di MANOLA BACCHIS
La prima cosa che domina nel nuovo romanzo “Il domatore” di Alberto Secci è l’imponenza di un affresco sulla parete di una caverna: sagome di grossi animali da taglia ed esili figure umane aprono la scena. Un dialogo sottointeso tra esseri viventi differenti, entrambi, oserei dire da domare o da addomesticare. Ed è questa la linea sottile che l’autore disegna, con abilità narrativa, e conquista fino all’ultima riga.
Alberto Secci, Dirigente Scolastico natio di Ruinas, nel suo libro è come se accompagnasse il lettore a riflettere, per poi proiettarsi in una Sardegna accesa dai ricordi; così ogni dettaglio diventa essenza. Il mondo di ieri, il rapporto dell’uomo coi suoi simili e con il mondo selvaggio, il confronto con la quotidiana esistenza e la lotta del vivere divengono linfa per difendere le radici di un passato, straordinariamente presente.
Tutto si svolge in un centro della Sardegna, Colimondala, dove l’arrivo del piccolo Eusebio, segna per sempre la famiglia del protagonista, Don Ludovico Francesco Pira. Il lutto bussa alla porta, e la moglie Emmenenzia, di salute cagionevole, a pochi giorni dal parto, lascia orfano Eusebio. Quel gesto di Don Francesco, quasi premonitore, di procurare una capra fin dai primi minuti di vita del neonato per allattarlo, è la salvezza per il piccolo.
La bontà del latte di capra accompagnerà, passo dopo passo, la crescita di Eusebio, che fin dal primo vagito conosce la bellezza e la durezza della vita e, ignaro, resterà segnato da una colpa primordiale, la morte della madre.
La presenza dell’ombra di un padre assente porta Eusebio ad avere un rapporto unico ed esemplare con la vita stessa, genitrice di insegnamenti esemplari, come si rivela l’arte del domatore! Ma per Eusebio non è un lavoro; lui sussurra con uno sguardo ai suoi animali perché quel legame nasce fin dalle viscere del suo animo. Apprende la lezione di vita più importante dall’incontro con Lardolu, il bandito. Ma, poi, è un bandito? Domanda senza risposta, perché in Sardegna, certi quesiti non possono esistere!, perché in Sardegna non esiste nulla oltre il senso concreto del vivere incessante e talvolta crudele che si manifesta con il suo abito più bello e ammaliante.
Anche l’amore abbandona nell’aria una sensazione sospesa che, questa volta, controlla la concretezza della vita e lascia spazio ai sogni. Sono le Donne Sarde, pilastri di una società matriarcale, e fondamenta solide, sicure nei passi incerti del cerchio della vita, pronte, nel loro silenzio di dolori e gioie, a donare certezza con una carezza tanto delicata quanto decisa.
Fiumi di parole scorrono nelle pagine de Il domatore: ti avvolgono, e ti ritrovi insieme ai protagonisti a vivere storie ed emozioni vicine all’uomo come la terra al contadino.
Ed è così che la difficile, ma necessaria, decisione di lasciare i pascoli e gli animali per una nuova realtà verso le miniere, diventa per Eusebio una ennesima prova a cui lo sottopone la vita: la lontananza da Colimondala è decisiva per riportare in luce il sentimento, tanto contradditorio quanto profondo, di amore e odio per il padre che, ormai centenario, lascia al figlio, racchiuso in una simbolica busta gialla, un segno indelebile.
La profondità del legame nasce sempre con la morte, fonte inesauribile di vita.
Alberto Secci, Il domatore: dai pascoli alle miniere, Domus de Janas, 2016, pp. 203 (15 euro)