di PIER BRUNO COSSO
L’uomo che non vorresti incontrare, romanzo di Fabio Forma edito da Bibliotheka nel 2018, ha un titolo furbo, ironicamente ammiccante.
Perché non promette, ma poi mantiene.
In realtà, al contrario del titolo, il protagonista, lo vorresti incontrare. Devi solo capire se lo vorresti incontrare nella fase solare o nella fase lunare.
Il romanzo fa proprio lo slalom tra luci e ombre. Si inerpica in bianco e nero su salite insidiose, per risplendere di colori e di ampi respiri ogni tanto. Veramente, ogni, tanto: giusto per sorprendere chi legge.
Fabio Forma tesse abilmente la trama del romanzo giocandola su una continua antitesi che sembra non si possa risolvere mai.
Antitetici sono i due protagonisti principali, due ragazzi, cugini, che si rispecchiano all’inverso.
Antitetici i luoghi: il cuore malinconico e solitario della Sardegna, contraltare di confusione e demoni della Ville Lumiere: Parigi.
Rappresentano rispettivamente la partenza e l’arrivo; ma anche esattamente il contrario. Perché la grande città illuminata, viva e notturna, è un traguardo più onirico che reale.
Nel libro, spesso, quello che si vorrebbe è lontano da quello che è.
Questa potrebbe essere una prima chiave di lettura del romanzo. Che sta in quel male di vivere tra ciò che vorresti avere, e ciò che veramente riesci a conquistare. Faticosamente a conquistare.
La struttura appare subito ben congegnata e ti appassiona.
I due cugini, appunto, gemelli nell’anima, vengono separati da bambini, per ritrovarsi da adulti, uno l’inverso dell’altro. Le loro strade si avvicinano, si incocciano, si allontanano. Si toccano per un tratto e forse invertono i loro traguardi in dissolvenza incrociata.
Forse tutti e due insieme rappresentano il dualismo dell’esistenza di ognuno.
Una interpretazione moderna del dualismo alla Stevenson.
Uno assennato e uno scapestrato. Uno in piccolo paese della Sardegna, uno nella grande Parigi. Opposti uguali che si scambiano l’esistenza.
Lottano per cercare la loro vita ognuno nel destino rovesciato dell’altro.
Un romanzo di formazione? No, perché maturano in proporzione inversa. Chi si forma e chi formatta per ricominciare. Ricominciare: ecco l’altra chiave di lettura.
Le ambizioni più alte, o le più basilari, che si infrangono con quello che va sempre di sghembo. Ma provandoci ostinatamente.
Il finale è drammatico (come svela la quarta di copertina), ma forse è una purificazione per risolvere il dualismo.
E alla fine, dopo le ultime righe rimani lì a pensare. E se chiudendo l’ultima pagina rimani lì a pensare, vuol dire che il libro ti ha lasciato qualcosa.