LA SARDEGNA “COME A CASA”: “SOMU”, IL RISTORANTE DI SALVATORE CAMEDDA ORA NELL’HOTEL DUOMO A ORISTANO

ph: Salvatore Camedda
di ALESSANDRA MELDOLESI

È mezzogiorno, al Ristorante Somu di Salvatore Camedda, di quelli che rubano l’anima insieme all’ombra secondo ataviche credenze, il sole zenitale sopra la cupola arlecchinesca di Santa Sofia e qualche nugolo di casette bianche tutt’intorno. Non si vede nessuno per le stradine di San Vero Milis, minuscolo paese dell’entroterra sardo, in attesa che il primo refolo spinga fuori qualche sedia. Solo di tanto in tanto gira la porta di Somu, ristorantino di charme dove Salvatore Camedda ha insediato il suo laboratorio di una Sardegna “come a casa”. Giovane, contemporanea, professionalizzata.

Gli spazi sono tanto raccolti quanto caratteristici, con il cortile alberato sul retro tipicamente isolano, ex dimora di un omonimo eccellente, il signor Puddu, fra i più eminenti vignaioli di Vernaccia. Ancora per pochissimo sede attuale del ristorante che ha trovato un nuovo alloggio nel cuore di Oristano, in via Vittorio Emanuele II, nei locali dell’Hotel Duomo. Dunque sempre dentro i confini del disciplinare della Vernaccia di Oristano, grandissimo vino in attesa della ribalta gastronomica, a pochi scatti di contachilometri da Cabras e dai suoi laboratori di bottarga. Ori diversi, destinati a una lega imbattibile: un concept già pronto, o quasi, per il ristorante.

E proprio a Oristano Camedda è nato, da mamma casalinga e papà poliziotto, ma anche cuoco provetto. “Ed è stato guardandolo mentre preparava la pasta ripiena o le zuppe, che ho deciso di iscrivermi all’alberghiero. Quando è stato il momento del primo stage, mi ha detto: ‘Se torni indietro non ti do più un soldo’. Invece mi è piaciuto moltissimo, stagione dopo stagione, dal Four Seasons di Milano al Cristallo di Cortina, passando per Saint Moritz. A un certo punto ho sentito di voler studiare la materia e le tecniche, cosa difficile in un albergo, per quanto prestigioso, così sono finito ad Aqua Crua con Giuliano Baldessari. E mi ha conquistato la sua capacità di tirare fuori un piatto sensato da una manciata di ingredienti”.

Attraverso di lui è entrato in contatto con il cerchio allargato degli Alajmo e un concetto di cucina italiana, tanto ludica e golosa, quanto spessa e riflessiva. Non senza strascichi sulla tavoletta dello stile. “Dopo una prima esperienza da chef, ho deciso di realizzare il mio sogno qui, a San Vero Milis: volevo mettermi alla prova e testare le reazioni della gente di fronte a un certo tipo di cucina, diversa dall’ordinario”. Succede da un anno al Somu, che in sardo sta per “casa”, con la spalla di uno dei migliori sommelier della Sardegna: Francesco Tuveri, al fianco di Petza per 7 anni, che qui prosegue la sua esplorazione palmo a palmo e ventre a terra. La sua carta, in fieri su basi preesistenti, conta 220 etichette per l’80% regionali, ma sono in via di incremento la Francia e altre nazioni, come il Libano.  Vuole essere un omaggio al territorio, di cui privilegia le piccole cantine e i vitigni autoctoni, nomi rari come Alvarega e Arvisionadu oltre alla granaccia, al Vermentino autentico e all’ineludibile Vernaccia, ordinati in due percorsi di abbinamento da 3 e 6 calici.

Ma continua a dare una mano anche papà Antonio, che coltiva l’orto da 3 ettari al servizio del ristorante. Il pesce è di Cabras, le farine del Sinisl’olio in gran parte di produzione propria. Le degustazione sono due: di mare e di terra, con 8 portate rispettivamente a 45 e 50 euro; ma presto tornerà il menu d’autore più personale e territoriale a 60.

https://reportergourmet.com/

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *