di ALESSANDRA GUIGONI
Parliamo di sorbetto sardo, sa carapigna. Chi non ha mai gustato una coppetta di preziosa carapigna in Sardegna? A vederla fare si rimane incantati, quando il sorbettiere, girando vorticosamente un contenitore, poi stappandolo mostra agli astanti del delizioso sorbetto al limone, fine fine.
È un sorbetto artigianale al limone, presente in molte sagre e feste isolane, appunto, che viene realizzato con strumenti di cui troviamo la puntuale descrizione nelle tavole di alcuni manuali di cucina e pasticceria, oltre che nell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert. L’utilizzo di quegli strumenti (sarbotiere in francese) era la norma nel Settecento in Europa e negli Stati Uniti, poi lentamente scomparvero nella maggior parte dei casi, sostituiti da sorbettiere manuali meno faticose e poi con “macchine per il gelato o sorbettiere” sempre più efficienti. La Sardegna ha saputo mantenere, nel suo cuore, questa antica arte, e tramandarla a pochissime famiglie barbaricine sino ai nostri giorni. Io ho avuto il privilegio di veder fare sa carapigna molte volte, e incuriosita sono andata a cercare le origini, tra le pieghe del tempo.
Su barrile in legno, come si dice in Sardegna, che contiene un altro contenitore, oggi di acciaio, dotato di maniglia per imprimergli quel movimento giusto e prolungato atto a rendere il contenuto liquido dentro il contenitore di acciaio solido e… gelato appunto! Sale e ghiaccio completano l’opera, incastonati tra su barrile e il contenitore pieno di limonata (in Sardegna) od altro, a piacere.
L’origine di sa carapigna si fa risalire alla dominazione spagnola dell’Isola, il nome deriva dallo spagnolo garapiña (Wagner 1997: 207), che letteralmente significa “formazione di ghiaccio”.
Sebbene vi siano documenti seicenteschi sul commercio della neve dalla Barbagia alle pianure dell’Isola, è nel Settecento che troviamo puntuale descrizione de sa carapigna; allora era preparata non solo al limone ma anche al latte di mandorle e alla cannella, lo testimoniano gli scrittori come Andrea Manca dell’Arca (1780) che parla di [mandorle] fresche con cui fare “sorbette rinfrescanti”, e ancor prima dall’Anonimo Piemontese, funzionario sabaudo che racconta di come la nobiltà cagliaritana, nel Settecento, usasse accompagnarla da biscottini, in un manoscritto del 1759: «Sempre vi è panegirico, e sempre processione, e dopo di questa in Cagliari, nelle più solenni, li Frati fanno distribuire delle Carepigne volgarmente dette sorbetti, alle persone civili che vi sono intervenute» (Anonimo Piemontese 1985).
E ancora: «Nelle città principali di Cagliari e Sassari si è principiato a formare delle Lotterie tra i parenti ed amiche le quali si radunano or in casa dell’una, ed or dell’altra nelle sere che non c’è visita. Delle conversazioni di visita ve ne sono di più specie: cioè le ordinarie, e quelle che diconsi di carapigna» (Anonimo Piemontese 1985: 43). E in nota aggiunge: «Diconsi conversazioni di carapigna perché servono sorbetti [e] biscottini. Queste sono di molta spesa attesa la straordinaria quantità dei medesimi che vi vuole non solo per motivo del grande concorso che per l’avidità della nazione per il dolce. Vi sono chi prende sino dodeci tazze di sorbetti avendo io veduto prenderne da una persona sola 15 in una sera. Questi sorbetti sono di limone, latte d’amandorle, e canella e sono molto dolci. Li biscottini e dolci si servono in gran bacile ed in un batter d’o[c]chio sono vuote. In quest’occasione la Padrona di Casa deve aver attenzione di mandar li rinfreschi alle Parenti che non hanno potuto per qualche impedimento intervenirvi come così al Medico, all’Avvocato di casa» (Anonimo Piemontese 1985).
Negli inventari ottocenteschi degli attrezzi di cucina di Palazzo Regio a Cagliari sono stati trovati diversi oggetti relativi alla preparazione e al consumo della carapigna, comprese cinque sorbettiere, vasi e stampi per gelati, di cui era ghiotta la Corte piemontese.
Attualmente nel PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale) Aritzo detiene il primato dell’Isola, dato che gli aritzesi erano tra i più numerosi procacciatori e commercianti di neve sull’Isola.
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