché sono Muse. Oh, se lo sono! Hanno dato alla luce versi poetici unici, affrescati da creatività che sgorga dall’anima, come perle in fondo agli abissi.
E forse l’articolo dedicato a Nereide Rudas come chiusura di “Pàulu ses tue” non è un caso: «Il destino era già nel tuo nome mitologico: ninfa marina, figlia di Nereo… con il cuore in lutto mi viene sempre un’immagine aerea, di cielo notturno, quando dopo le stelle si affaccia la luna signora al culmine dello splendore, incantesimo reso eterno da un volo lieve di Saffo… quella luna sei tu, carissima Nereide».
Sì Nereide è la luna e tue Paulu… ses tue!
www.lacanas.it