di LUISA SABA
Splendida serata al Gremio dei Sardi di Roma, gremita la grande sala Italia, in occasione della Gionata della Memoria con Alessandra Peralta regista e Mario Faticoni attore. Molto apprezzato il documentario Rai Scuola di Alessandra Peralta “(R)Esistenze. Matera fra storia e memoria” tratto da Carlo Levi e così pure le poesie dedicate alla Memoria di Marcello Soro, Edith Bruck, Joyce Lussu, Primo Levi, ed il brano “Odio gli indifferenti” di Antonio Gramsci. Documentario e liriche magistralmente lette e interpretate da Mario Faticoni hanno suscitato grande interesse e tantissimi applausi. Prima del travolgente show canoro dell’attore, accompagnato al piano da Roberto Pozzi, il suo bel libro, la sua ultima pregiata fatica letteraria, Il Trapezista fiducioso, sul conto della quale, di seguito c’è la recensione completa ed esaustiva di Luisa Saba.
Antonio Maria Masia
Il Trapezista fiducioso, (editore Armando, 2019), è la storia della vita di Andrea, un romanzo autobiografico attraverso il quale un grande artista poliedrico, Mario Faticoni, ripercorre il proprio percorso esistenziale di attore, regista, scrittore, poeta, cantante. Ma prima ancora è la sfida, ancora aperta, di un temerario trapezista che chiede al Teatro di essere la Lingua per parlare del mondo, per dare forma alla vita, senso alla politica, emozioni all’amore, eternita’ all’amicizia.
Protagonista del romanzo è Andrea Carteri, attore di teatro in crisi esistenziale, che cercando di esprimere il disagio insopportabile per la mancanza di senso di ciò che fa, si trova ad esplorare zone ignote dell’anima, a sopportare il peso di compagni sempre più lontani, di un teatro ormai terra di nessuno, di una politica culturale vergognosa, una città sempre più aspra e ostile. Decide di abbandonare tutto e rifugiarsi presso un amico di gioventù, Pasqualino, insegnante in pensione, con la passione per la custodia di cose e persone, che vive in un paese emiliano di montagna.
Con una magistrale pennellata, giusto in apertura del primo capitolo, per bocca del protagonista Andrea, Faticoni descrive la sensazione di chi, a un certo punto della vita, si accinge a parlare della propria esistenza. E’ diventato impellente Il bisogno di mettere insieme i ricordi di ciò che è stato e di ciò che ha fatto, di sentire che ha vissuto e che sta ancora vivendo. Tuttavia le difficoltà per fare un diario biografico retrospettivo sembrano insuperabili. Andrea non ce la fa a tenere in ordine carte piene di progetti incompiuti, fogli di appunti, agende su impegni teatrali, foto dei nonni veronesi.
Chiede perciò all’amico di prendersi cura della sua storia, di srotolare il gomitolo della sua vita di cui non riesce ad afferrare il bandolo. Sempre nelle battute iniziali, con semplici poche parole l’autore ci dice che l’autobiografia è un bisogno della età matura, quando, al di là di ciò che dichiara l’anagrafe, si diventa in grado di organizzare il passato, prendere distanza dai ricordi e ridare fiducia al presente. Finalmente è possibile cogliere il significato della vita che ha assunto la trama di un disegno riconoscibile, spesso dagli altri prima che da noi stessi. Pasqualino, l’io narrante e Beppe, amico bibliotecario inventato, Io in ascolto, sono gli Altri che aiutano l’ io protagonista Andrea a conoscersi, ascoltarsi, ritrovarsi.
Chi è veramente Andrea? E una persona che ha dedicato la vita al teatro e continua a comunicare con l’arte teatrale i temi fondanti dell’esistenza, le sue passioni e le sue inquietudini. Andrea si sdoppia in Pasqualino figura del distacco, l’io che si interroga, che raccoglie e mette ordine nei faldoni di vita, mentre Beppe ascolta e dà senso ai materiali raccolti. Andrea è una creatura teatrale, la sua vita si confonde con il teatro stesso, la sua formazione, umana e artistica, è interamente legata al teatro, inteso come luogo fisico, spazio professionale, dimensione esperienziale in cui si consumano ed esaltano tutte le potenzialità espressive di cui l’autore è portatore. ”Nella comunicazione teatrale – scrive – il ruolo della emozione, la compresenza fisica, parole e corpi svelano la verità della condizione umana .”
Il teatro è per Andrea la forma più alta di comunicazione, una esperienza che caratterizza e orienta in maniera determinante il suo profilo di attore, di poeta, di scrittore. A un certo punto della biografia (pag. 58) Andrea, ricordando la messa in scena di un opera di Brecht, scrive che “le potenzialità intellettive ed emotive, latenti ed inespresse dell’uomo, altrimenti bloccate per tutta la vita, emergono nel teatro sollecitate dalla parola del poeta, del filosofo, o di un vero sacerdote, perché no. Paradossalmente il comunista Brecht lo era!”
Faticoni aveva descritto qualche anno fa, in un libro che il Gremio aveva avuto modo di presentare, Cinquanta anni di teatro in Sardegna, un delitto fatto bene ”(2016), la storia del teatro sardo e della sua difficile vita in una società, interessata più a importare che a produrre opere originali, a dipendere da culture esterne più che a difendere la propria identità. Nel romanzo del Trapezista il dramma del teatro sardo diventa il dramma personale di Andrea Cantieri, uno psicodramma esistenziale, una biografia che raccoglie, riconosce, amplifica, in centosessanta pagine, le emozioni di una vita.
Tuttavia questo straordinario valore della comunicazione teatrale mai verrà capito dalla cultura italiana conformista, chiusa nella tirannia estetica e nell’orgoglio nazionale per le arti figurative e i beni culturali. In particolare la cultura politica sarda ha negato al teatro e alle sue forme espressive più innovative e coraggiose, le coperture istituzionali necessari perché queste forme potessero crescere ed estendersi. Allo stesso modo ha negato ad Andrea riconoscimenti e sostegni per i locali teatrali rifatti dal niente, la creazione di botteghe officine dove i giovani apprendono il mestiere, l’impegno politico per dare forma drammaturgica alla tradizione, per portare nelle scuole e nelle fabbriche lo spettacolo teatrale, l’investimento per i registi chiamati a lavorare in Sardegna. Lo ha invece mortificato in estenuanti battaglie burocratiche, in intricati meccanismi e assurdi parametri da rispettare, di bandi kafkiani da seguire, di sogghigni di giornalisti che aspettano dietro comode scrivanie di vedere il fallimento di un modello culturale di teatro di qualità, come l’Arco e il Crogiuolo, aperti alla musica, alla poesia, mirati a una non elitaria riqualificazione del territorio.
Lo stile narrativo del romanzo del Trapezista ricorda la tecnica del teatro di Brecht, una struttura romanzata, ogni scena il capitolo di un libro, ma anche le tecniche di Grotowski che da’ al teatro il compito di rappresentare il Sé, creando dei setting esperienziali che permettono allo spettatore di entrare in profonda empatia con le emozioni e i sentimenti degli attori. Attraverso la narrazione di Pasqualino e l’ascolto di Beppe condividiamo l’emozionante avventura della vita di Andrea, un attore che, come un trapezista, mette nel suo lavoro potenzialità psico-fisiche, saperi e pratiche di ricerca di equilibrio e di senso. La dimensione del tempo del racconto è annullata dal frequente passaggio da un piano all’altro della narrazione: l’io narrante cede il posto all’oggetto della narrazione, ovvero Pasqualino conduce la sua indagine, gli rispondono le parole nascoste tra faldoni e scritti, fanno da contrappunto i racconti dei personaggi che hanno conosciuto Andrea
Il romanzo si gode come una piece teatrale, un intreccio vivo e affollato di personaggi e figure minori, amici, parenti, genitori, amanti, affreschi di paesaggi d’infanzia, di viaggi e scontri politici, incontri artistici e culturali, immagini straordinariamente potenti fissate da una scrittura rapida che alterna i dialoghi al racconto, passando dalle migliori tecniche radiofoniche al flashback tipico dell’immagine cinematografica.
Sulla lingua, è necessario spendere qualche considerazione. Gli aggettivi e i sostantivi sono privi di retorica, colorati, raffinati, evocativi, mai ridondanti: dicono quello che c’è da dire, senza bisogno che intorno gli siano costruiti periodi complessi; affrescano letteralmente la scena, spesso si tratta di sequenze di parole che costruiscono frasi prive di verbi di azione, ma ricche di emozioni e sentimento.
Ed infine la fiducia del trapezista, come leggerla? Il trapezista facendo autobiografia ha scoperto di essere non soltanto l’attore ma anche l’autore del teatro che ha messo e mette in scena ogni giorno. Guardandosi ha preso le distanze da se stesso, ha rivisto i ruoli giocati, ha gioito per le esibizioni più riuscite e accettato quelle meno riuscite. Ma soprattutto ha scoperto che tante sono ancora le performances che lo aspettano, tanti i ruoli da giocare perché l’autobiografia fa ritrovare quella pluralità dei sé, quella molteplicità e ricchezza di voci che l’età matura tende inesorabilmente a ridurre e far tacere. Andrea, Pasqualino, Beppe, guardare, osservare, integrare, sono le facce della poliedricità dell’artista Faticoni, molteplicità di interessi e capacità, anche solo mentali, che l’esercizio del pensiero autobiografico tengono giovani e fresche.
Analizzare il passato per guardare con fiducia al futuro!
Questo il messaggio che Faticoni ci consegna, regalandoci, alla fine della serata, un magnifico concerto di brani d’autore e di stupende canzoni, accompagnato da Roberto Pozzi. L’arte non conosce età e la vita riprende a ottant’anni.