di FRANCESCO CASULA
Sergio Atzeni, uno dei più grandi scrittori sardi del secondo Novecento, nasce a Capoterra, (Ca) nel 1952. Si trasferisce ancora molto giovane a Cagliari – con una parentesi a Orgosolo (Nuoro) frequentando le scuole medie – dove trascorre infanzia e adolescenza e dove compie gli studi liceali e l’università: si iscrive infatti alla Facoltà di Filosofia, senza tuttavia conseguire la laurea. Nel frattempo inizia a dedicarsi al giornalismo scrivendo per “Il Cagliaritano” di Giorgio Ariu.
A partire dal 1966, collabora con le testate sarde (“Rinascita sarda”, “Il Lunedì della Sardegna”, “L’Unione Sarda”, “l’Unità”, “La Nuova Sardegna”, “Altair” rivista da lui fondata e diretta), ma anche con la radio. Questo è il periodo in cui si iscrive al Partito Comunista, partecipando attivamente alla vita politica della città. Intanto nel 1976 ottiene un impiego stabile all’Enel.
I suoi esordi in campo letterario coincidono con la raccolta delle Fiabe sarde (1978) e con suggestivi ricuperi di antichi frammenti sardi di racconti (Istorieddas), canti amorosi (Kantus de amorau) e di liriche (Muttettus) che scrive nel 1984 e poi – è lui stesso ad affermarlo – fotocopia clandestinamente per farne dono agli amici, perché la poesia è azione clandestina, sabotaggio, sfida perdente all’ordine delle cose.
Ora tali componimenti, in lingua sarda-campidanese, sono raccolti e pubblicati, nel 2008, nella silloge Versus, dall’editore Il Maestrale di Nuoro, a cura di Giancarlo Porcu. Sempre nel 1984 pubblica Araj dimoniu, Antica leggenda sarda, il suo primo racconto lungo, ora, di poco variata dall’Autore, contenuto in Bellas Mariposas, racconto pubblicato postumo nel 1996 dall’editore Sellerio, in cui –scrive Costantino Cossu- belle farfalle, giovani ragazze proletarie, cantano nella lingua dei vinti, il loro lieve, allegro, antichissimo canto di resistenza.
Abbandonato l’impiego all’Enel, in concomitanza con la pubblicazione del primo romanzo, Apologo del giudice bandito, si allontana dall’Isola: dal 1986 viaggia attraverso l’Europa, facendo diversi mestieri: pizzaiolo, giardiniere ecc. ma soprattutto il consulente e il traduttore per le maggiori case editrici italiane, per poi soggiornare a Torino prima e in Emilia poi. Questi si rivelano gli anni più creativi nella sua carriera di romanziere. Infatti scrive le sue opere più importanti, come Il figlio di Bakunìn, (1991), – da cui Gianfranco Cabiddu trarrà un film nel 1997 –; Il quinto passo è l’addio (1995), Passavamo sulla terra leggeri che, consegnato all’editore poco prima della morte, sarà edito da Mondadori nel 1996 e ripubblicato prima dal Maestrale (1997) e poi dalla Ilisso (2000), case editrici di Nuoro.
In questo stesso periodo curerà la versione italiana di opere di autori come Jean-Paul Sartre, L’ultimo turista, (Il Saggiatore, Milano 1993); Claude Lévi Strauss, Storia di Lince, (Einaudi, Torino 1993); Patrick Chamoiseau, Texaco, (Einaudi, Torino 1994); Stendhal, I ventitré privilegi, (Mondadori, Milano 1992) e di moltissimi altri.
Molte altre sue opere sono pubblicate postume, fra queste i racconti di Bellas mariposas; una raccolta di versi: Due colori esistono al mondo, il verde è il secondo (1997); Raccontar fole : spigolature di fraintendimenti e fantasie trovate nei resoconti relativi alla Sardegna di viaggiatori ottocenteschi edita da Sellerio (1999); Gli anni della grande peste, Sellerio (2003) e altri ancora, fra cui la raccolta della sua produzione giornalistica: Scritti giornalistici, a cura di Gigliola Sulis, Il Maestrale, (2005).
La sua carriera da scrittore viene stroncata tra le acque dell’isola di Carloforte, dove muore il 6 settembre 1995, sbattuto da un’onda assassina sugli scogli dell’isola di San Pietro.
Non dimentichiamo che anche lui fu tradotto. Particolarmente in francese a cura di Marc Porcu (Le Fils de Bakounine, La Fable du juge bandit, Le Cinquième Pas est l’adieu, Deux couleurs existent au monde le vert est la seconde) e Claude Schmitt (Bellas Mariposas) con qualche successo di critica.
Claude SCHMITT
Un caro amico di gioventù!
C’è un’imprecisione Sergio nel 1966 Non scriveva per i giornali citati. Era troppo piccolo aveva solo 14 anni.
era fatto così? non l’avevo mai visto. Ho letto un suo libro o due. Certamente interessante. Mi propongo di approndire la conoscenza dei sui libri. Mi pare da quel poco che so, che lui rappresenti lo spirito del tempo, l’impegno sociale, e la descrizione delle realtà locali: nel suo caso della Sardegna del sud. Mi raccontavi che era anche un pò matto. Anche in quello rappresenta bene un aspetto della Sardegna.
Per un breve periodo da bambino è vissuto anche a Carbonia proprio in Piazza Garibaldi, quando il padre Licio era segretario della federazione del PCI.Ho frequentato Sergio quando era segretario della FGCI di Cagliari ed io di quella di Carbonia. Era il tipico ragazzo Casteddaiu allegro e strafottente e ribelle il giusto. Ma era anche un bravo oratore. L’ho perso di vista quando sono andata via dalla Sardegna. Amo i suoi libri, per come riesce a raccontare i personaggi.Il figlio di Bakunin e Bella Mariposa sono quelli che mi sono piaciuti di più.Vale la pena approfondire la sua conoscenza leggendo i suoi scritti.