di DARIO DESSI’
Dopo l’armistizio chiesto dalla Francia alle truppe tedesche nel 1940, la Gran Bretagna assunse il controllo del Mediterraneo con due flotte, le cui basi erano nella rocca di Gibilterra e nel porto di Alessandria d’Egitto. Le basi delle forze navali italiane erano a Messina e a Palermo in Sicilia, a Taranto e a Napoli nel meridione della penisola italiana e a Bengasi e Tripoli in Libia.
Le flotte inglesi erano armate da sette corazzate, tra le quali la HMS Warspite, la HMS Barham e la HMS Valiant), da due portaerei ed inoltre da 8 incrociatori, 37 cacciatorpediniere e 8 sommergibili, mentre la Regia Marina disponeva di sei corazzate, di 21 incrociatori, di 50 torpediniere e di oltre un centinaio di sommergibili. Le forze aeree italiane contavano su 2000 aerei in gran parte dislocati nelle basi aeree della Sardegna, considerata quale portaerei italiana nel mare Mediterraneo, mentre gli inglesi di appena 200 aerei, soprattutto imbarcati a bordo di due navi portaerei. Il compito delle navi italiane e tedesche era soprattutto quello di rifornire le truppe dell’Asse, schierate in Libia e in Tunisia, mentre la marina inglese garantiva il rifornimento dell’ isola di Malta, partendo dalle due basi di Gibilterra e di Alessandria d’Egitto, I combattimenti più importanti tra la flotta italiana e quella inglese si svolsero, pertanto, nella zona del Mediterraneo centrale compresa tra la Sardegna e l’isola di Creta. In un simile teatro bellico, apparve subito evidente che, nel corso di offensive navali italiane contro i convogli inglesi, erano indispensabili in primis un attacco a sorpresa e quindi una copertura aerea adeguata, che avrebbe dovuto essere assicurata dalla Regia Aeronautica e dal Decimo Corpo Aereo Tedesco, il cui supporto aereo sarebbe dovuto essere organizzato nelle basi sarde e siciliane.
Quando,
in quella tragica notte del 29 marzo 1941, 2.300 marinai italiani persero la
vita nelle acque fra l’isolotto di Gaudo e Capo Matapan a sud
del Peloponneso, in seguito all’affondamento di tre dei quattro migliori incrociatori pesanti del mondo e di due
cacciatorpediniere.
La battaglia, svoltasi in due scontri
distinti: uno combattuto nei pressi dell’isolotto di Gaudo tra la
mattina ed il pomeriggio del 28 marzo, ed il secondo al largo di Capo Matapan
nella notte tra il 28 ed il 29 marzo, fu vinta dalla Royal Navy, Quella sconfitta,
con pesanti perdite materiali ed umane, mise in evidenza l’incapacità della
Regia Marina ad affrontare scontri notturni senza sistemi d’avvistamento radar
e senza l’indispensabile supporto aereo assicurato da apposite navi portaerei,
compromettendo la futura capacita di assicurare all’Italia il predominio del
mar Mediterraneo.
L’episodio di Gaudo, prologo alla battaglia di capo Matapan, fu la conseguenza di un’operazione messa in atto dal Comando superiore della Regia Marina (Supermarina) nel marzo 1941 in seguito alle richieste dei tedeschi,, affinché fossero messi sotto pressione i convogli britannici che dai porti egiziani e della Cirenaica rifornivano di materiali bellici e di truppe le forze Alleate in Grecia (Operazione Lustre).
IL drammatico scontro ebbe inizio alle
22.27, quando i grossi cannoni da 381 mm, delle corazzate inglesi iniziarono il
fuoco contro le navi della flotta italiana.
Il Warspite e il Valiant
diressero il fuoco sul Fiume, il Barham sullo Zara da una distanza
tra i 2.000 e i 3.000 metri, per cui fu quasi impossibile non centrare il
bersaglio. In poco tempo il Fiume, lo Zara e i caccia Alfieri e Carducci
affondarono in fiamme, mentre anche il Pola colava a picco centrato da quattro
siluri lanciati dal caccia Nubian. 2331 furono i
morti italiani di cui: 782
sullo Zara, 813 sul Fiume, 328
sul Pola, 211 sull’Alfieri, 169 sul Carducci e
28 su altre unità. Morì anche l’ammiraglio Cattaneo, che perì in mare dopo
essere sopravvissuto all’affondamento della sua ammiraglia ma in seguito perito
in mare. Morirono il comandante dello Zara Luigi Corsi,
il comandante del Fiume Giorgio Giorgis e il comandante dell’Alfieri, Salvatore Toscano,
nel corso dell’affondamento delle loro navi, mentre il comandante del Pola,
Manlio De Pisa venne fatto prigioniero a bordo del cacciatorpediniere
britannico Jervis e il comandante del Carducci Alberto Ginocchio, dopo essere sopravvissuto
all’affondamento della sua nave, venne ricoverato a bordo della nave Gradisca.
Quando quella nave
ospedaliera arrivò, con notevole ritardo, sull’area della
battaglia, migliaia di marinai italiani, mantenuti a galla da i loro giubbotti
di salvataggio, erano ormai cadaveri. Solo 147 marinai e 13 ufficiali, ancora
in vita, furono tratti a bordo della nave ospedale. Poche ore prima 850 marinai e 55 ufficiali italiani erano
stati soccorsi a bordo delle navi britanniche,
che avevano continuato ad
incrociare nella zona della battaglia fino alle prime ore del mattino
del 30 marzo.
Undici anni dopo, il 10 agosto del 1952, sulla sabbia di una spiaggia nei dintorni di Cagliari, venne rinvenuta una bottiglia alquanto incrostata ma ben sigillata con della cera. Al suo interno custodiva un pezzo di tela di protezione di una mitragliera, con il seguente messaggio: R. Nave Fiume – Prego signori date mie notizie alla mia cara mamma mentre io muoio per la Patria. Marinaio Chirico Francesco da Futani, via Eremiti, 1 Salerno.
Bollettino italiano n. 297 del 1º aprile 1941: «In una dura battaglia svoltasi nella notte dal 28 al 29 marzo nel Mediterraneo centrale abbiamo perduto tre incrociatori di medio tonnellaggio e due cacciatorpediniere. Molti uomini degli equipaggi sono stati salvati. Sono state inflitte al nemico perdite non ancora completamente precisate, ma certamente gravi. Un grosso incrociatore inglese ha avuto in pieno una bordata dei nostri massimi calibri ed è affondato»
I bollettini britannici dichiararono immediatamente l’affondamento dei tre incrociatori pesanti italiani, confermando che da parte inglese non c’era stato nessun danno al materiale e che nessun uomo era stato ferito, lamentando solamente la perdita di due aerei.
LE CAUSE DELLA SCONFITTA:
L’ impossibilità di lanciare attacchi aerei da apposite navi portaerei, l’inesistenza di un rapporto diretto e coordinato tra la Regia Marina e la Regia Aeronautica, l’inadeguatezza delle navi italiane ad affrontare scontri notturni, l’incapacità da parte delle formazioni italiane di dirigere direttamente l’intervento di altri mezzi navali o aerei senza che tali operazioni fossero prima comunicate a Supermarina e a Superaereo, la mancanza di mezzi di avvistamento: queste furono le vere cause della disfatta della flotta italiana senza dimenticare il precedente disastroso bombardamento subito dalla flotta italiana da parte degli aerei inglesi a Taranto e il successivo bombardamento di Genova.
LE CONSEGUENZE:
L’acquisizione del predominio nel Mar Mediterraneo da parte della Royal Navy, la cui vittoria viene ricordata dalla storia come un tragico evento che determinò l’annientamento della poderosa flotta italiana in una battaglia che fu lo scontro più importante e decisivo di tutta la guerra navale nel Mar Mediterraneo. Tuttavia tale scontro, se paragonato alle battaglie navali nel Pacifico potrebbe essere considerato di scarsa importanza.
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