di SILVIA SANNA
Non c’è una immagine predominante nella memoria, un fotogramma più nitido rispetto a un altro. Quella giornata Davide Capello la ricorda dall’inizio alla fine, in ogni singolo attimo, come un film visto e rivisto controvoglia. E ogni volta è un brivido, lo stesso che sente quando fuori piove e deve usare l’auto. Perché Davide, 35 anni, nuorese, quel 14 agosto 2018 fa ha sconfitto la morte e le leggi della fisica: è sopravvissuto al crollo del ponte Morandi a Genova dopo un volo di 30 metri con la sua auto. Il viadotto ha ceduto all’improvviso sotto l’acquazzone e lui è precipitato. Quarantatrè le vittime, famiglie intere che andavano in vacanza in una vigilia di ferragosto che Genova non dimenticherà mai, pendolari che quel ponte lo percorrevano ogni giorno ignorando che avesse i piedi d’argilla. Come Davide, che quella mattina arrivava da Savona, la città dove vive tuttora. Alle 11.36 fischiettava in auto sotto il diluvio, poi il volo, la paura, il buio.
«All’improvviso la strada ha ceduto, il ponte è crollato e sono finito giù. Tante auto oltre alla mia, perché a quell’ora sul Morandi c’era traffico. Ho fatto un volo lungo, ho pensato che fosse finita. Invece no». La sorte ha voluto che l’auto di Davide Capello, con un impatto terribile, si incastrasse tra un pilone del ponte e le macerie: un nastro d’asfalto l’ha protetta e ha fatto in modo che Davide potesse uscirne vivo passando da un lunotto dopo l’esplosione di tutti gli air bag. «Tutto, ricordo tutto – spiega Davide – perché quella scena è sempre presente nella mia mente. E il pensiero torna sempre a quel giorno».«Ho subito conseguenze fisiche e psicologiche, ho dovuto chiedere aiuto. Ho sofferto d’ansia e di insonnia, gli incubi erano ricorrenti: rivivevo scene simili a quella sul ponte, situazioni di estremo pericolo in cui vedi la morte a un passo». Poi la lenta risalita, la paura che ritorna, i nuovi passi avanti. «Sto bene – dice Davide – sto cercando di recuperare la mia quotidianità. Certo, sono cambiato: sono diventato più prudente, ho perso una buona dose di spensieratezza e nelle situazioni di pericolo sono molto più calcolatore. E le giornate di pioggia non sono di certo le mie preferite. Però ho ricominciato a lavorare, perché avere degli impegni è importante e aiuta molto».
Vigile del fuoco a Savona, il suo primo pensiero, mentre era ancora in bilico sul pilone, è stato chiamare i colleghi per portare soccorso ai tantissimi feriti. Un istante dopo la telefonata a casa, a Nuoro. Il padre Franco, ormai in pensione, se avesse potuto si sarebbe rimesso la divisa per correre a Genova a dare una mano. «Dopo il crollo sono tornato in Sardegna – dice Davide – per trascorrere del tempo con la mia famiglia, i miei genitori che vivono a Nuoro e mia sorella che invece sta a Cagliari. Avevo bisogno respirare l’aria di casa. Poi sono rientrato a Savona perché era giusto ricominciare a lavorare, riprendere a vivere». E in questi mesi Davide si è trovato spesso dall’altra parte: con la divisa da vigile del fuoco ha affrontato situazione estreme «dove era in gioco la vita delle persone e non c’era un attimo da perdere. Come è successo a me un anno fa».
In questi mesi Davide non ha abbandonato neppure il pallone, la sua passione più grande: già portiere del Cagliari, della Nuorese e dell’Olbia, non gioca più ma allena il settore giovanile del Genoa in serie A. «E tante volte, mentre andavo dai ragazzi, mi è capitato di passare di fronte al Ponte Morandi, a quella parte rimasta in piedi prima della recentissima demolizione. Ed è inevitabile: provi a fare finta di niente ma lo sguardo va lì, quelle immagini riaffiorano, i pensieri viaggiano da soli. Quella giornata me la porterò per sempre dentro, insieme a quel brivido che mi ricorda la vita che sfugge e poi ritorna».