di STEFANIA LAPENNA
Un lavoro sicuro a Google Barcellona, poi la decisione di dare una svolta alla sua vita. Zaino in spalla, un biglietto di sola andata per ogni destinazione, e tanto, tantissimo entusiasmo. Originaria di Villamassargia, Francesca Vacca ha 33 anni, e da due mesi gira il mondo in solitaria. Un sogno che ha sempre avuto sin da piccola. America centrale, America del Sud e ora Asia. Queste sono le sue prime mete da giramondo. Nel suo blog “Il mondo di Zeska – Il diario di una sognatrice stontonata”, racconta i suoi viaggi e dispensa consigli e dritte, da come imbarcare l’Ukulele su Ryanair senza pagare il supplemento a qual è la differenza tra turista e viaggiatore. Mentre viaggia lavora come freelance nel marketing.
Quando sei andata via da casa, lontano dalla Sardegna, per la prima volta? A 17 anni sono andata a studiare un anno in Svezia con il programma Intercultura. A 23 ho fatto l’Erasmus, sempre in Svezia. Questa lunga esperienza mi ha permesso di imparare lo svedese ma soprattutto la cultura di questo paese. Dopo la laura e un master in business management ho iniziato a cercare lavoro in Italia. Impresa molto ardua. Così ho deciso di trasferirmi all’estero. Prima Londra, poi Manchester, poi Barcellona, dove ho vissuto per gli ultimi due anni.
Dove ti trovi attualmente? Da ottobre giro l’Asia con un biglietto di sola andata. Precisamente mi trovo ah Hanoi, in Vietnam, dopo essere stata in Thailandia. La vita qua è davvero molto economica e con un budget minimo riesco a vivere dignitosamente e viaggiare, che è la mia più grande passione. Durante il viaggio si incontrano sempre persone con la quale condividere esperienze e pezzi del percorso. Ne sto conoscendo di meravigliose, sensibili e altruiste. Viaggiare ti fa ricordare quanto è bello condividere. Le persone che si incontrano in viaggio hanno generalmente un modo simile di pensare e vivere la vita.
Com’è nata questa tua passione? Vengo da una famiglia di agricoltori che purtroppo per motivi di lavoro non ha mai viaggiato. Ciò nonostante mio papà, quando rientrava dai campi mi faceva salire sulle sue ginocchia, e con un atlante enorme davanti iniziava a raccontarmi di foreste pluviali immense, uccelli dai mille colori, popolazioni indigene sparse nelle zone più remote del globo. Fu proprio durante la mia infanzia che si sviluppò in me la curiosità di scoprire cosa ci fosse al di fuori della nostra bella Sardegna. La mia prima occasione fu con Intercultura: vinsi una borsa di studio per un anno e venni accolta da una famiglia svedese, che tuttora considero la mia seconda famiglia. Da lì iniziò la mia sete di avventura, grazie all’apertura mentale dei miei genitori, che nonostante restrizioni economiche, mi hanno sempre spinto a trovare delle vie alternative alla realizzazione dei miei sogni.
Cosa ti ha trasmesso finora viaggiare intorno al mondo? In primis a rispettare i luoghi e le culture che vado a conoscere. Cerco di imparare a mangiare come i locali. Studio la loro lingua. Imparo, perché no, a pregare come loro. Ma anche a rispettare me stessa. Mi metto in gioco e imparo a riconoscere i miei limiti e la mia forza. Viaggiare finora mi ha trasmesso un grande senso di comunità. La condivisione sta alla base dei viaggi. Mi è capitato in questi mesi di condividere qualsiasi cosa: informazioni, passaggi, cibo e persino una carta di credito (quando per sfortuna ho perso la mia).
Qual è il posto in cui ti sei trovata meglio finora? Dipende. Barcellona è il posto che mi ha accolto meglio in assoluto a livello lavorativo. Se penso alla qualità della vita invece il mio pensiero va all’Indonesia. Bali in particolare è il paradiso dei Nomadi Digitali (il progetto dedicato a tutti coloro che amano viaggiare, nda), pensare di viverci per un paio di mesi all’anno in freelancing non mi dispiace per nulla.
Quale invece quello in cui ti sei trovata peggio? Ho difficoltà a rispondere a questa domanda perché cerco di trovare il lato positivo in tutti i luoghi che visito. Magari ci sono dei posti che non soddisfano le miei aspettative. Per esempio Ubud, a Bali. È una cittadina davvero carina e molto conosciuta nel mondo occidentale. Personalmente però non mi ha trasmesso tanto proprio perché troppo occidentalizzata. Il turismo di massa purtroppo in tanti casi demolisce la cultura locale.
I tuoi genitori hanno accettato da subito che viaggiassi sola? Sì. I miei genitori si fidano ciecamente di quello che faccio. Anzi, mi hanno sempre spronato a conoscere il mondo. Mia mamma dice che viaggia attraverso i miei occhi e mio papà dice che sto realizzando i suoi sogni da bambino. È importante e fondamentale avere un supporto psicologico così grande.
Qual è l’episodio più bello che ti sia mai capitato durante i tuoi viaggi? In Nicaragua, nell’isola di Ometepe. Ho trovato una casa famiglia di cui sono subito rimasta colpita dall’atmosfera e dalle vibrazioni positive che emanava. I giorni passavano e piano piano mi integravo tra di loro: giocavo con i loro figli, li aiutavo con i compiti, cucinavo con la “mamma”, fino a quando tutta la famiglia al completo, incuriosita, ha iniziato ad invitarmi alle cene, compleanni, recite scolastiche. Mi affezionai parecchio alla nonnina che chiamavo “abuelita” (nonnina, nda), una signora di 72 anni che davvero era una forza della natura. Le persone vanno ad Ometepe per visitare il famoso Ojo de Agua (Occhio di Acqua, nda), io penso di aver trovato il vero Ojo de Agua. Sono riuscita a leggere gli occhi delle persone che mi circondavano, non parlavo spagnolo ma sono riuscita a condividere comunque sorrisi, abbracci, esperienze, cultura. Il Nicaragua mi rimarrà per sempre nel cuore.
E quale quello più spiacevole? Da Bangkok a Chiang Mai, in Thailandia. Un tragitto di dodici ore in bus. Quando viaggio con un budget limitato cerco sempre le soluzioni meno dispendiose, optando spesso per soluzioni via terra e notturne perché più economiche, viaggiando la notte si risparmiano i soldi di una notte in ostello. Mi sono trovata quindi a percorrere questa lunghissima distanza. L’arrivo previsto a Chiang Mai era alle sei del mattino. Verso le cinque sono stata svegliata bruscamente dall’autista che ci ha ordinato di scendere dall’autobus, dicendo che eravamo arrivati all’ultima fermata. Un po’ stralunata ho raccolto le mie cose e sono scesa, così come mi era stato ordinato. Ricordo che ancora era buio e la temperatura era terribilmente bassa. Fuori faceva freddo e ancora il sole non era sorto. L’aria era fresca e pulita, già notavo una incredibile e piacevole differenza con Bangkok. “Che felicità”, pensai, “l’autobus è arrivato prima del previsto, ho tantissimo tempo per arrivare in ostello, sistemarmi e partire all’avventura”. Questa felicità durò giusto il tempo di realizzare che l’autista ci aveva fatto scendere a dieci chilometri dalla città. Eravamo tutti viaggiatori stranieri abbandonati nel mezzo del nulla. Un minuto dopo è arrivato un minibus con un autista che tutto sorridente ci ha invitato a salire sul suo pulmino, e per pochi soldi ci avrebbe portato a destinazione. La nostra reazione è stata di incredulità. Già avevamo pagato un biglietto bello caro, perché avremmo dovuto pagare ancora? Abbiamo capito che sicuramente c’è stato un accordo tra gli autisti. Ho dovuto mediare tra le parti. Ho parlato con l’organizzatrice di questa truffa, spiegando gentilmente che non era il caso di mettersi contro sette viaggiatori. Ho spiegato che eravamo esperti e che se non ci avessero portato a destinazione avremmo contattato la polizia turistica. Dopo un’ora di trattative sono riuscita a concordare un prezzo. Morale della storia: quando si viaggia i locali cercano di approfittarsi di te (non tutti chiaramente), sei una fonte di guadagno. Bisogna stare attenti, saper contrattare, non cedere ai loro ricatti. È stato un momento deludente, perché chiaramente ti senti preso in giro e inerme.
Purtroppo ancora tanti hanno pregiudizi verso le donne che viaggiano da sole, pensando che sia rischioso. Cosa senti di dirgli? Credo sia più spaventoso vivere una vita che non piace, piuttosto che prendersi il rischio di vivere attivamente i propri sogni. Questa è una domanda che mi viene fatta spesso comunque: non hai paura, una donna sola in mezzo al mondo? Perché dovrei averne? Evito tutte quelle situazioni in cui potrei mettermi in pericolo. Per esempio in Nicaragua non uscivo mai dopo le otto di sera, cercavo di muovermi quasi sempre in strade non isolate, non accettavo mai nulla da persone che non mi ispirassero fiducia. Quando viaggio è come se il mio sesto senso si risvegliasse. Appena mi sento in una situazione di pericolo è come se il mio corpo se ne accorgesse, facendomi prendere decisioni rapide e che mi mettano al sicuro. Sono tante le donne che viaggiano da sole, in gruppo, con ragazzi. La paura generalmente sta nella mente di chi non conosce, purtroppo questo genere di pregiudizio arriva da quelle persone che non hanno mai viaggiato proprio perché loro stesse hanno paura di farlo.