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Federica Cabras ha 28 anni e ama la scrittura. Si laurea in Lettere moderne nel 2015 e consegue più tardi un master in “Criminologia e sicurezza nel mondo contemporaneo” con una tesi sulla figura di Amanda Knox. Ha ricoperto il ruolo di editor e correttrice di bozze. Lavora per Vistanet, un giornale online in Sardegna, e cura la sezione libri di M Social Magazine. Si classifica tra i primi dieci al concorso letterario “Insieme” con il suo racconto “Cielo di maggio”. Nel 2019 fa il suo ingresso nella Literary Romance con il romanzo ironico “Un sogno, un amore e un equivoco”. Federica, di cui su TOTTUS IN PARI, abbiamo l’opportunità di rilanciare i suoi pregevoli articoli, principalmente di storie di sardi nel mondo ma anche di autori sardi, ci parla del suo ultimo libro.
Beatrice è una donna forte e determinata, ma al tempo stesso fragile. Quanto ti rispecchi nella protagonista e quante cose avete in comune? Io e Beatrice Angelica, in realtà, non abbiamo nulla in comune. Solitaria, riservata, abbastanza chiusa in se stessa: tutte queste caratteristiche della trentunenne vengono poi estremizzate dal grave lutto che si trova a vivere. Tutti reagiscono alla dipartita di una persona cara in modo molto personale, lei si rifugia in casa, chiudendo fuori dalla porta tutti ed entrando in un tunnel fatto di dolore. Il rapporto conflittuale con la madre, unito al fatto che non conosca suo padre, fa sì che si senta attaccata, anche dopo il tragico evento, in modo morboso a quel marito che reputava perfetto; anzi, dopo la morte lo idealizza ancor più, se possibile. Ecco perché si sente così vuota. Come dicevo, io e la protagonista di I segreti di una culla vuota non potremmo essere più diverse: io reagisco ai fatti tragici aprendomi agli altri, cercando di ridere delle piccole cose, vivendo a mille, buttandomi sul lavoro, cercando una sorta di normalità; lei fa il contrario. Inoltre, un’altra cosa che ci rende diverse è il nostro vissuto. Il suo percorso è lineare: università, laurea, lavoro, convivenza, matrimonio; io sono disordinata in tutto, ho sempre fatto tutte le cose al contrario. Ma si dice che ognuno abbia i suoi tempi, no?
Il tuo romanzo è un thriller con sfumature romantiche. A quali scrittori e romanzi ti sei ispirata? Quando lessi per la prima volta “Mucchio d’ossa” del grandissimo King – il mio libro preferito – rimasi stupefatta dalla potenza sprigionata dal triangolo amore/morte/dolore; c’erano degli elementi horror, come in tutte le storie del Maestro, ma anche una grandissima malinconia scatenata dall’amore finito, appunto, a causa della morte. È un sentimento che non trova pace, che scava nell’animo umano facendo solchi incurabili, che plasma. Il protagonista aveva seppellito la moglie e soffriva in modo persino difficile da spiegare. Alla fine della lettura, ti rimaneva la paura per una storia che comunque aveva a che fare con il paranormale, con l’aldilà, con gli spiriti e con le vendette ma anche una grande nostalgia: alla morte non c’è rimedio. Che poi è quel che si prova, ahimè, quando si dà il proprio ultimo saluto a una persona cara nella vita vera. Ho sempre pensato: “Voglio scrivere un libro dove ci sia dolore, amore, morte e terrore insieme”.
La tua storia racconta anche di un fatto di cronaca che coinvolge un bambino. C’è qualche caso reale che ti ha particolarmente colpita? Quando la trama si delineò nella mia testa, immaginai che la chiave di tutto dovesse essere un bambino. Sarà che quando il protagonista di una storia di cronaca nera è piccino le cose si fanno più dure da sopportare. Mi informai, presi tra le mani qualche fatto realmente accaduto – tra cui la barbara uccisione del piccolo James Bulger, che mi ha ispirata – e decisi che anche il killer non dovesse essere adulto. Quando studiavo per conseguire il Master in Criminologia, davo molta importanza alla parte relativa all’infanzia dei serial killer: mi sono sempre sentita affascinata dai meccanismi che trasformano un individuo normale in un mostro fin dai suoi primi anni di vita. Rispetto all’omicidio Bulger, ci sono grandissime differenze e un’analogia: anche James, come Giorgio, venne rapito in un centro commerciale. Gli assassini – entrambi ragazzini – però, erano due e le dinamiche furono diverse.
Lorenzo Serra ha nascosto un terribile segreto a sua moglie. Quanto è importante per te la sincerità in una relazione? Molto importante, ovviamente. Se Beatrice Angelica avesse saputo quel che accadeva al marito, forse – e dico forse – avrebbe potuto aiutarlo a rimettersi in carreggiata. Mettendo sempre la verità al primo posto, sia chiaro: la donna non è fatta per le macchinazioni e le menzogne. Non sarebbe riuscita, dato il suo carattere, a glissare sulla morte di un bimbo. Nel caso di questo testo, però, il motivo delle bugie è la paura di ritorsioni, quindi la faccenda è ben più complicata. In ogni caso, se Lor fosse stato sincero con Bea, molti dei problemi avuti dopo la sua morte si sarebbero potuti evitare. La giustizia avrebbe fatto il suo corso in modo corretto. Probabilmente, ma questa è una mia idea che si basa su un concetto di fantasia sempre orientato al dramma, sarebbe morto lo stesso; senza pesi sul cuore, tuttavia.
Nel romanzo si accenna a rapporti conflittuali tra genitori e figli. Quanto pensi che ciò possa influenzare la vita di una persona? Il legame che un individuo ha con i propri genitori – insieme all’educazione ricevuta – è di fondamentale importanza per la sua crescita: è risaputo. Quel che siamo “da grandi”, secondo me, deriva in buona parte da quello che i nostri genitori ci hanno trasmesso e non parlo solo di geni: paure, passioni, insicurezze, punti di forza, convinzioni, ossessioni, manie. Tutto. Quindi Beatrice Angelica è così dura, riservata, chiusa perché non ha una figura materna con cui confrontarsi; il piccolo killer, beh, forse ce l’aveva scritto nel sangue. O forse no. Comunque, non è da mettere in secondo piano il fatto che non si sia mai sentito amato, apprezzato, speciale.
I segreti di una culla vuota – Federica Cabras ISBN: 9788832101287, Pagine: 260, Prezzo: 15€