La riconversione dell’economia del Sulcis Iglesiente, zona industriale e mineraria in crisi della Sardegna, potrebbe aver trovato un importante punto d’avvio. Dicendo addio al carbone, il Sulcis diventa infatti un laboratorio: produrrà il gas per vedere la materia oscura.
La scommessa della
riconversione è vinta. Per lo meno si vede qualcosa di concreto. Dalla fine
dell’estrazione del carbone ad oggi, le miniere del Sulcis sono diventate un
laboratorio per la ricerca scientifica che ha pochi eguali al mondo. Punta di
diamante è la “distillazione” dell’argon nel sito
di Nuraxi Figus, il gas indispensabile per riuscire a ‘vedere’ la materia
oscura, che occupa il 25% dell’universo, nell’esperimento Dark Side condotto
sul Gran Sasso dall’Istituto nazionale di Fisica Nucleare. Partita un anno fa,
la ricerca ha già dato risultati sorprendenti.
E il ministero dello Sviluppo economico promuove a pieni voti il progetto
avviato in Sardegna, e chiamato Aria. “Ci
crediamo molto – conferma il viceministro Stefano Buffagni in occasione del
convegno a Cagliari in cui sono stati illustrati gli esiti del primo anno di
sperimentazione – Passiamo dal carbone alle stelle, e in questo modo portiamo
le miniere nel futuro.
E’ stato Cristian Galbiati, ricercatore ai laboratori del Gran Sasso, professore alla Princeton University e responsabile scientifico di Aria, a fare il punto sui successi ottenuti. Il progetto internazionale, che vede il coinvolgimento delle Università sarde, è nato per la produzione di isotopi in grado di interagire con la materia grazie a una grande infrastruttura costruita nelle viscere della terra: una colonna alta quanto la Tour Eiffel, 350 metri di moduli installati nel pozzo di Monte Minni. Servono a distillare l’argon, ovvero la sostanza che dialoga con la materia. Ebbene, svela Galbiati, “siamo riusciti a dimostrare la separazione degli isotopi, un risultato che ci aspettavamo solo con la colonna terminata”.
In Sardegna nasce, così, un centro di eccellenza per la produzione di argon speciale e di isotopi stabili, fondamentali per le ricerche contro il cancro e lo sviluppo dei farmaci per le malattie rare e tradizionali. “Tutta la filiera di isotopi vale un miliardo di euro – osserva Galbiati – ma il valore aggiunto sarà il processo secondario, quello delle start up che prendono gli isotopi e li trasformano in proteine, vitamine e molecole più complesse”