di ALDO ALEDDA
La scorsa settimana in una sala della Camera dei deputati si è riunito a Roma il Comitato 11 ottobre d’iniziativa per gli italiani nel mondo allo scopo di fare il punto sull’attività svolta da un anno circa dalla sua costituzione in particolare riguardo al tema del rientro degli italiani in patria. Tenuto conto che esso riguardava sia le giovani generazioni di migranti che si sono mosse dagli inizi del millennio (non solo i cosiddetti “cervelli in fuga”) sia i discendenti degli italiani protagonisti della grande ondata migratoria dei due ultimi secoli, la constatazione è che mentre il primo aspetto ha trovato interesse, preoccupazione e consenso presso l’opinione pubblica e le istituzioni, il secondo è apparso più trascurato e lasciato alle logiche amministrative correnti che mettono chi non possiede la cittadinanza italiana sullo stesso piano degli immigrati extracomunitari. I due problemi, nell’analisi del “Comitato” vanno invece collocati in una logica di compensazione dei processi di invecchiamento e denatalità del paese rispetto ai quali, nonostante l’insistenza delle denunce in merito, si mostra un interesse ancora troppo superficiale. L’insensibilità appare più grave se ci si riferisce ad aree della nostra emigrazione, come l’America del Sud – in particolare il Venezuela – che risultano investite da acute crisi economiche e sociali in cui l’intervento possiederebbe anche un carattere di solidarietà trattandosi di spazi geografici che dispongono di ampi serbatoi di giovani italiani di origine o di appartenenza culturale (gli “italici”) che potrebbero reinserirsi nel nostro paese ringiovanendo la composizione anagrafica e rinvigorendone il tessuto sociale ed economico. Continua così la tradizionale politica dei governi italiani d’intendere i connazionali all’estero e gli italo-discendenti solo come un problema amministrativo o un pretesto per interventi a pioggia, il più delle volte slegati tra loro e senza alcun obiettivo che non sia quello di favorire preferibilmente le cerchie più prossime ai vari momenti istituzionali. In questo senso s’invitano le forze del nuovo governo ad adoperarsi perché se esiste una strumentalizzazione positiva della vasta area di “italicità” nel mondo questa vada a vantaggio di tutta la collettività nazionale, sia che risieda all’estero o in Italia. Ciò potrebbe costituire un valido obiettivo politico e darebbe un senso anche al conseguimento di fini indiretti quali la promozione del made in Italy e della cultura italiana nel mondo, oggi poco mirati e lasciati allo spontaneismo o a interessi settoriali. L’obiettivo del rientro, sicuramente foriero di ricadute economiche positive anche nel breve periodo se ben gestito, oltre che configurarsi come politica prospettica dotata di senso, per giunta non è destinato a gravare sulla finanza pubblica in affanno del Paese giacché la sua attuazione ricadrebbe nella sfera d’azione di regioni ed enti locali e, più in generale, sulla disponibilità volontaria delle popolazioni e dell’associazionismo locale, mentre allo Stato centrale rimarrebbe solo il compito di semplificare gli istituti d’ingresso nel paese senza dover far ricorso a spese superflue e a un certo turismo istituzionale.