di ALDO ALEDDA
Poco prima di ricevere il Comunicato Stampa della FASI (Federazione delle Associazioni Sarde in Italia), sull’allarme destato tra chi, avendo programmato le vacanze in Sardegna per i prossimi mesi, a causa dell’interpretazione di un’ordinanza della Regione che proroga lo stato di emergenza al 31 luglio (poi rettificata), che ha indotto molti ad annullare le prenotazioni estive per isola, mi aveva chiamato un amico di Mantova, che sta in Sardegna, indignato non solo per il comportamento delle autorità regionali che hanno scambiato il territorio per il proprio cortile di casa, ma anche per il fatto che contro di chi viene da anni nell’isola dalle regioni del centro nord, gli organi d’informazione locali e nazionali continuano a aizzare l’opinione pubblica presentando in particolare i cosiddetti proprietari delle seconde case provenienti dal Nord larvatamente e manzonianamente come gli untori della peste odierna. Il mio interlocutore mi pregava di farmi interprete di questo disagio e di condividerlo con qualche decision maker convinto che un atteggiamento di questo genere in ultima analisi si ritorca contro la stessa economia isolana nella misura in cui tante persone che da anni decidono di spendere i loro soldi in Sardegna, sentendosi sgradite un domani potrebbero orientarsi verso lidi più accoglienti dello stesso Mediterraneo. E tra gli interessati a questo discorso, aggiungo io, moltissimi sono di origine sarda o famiglie con componenti sardi che praticano il turismo delle origini o non sardi guadagnati all’amore per la nostra isola dall’attivismo delle associazioni e delle comunità dei sardi in Italia continentale e all’estero (aiutate finanziariamente per fare questo dalla stessa Regione che così ancora di più si da la zappa nei piedi).
Non è ozioso a questo punto rimandare tutto ciò alle considerazioni di tanti analisti che, per i tradizionali flussi migratori italiani, spiegano queste reazioni con l’atavico risentimento dei residenti nei confronti dei previ migranti e, in Sardegna, in particolare, col riemergere di una cultura protosardista che voleva fuori tutti gli stranieri, dai militari ai presunti sfruttatori delle bellezze paesistiche e delle risorse economiche, dimenticando disinvoltamente che se l’isola è uscita in quest’ultimo mezzo secolo dalla povertà endemica ed è riuscita superare lo stadio della pastorizia e dell’agricoltura primitiva in cui si trovava ridotta producendo una classe imprenditoriale moderna sia nell’economia tradizionale sia nel turismo e nel settore commerciale e manifatturiero, ciò è dovuto anche al mescolarsi della sua popolazione e a imparare da chi proveniva dalla Lombardia, dal Veneto e dalle altre regioni del Centro e Nord Italia, a prescindere dal fatto che queste nello stesso tempo ospitavano e accoglievano a braccia aperte i sardi che sfuggivano all’incapacità dell’isola di offrire loro una prospettiva che non fosse di mera assistenza. Un bell’esempio, quindi, di solidarietà e d’integrazione nazionale, che solo una classe politica e un’opinione pubblica accecata da pregiudizi di sorta può non vedere.
A prescindere da ogni considerazione di carattere generale sull’uso politico dell’attuale economia non sfuggito a molti commentatori, qualcuno dei quali ha osservato che già l’incertezza della scienza sulla materia non giustificherebbe la sospensione di libertà e diritti fondamentali, più gravi potranno essere le conseguenze sul piano economico, anche nella misura in cui ci si illude di risolvere i problemi a posteriori solo in chiave assistenziale e risarcitoria. Infatti, a cose finite la situazione non sarà così rosea come qualcuno forse un po’ troppo ottimisticamente la prospetta. Ciò accadrà se nel Mezzogiorno e nelle isole non si cercherà di tutelare una delle poche industrie rimaste in piedi, ossia quella turistica, anche evitando di colpire chi ha case di proprietà con cui paga tasse e servizi ai sempre più disastrati comuni e aiuta le asfittiche economie locali. Va poi osservato che, anche se la cosa non venisse dal profondo del cuore, costituirebbe un grande investimento mostrare un po’ più di solidarietà nazionale allargando le maglie di questi territori contribuendo a decongestionare aree del paese sovrappopolate e inquinate e quindi più a rischio mettendo a disposizione gli spazi immensi che ha, per esempio, una Sardegna (alla luce di cui l’affermazione che non si riesce a rispettare il metro di distanza risulterebbe veramente strumentale). Per tutte queste ragioni si diventa facili profeti nel prevedere che la Sardegna e le regioni meridionali che si stanno esercitando in questi giorni contro i “settentrionali” e gli emigrati che tornavano nelle loro seconde o prime abitazioni un domani si troveranno davanti a un inversione del risentimento che porterà i giovani a scappare ancora di più da quelle terre ingrate e gli ospiti tradizionali a disertare come turisti zone rivelatesi così inospitali, rendendo carta straccia e vuota retorica l’esaltazione di paesaggi e di monumenti che caratterizzerebbero queste che sono tra le terre più belle d’Italia (ma anche le peggio amministrate).
In particolare il Comitato nazionale di studiosi, esperti e dirigenti del mondo dell’emigrazione (D’iniziativa per gli italiani nel mondo) che io mi onoro di coordinare e che oggi si adopera per convincere le migliori forze degli italiani nel mondo a credere e riconsiderare la loro antica patria tornando e valorizzandola, rischia di vedere vanificati i suoi sforzi nella misura in cui abitanti e relativi amministratori, sceglieranno di trovarsi sempre più soli ad affrontare i problemi demografici e della decrescita economica.