GLI SCATTI FOTOGRAFICI DI DANIELE LORRAI A MILANO PER IMMORTALARE UNA SARDEGNA SELVAGGIA

nel riquadro Daniele Lorrai

di SERGIO PORTAS

E’ notizia che i “soliti noti” siano riusciti a entrare nella “Wunderkammer” del Museo di Dresda portandosi via gioielli che, a una prima sommaria valutazione, ammonterebbero a un miliardo di euro. Il furto con scasso è stato perpetrato nella “Cripta verde”, che è parte della “Camera delle meraviglie” messa in piedi da tale Federico Augusto il Forte, Principe elettore di Sassonia e successivamente re di Polonia (siamo agli inizi del ‘700), uno che amava collezionare oggetti più o meno preziosi e, a leggere da Wikipedia, un numero di amanti davvero notevole, anche per quel tempo. Un po’ antenate dei musei moderni queste “wunderkammer”: ci si potevano trovare rare pietre preziose, ma anche coccodrilli essiccati, corna di narvalo (derubricate spesso a quelle di più favolosi “unicorni”), papiri egizi, serpenti a due teste conservati in formalina. La camera delle meraviglie doveva sbalordire, lasciare affascinati i visitatori ammessivi. Più che di ricchezza parlavano di lusso, anche sfrenato, non a caso le più famose erano appannaggio dei re, dei principi. E non è un caso che quella sita all’interno della “Visionnaire design Gallery” di piazza Cavour a Milano si inserisca in uno spazio che, cito dal loro sito internet: “Ha allargato i confini del quadrilatero della moda ( 12.000 euro al metro quadro il prezzo delle le case, ndr.) e del lusso a Milano. 2000 metri quadri interni più la Galleria esterna rappresentano il luogo ideale per presentare le collezioni “Home Philosophy”. Questa “filosofia della casa” comprende l’uso dei materiali più preziosi che vi possano venire in mente, è tutto un luccicare di specchi a cornici dorate, marmi policromi e ottoni lucidati, non vi dico dei lampadari. All’entrata una caffetteria con un banco davvero monumentale che offre ghiottonerie in versione “bistrot di lusso”. Ebbene, dal 14 novembre al 9 dicembre, nella “wunderkammer” che si raggiunge scendendo per una scala foderata di moquette scura che sembra non finire mai, una mostra fotografica a titolo: “ Wild Mediterranean Island”: un viaggio attraverso la lente del fotografo Daniele Lorrai, una selezione di immagini immortalate nel cuore di una Sardegna inedita e selvaggia, lontana dalle località turistiche famose nel mondo. L’isola delle meraviglie nella camera delle meraviglie. Appena dentro si è avvolti dall’oscurità: tutto è rigorosamente nero, pareti e soffitto e pavimento, le fonti di luce illuminano da dietro le foto di Daniele appese alle pareti, sotto di loro asciutte didascalie informano cosa stai guardando e quando è stato fatto lo scatto. A destra la prima ti parla della porta preziosa che stai per attraversare: “Gennargentu, 2017”: in primo piano una roccia granitica corrosa dai licheni, un ramo spoglio di ginepro attorcigliato dal vento, e tutt’intorno sterpi color dell’oro, in alto, spruzzata di neve argentata la punta tondeggiante della montagna: forse Punta Erba Irdes o Bruncu Mucinale, nomi che solo a pronunciarli fanno già sognare. Di posare lo sguardo su di una terra che può fare a meno dell’uomo per esistere, meno la sua presenza incombe e più la natura si riprende ciò che è suo per statuto, modella i paesaggi usando unità di misura del tempo in cui l’homo sapiens è battito di ciglia su di una scala che Cambriana o Ordoviciana che sia usa a metro il milione di anni. Sposti appena lo sguardo e la montagna si anima d’un gregge di pecore bianche tutte intente a contendere alla neve gli ultimi steli d’erba buona, a fare da cornice la montagna imbiancata, a destra un bosco d’alberi già verdi e ora mutati a ocra, quelli più in alto, più radi, paiono spruzzati di polvere d’oro. Il cielo senza una nube, basso e tinto di grigio. In quell’altra , le corna perfettamente ricurve incorniciano il muso di un muflone che ti guarda sorpreso, anche lui immerso in una coltre nevosa sporcata da cespugli ricchi d’aghi di pino, loro sì sempreverdi. Le orecchie bianche dell’animale ritte e sospettose del clic della macchina fotografica: muflone 2012, Supramonte di Orgosolo, dice la didascalia. Che sia lo stesso che si staglia in “silhouette” su di un costone roccioso (Gennargentu 2012), figura scura che non si confonde con lo scuro delle rocce solo perché il cielo è alle spalle e, a rompere la monotonia dei colori, sulla destra un prato tinteggiato di un vivido rosso, a farti pensare che sia il sole ad accenderlo, più che dell’alba il tramonto. Sono paesaggi che ispirano movimenti lenti, cauti, che invitano a respiri profondi, nulla che possa disturbare l’armonia che li pervade nella loro plasticità, nella loro calma apparente. A spezzarla sono quei fortunati che la selezione naturale ha fornito di una vista che solo gli ultimi satelliti mandati in orbita dall’uomo tentano di imitare, artigli robusti a ghermire la preda, ali di penne ereditate dai dinosauri scampati al meteorite assassino di specie: i rapaci. Di loro le foto più numerose qui esposte, a sottolineare una predilezione che Daniele non ha mai nascosto nelle sue interviste, rispondendo a quelle domande poco sapide del giornalista di turno che gli chiede quale sia “il suo animale preferito”. O “quale sia più difficile fotografare”. La risposta in questa foto scattata sul Gennargentu nel 2017: l’arrivo dell’aquila reale. Difficile, a dire di Daniele, riuscire ad avvicinarla a meno di venti metri, può apparirti d’improvviso più vicina solo se hai avuto l’accortezza di rimanere, il più immobile possibile, immerso in un cespuglio di macchia mediterranea più folto degli altri. Per non “sporcare”, antropolizzandoli, i siti più sacri dei volatili che va fotografando lui evita accuratamente di appostarsi vicino ai nidi. Questa regina dei cieli occupa, con l’apertura delle sue ali striate di penne candide, gran parte dello spazio fotografico dell’istantanea, ha una preda stretta tra i rostri, il becco ricurvo pronto a lacerare. Mentre si posa su di un costone di granito candido non si fa fatica a percepire il vento smosso da un paio d’ali che appaiono poderose, imperiali. Come è impossibile isolarsi dal frullare delle ali di una poiana che lotta per la preda con due cornacchie che si disperdono in un volo affannoso pieno di paura. Per lo “scontro di gabbiani zampagialla del 2015, non si capisce se Daniele veleggi su di una mongolfiera o cavalchi un qualche drago del “Trono di spade” visto che i due volatili che si stanno accapigliando paiono tuffarsi in un grigio mosso indistinto che sono nuvole o mare in tempesta e lui gli è sopra. Nell’isola di San Pietro un falco della regina ritorna ai suoi graniti con la preda, l’occhio acuto contornato di giallo. E nell’alta Baronia “il bagno di un giovane astore sardo del 2017”. Devo dire che l’espressione pare proprio infastidita: “Possibile non si possa più fare un pediluvio in santa pace, senza che venga il solito fotografo a rompere le scatole”! E poi ancora civette dallo sguardo saggio e pensoso e avvoltoi dal lungo collo che non paiono scambiarsi effusioni, tanto è l’agitare delle ali. Sono queste, e altre ancora, parte delle foto che si possono trovare sul libro: “Wild Mediterranean Island” edito da Oberon, presentato all’Hoepli di Milano il 14 di novembre, presente l’autore. Il libro, che giustamente si rivolge a un pubblico internazionale, è in inglese, ideale per un regalo di natale ( viene via alla modica di 54 euro), presenta la Sardegna (traduco io) come “un posto a parte, un paese selvaggio in un mare blu che ogni anno attrae migliaia di visitatori, tra loro i super ricchi che hanno fatto della Costa Smeralda ( scritto così) nella costa di nord-est uno dei posti più cari in Europa…”. Daniele Lorrai “born in Cagliari in 1984” è stato catturato dalla “wildlife” (vita selvaggia?) della sua isola natale fin da ragazzo. Ora vive a Nuoro, con la sua compagna Francesca, e si guadagna la vita facendo il fotografo, usando a sfondo tutta la vita selvaggia della Sardegna, non solo del nuorese e della Barbagia. La Sardegna, ma è forse più corretto dire l’Italia, si va spopolando, di uomini e donne, e molte di quelle che erano terre abitate ritorneranno inevitabilmente a essere casa degli animali selvatici, in un futuro neanche tanto lontano i nuovi “super rich” la scopriranno a “wunderkammer” naturale e la gireranno, rigorosamente a piedi, in altrettanto rigoroso silenzio, paghi di sentire il maestrale che fruscia tra le foglie del corbezzolo. Con la mancia che lasceranno alle guida del posto, anche i pochi sardi rimasti nell’isola diventeranno finalmente tutti ricchi.

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Un commento

  1. Bellissimo.
    Grazie all’autore dell’articolo per la poesia con cui descrive Daniele, le sue opere in mostra (visto il successo ancora sino al 30/01 ) e la nostra meravigliosa terra!

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