SOGNI MERIDIANI: LA POESIA E’ IN OGNI SARDO E SALVATORE LIGIOS L’HA FOTOGRAFATA

ph: Salvatore Ligios
di CLAUDIA MURA

Portare la poesia nei luoghi della tecnologia grazie a un mediatore insieme poetico e tecnologico come la fotografia. È il compito affidato alla mostra “Sogni meridiani” – Facce di sardi / 2 Viaggio nella poesia contemporanea, del fotografo Salvatore Ligios che aprirà i battenti il 12 dicembre nel Tiscali Campus in località Sa Illetta a Cagliari. La sede della società di telecomunicazioni guidata da Renato Soru, ospiterà l’esposizione fotografica per un mese intero e sarà proprio l’amministratore delegato Soru a inaugurarla insieme all’autore e alla storica dell’arte Sonia Borsato. Il progetto culturale dell’associazione Su Palatu Fotografia è sviluppato attorno al tema della poesia e dei poeti attivi in Sardegna. E sono le poetesse e i poeti i soggetti immortalati dall’autore per far emergere una nutrita rappresentanza di personalità di un settore culturale molto praticato ma poco conosciuto e spesso confinato in ambiti ristretti nonostante la ricca tradizione storica presente nell’Isola, declinata sia in lingua sarda sia in italiano.

Salvatore Ligios, docente di storia della fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Sassari dal 2008, ci ha raccontato come è nato il suo incontro con la poesia sarda. “Il progetto nasce come la prosecuzione di un lavoro che dura ormai da 40 anni: esploro la società contemporanea sarda, in particolare i gruppi sociali più trascurati dai media e i correlati fenomeni sociali diffusi sul territorio. La poesia rientra in questo ambito perché, sul mercato della contemporaneità, ha un valore prossimo allo zero in termini commerciali mentre gode invece di una grande diffusione in tutte le classi sociali. L’argomento mi intrigava anche perché in Sardegna la poesia è talmente diffusa che il materiale sul quale lavorare e da fotografare si trova ovunque”.

C’è quindi continuità con la sua opera di 30 anni fa “Facce di sardi”? “Sì, anche se tengo a dire che non essendo un accademico, le scelte dei poeti sono dipese esclusivamente dal mio gusto personale. Sono pertanto arbitrarie e opinabili. Non sono andato appresso ai poeti più pubblicati o celebrati. Spesso questi artisti vengono incensati da morti o quasi morti mentre io, ovviamente, esalto quelli vivi. Con la mia ricerca ho toccato con mano quanti siano i poeti in Sardegna: ce ne sono tanti quanti sono i sardi perché ognuno nel proprio piccolo ha fatto poesia o ne conserva nel cassetto. Io sono interessato ai fenomeni sociali collettivi non a quelli singoli perché ciò che voglio raccontare è la Sardegna contemporanea. Mi interessava mappare tutta l’Isola, da Nord a Sud, in tutte le lingue e non solo la poesia classica ma pure quella minimale che fanno in pochi ma che dà un’idea di come sia radicata nelle persone, nei territori, nei gusti, nelle mode e nella tradizione. Ci sono i poeti che cantano la poesia dal palco perché sono improvvisatori, e non solo i logudoresi che sono i più noti e dall’identità culturale più forte. C’è una buona tradizione pure del Campidano anche se meno nota. Poi c’è la poesia scritta, la poesia spettacolo o performativa: un campionario insomma che dà l’idea della ricchezza di una realtà sempre in movimento come quella contemporanea. La mia fotografia dice: oggi c’è questo”.

Qual è il poeta o poetessa che l’ha più colpito? “Giovanni Fiori è per me il più rappresentativo e più colto. Ma ci sono anche poeti che per lavoro sono fuori dalla Sardegna come Alberto Masala o Antonella Anedda”.

E invece qual è l’immagine alla quale è più affezionato? “C’è quella di Giovanni Fiori, che rientra nella rappresentazione classica del poeta nel suo studio e fra i suoi libri, e un’altra più evocatrice come quella del poeta improvvisatore di Orgosolo in mezzo alla nebbia che rimanda a un mondo in cui la poesia improvvista sarda è nata e cresciuta”.

Lei sostiene che la fotografia sia un linguaggio ancora sottovalutato e poco praticato. Come si potrebbe mettere rimedio a questa trascuratezza? “E’ veramente un linguaggio poco considerato, basta vedere come viene trattato nelle università. In Sardegna è assente se non camuffato all’interno degli insegnamenti relativi al cinema: non ci sono veri studi approfonditi se non come storia ma solo di autori che sono arrivati da lontano. Di linguaggio fotografico vero e proprio non si parla e invece è proprio quello che andrebbe valorizzato a partire dalle scuole dove sono fermi alla pittura e all’arte classica. Di tecnica della fotografia e delle discipline complementari non si sente parlare. Si studia solo la parte più semplice e superficiale legata all’estetica dell’immagine, quella usata dalla pubblicità. Ma la fotografia non può essere solo una forma di consumo. Io auspico che nel tempo trovi intellettuali che si dedichino a lei e non solo autori”.

E di Instagram cosa pensa? “È uno strumento che rende le cose facili a tutti ma proprio per questo muta la fotografia in oggetto di consumo. È semplice da usare anche in modo creativo ma si finisce per buttare dentro un’immagine delegando tutto il resto a un algoritmo che nessuno padroneggia. Nessuno sa cosa ci sia dietro gli algoritmi del social network quindi ne diffido”.

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